Oggi sono venticinque anni che è uscito “Automatic for the people“.
Fu epocale, probabilmente fu quella la cassetta a rompersi nell’autoradio e a non uscire più dal buco. Ma andava bene così, talmente era bello.
I R.E.M. qui erano probabilmente al loro massimo della forma e della creatività, and these are the eyes that I want you to remember, cambiavano di continuo tanto che il disco successivo, Monster, fu tutt’altro. E anch’io, per molte cose, ero al mio massimo della forma. Uno dei dischi della mia giovinezza, altroché.
[Uscirà un’edizione celebrativa del disco, qui].
E’ un disco che, a me, è arrivato un po’ (molto) più tardi.
Dopo i bulimici ascolti, di Out of Time, e il recupero (anche perché faceva “figo”) dei precedenti, questo mi risultava troppo posato e intimista.
Poi un giorno – chissà perché – mi ritornò in mano e…BAM!
E non poteva essere altrimenti, con quel trittico in fine di album.
Proprio vero che i R.E.M. al tempo erano la miglior rock band, mai fermi allo stesso punto: a me ‘Out of time’ non piacque mai, colpa di ‘Shiny happy people’, nonostante contenesse ottimi pezzi; i due successivi, usciti nell’arco di tre anni, mi folgorarono. E restano insuperati, per me, nella loro discografia.