Nell’estate del 1991 i miei mi portarono a Berlino: era il momento giusto per andarci, una Berlino così nessuno l’avrebbe mai più rivista.
Porsche e trabant, bancarelle con i pezzi di quello che doveva essere un muro più lungo della muraglia cinese, manifesti che inneggiavano ai soldi e al guadagno, gente felice che non ricordava nemmeno più dove passasse il muro, gente spaventata perché i soldi dell’est divennero improvvisamente carta straccia e i marchi dell’ovest altrettanto improvvisamente furono costosissimi. Era il posto dove essere, il posto da vedere. Good-bye Lenin racconta tutto molto meglio di me.
Tra le mille cose che accadevano, una ci colpì: davanti al palazzo del Bundestag si fermò un tram e ne scese un omone alto, grosso e pelato, che svettava su tutti per imponenza. Era Helmut Kohl, l’uomo determinante del momento in Germania e, direi, nell’Europa del tempo. Era semplicemente sceso da un tram per andare in parlamento e si era incamminato in mezzo alla folla.
Noi italiani? Secchi. Niente auto blu, niente sirene e, magari, i cecchini c’erano ma noi non li potevamo vedere, insomma il potere vero che non si comportava come eravamo abituati a vedere noi, a casa. Fummo molto stupiti e a tutt’oggi ne abbiamo, tutti, un ricordo preciso: quello era un momento da scorte su scorte. Eppure no, forse era solo costume tedesco, forse era un modo di dimostrare tranquillità e sicurezza.
Kohl è morto oggi e io ne conservo questo ricordo, a prescindere.