È appena uscito, caldo caldo, il nuovo disco di Carla Bruni.
E già di per sé la notizia c’è, il fatto che la più grande cantante di sempre, “Carlabrunì” o “Carlà” che dir si voglia, abbia fatto un altro disco ha un che di epocale e sorprendente, ogni volta. Il fatto, stavolta, è che è un disco di cover.
Se non siete sobbalzati sulla sedia, forse non avete grande esperienza di uscite musicali: quando nella carriera di un artista – anche di una “Carlà” che lo fa per svago – arriva il momento del disco di cover, significa che la direzione presa dalla carriera è ben più che declinante, è quasi all’implosione finale.
Le svariate fasi del declino musicale, in ordine di gravità, possono essere sommariamente riassunte in:
- il disco di rarità, b-sides e inediti (leggi: non riesco a fare il secondo, terzo, quarto disco e la casa discografica rompe);
- il disco di natale (raccolta di canzoni natalizie altrui di solito arrangiate un po’ pop e in maniera simpatica; leggi: ho bisogno di soldi, ora!);
- la raccoltona, doppia, o il laiv, doppio anch’esso (leggi: il barile? raschiato tutto, e ora?);
- il disco di duetti: non per tutti – devi essere uno che ha conosciuto davvero il successo, se no nessuno duetta con te – arriva nella fase terminale, l’effetto Pavarotti è assicurato (leggi: magari, di riflesso qualcosa arriva);
- il disco di cover: pigliando un po’ di canzoni qua e là, magari non troppo troppo note se si vuol fare un’operazione sofisticata, riarrangiandole alla propria maniera se si ha un produttore capace, magari ci si rimette un po’ in circolo (leggi: sto tutte le sere a cosare di cervello ma di idee proprio non ne vengono nemmeno a spingere forte forte. Piglio quelle altrui);
- il proprio disco di successo riarrangiato e ripubblicato: questa è proprio la fase terminale della propria vita come artista musicale, non c’è ritorno possibile, non c’è speranza, non c’è vita là fuori;
- il disco postumo. La carriera, per quanto strano possa sembrare, non è ancora finita, nonostante la morte del protagonista: anzi, capita talvolta che la fortuna volga di nuovo all’artista anche dopo la dipartita, il che è tutto sommato fatto da tenere in considerazione nei propri piani di successo.
“Carlà” è dunque alla fase cinque, serve un medico piuttosto robusto. Per aver conferma o smentita, si può andarla a sentire a dicembre a Vienna, Francoforte, Londra o Istanbul (ottime scelte, molto chic).
Ahah, dimenticavo una cosa abbastanza importante: tra le sofisticate scelte di “Carlà” per questo disco, alla sette brilla Highway to hell in una versione che ti cade la fettina di torta sul tappeto, lato crema. La scelta ovviamente suggerisce che lei ne capisce di musica e che, in fondo, è una ragazzaccia. Senz’altro, non me ne voglia se da una mezz’ora alterno stati d’animo tra riso, perplessità, sguardo perso nel vuoto, interrogativi senza risposta, tristezza, malinconia e ilarità nervosa. Dio che ridere.
Per chi volesse riprendersi, qui una Highway to hell come il manuale prescrive, con Bon Scott al comando (la sua ultima a Parigi, tra l’altro). I’m on my way to the promised land, whoo!
Mi permetto di aggiungere, postilla al punto 6),
il proprio disco suonato da una qualsivoglia Symphony Orchestra.
Quanto all’oltraggio alle divinità: presto, un antiemetico!
Chissà poi se alla pianola c’è Sarkò.