Come potrete immaginare io oggi voglio avvalermi del mio diritto di non rilasciare dichiarazioni in merito allo specifico fatto di cui sono imputato. Tuttavia vorrei porre l’attenzione su quali siano le motivazioni che spingono un giovane operaio originario di una remota cittadina delle Prealpi orientali a venire ad Amburgo. Per manifestare il proprio dissenso contro il vertice del G20. G20. Solo il nome ha in sé qualcosa di perverso. Venti tra uomini e donne esponenti dei venti paesi più ricchi e industrializzati del globo si siedono attorno a un tavolo. Si siedono tutti insieme per decidere il nostro futuro. Sì, ho detto bene: il nostro. Il mio, come quello di tutte le persone sedute in questa stanza oggi, come quello di altre sette miliardi di persone che abitano questa bella Terra. Venti uomini decidono della nostra vita e della nostra morte.
Prima di venire ad Amburgo ho pensato anche all’iniquità che flagella oggi il pianeta. Mi sembra quasi scontato infatti ribadire che l’1 per cento della popolazione più ricca del mondo detiene la stessa ricchezza del 99 per cento più povero. Mi sembra quasi scontato ribadire che gli 85 uomini più ricchi del mondo detengono la stessa ricchezza del 50 per cento della popolazione mondiale più povera: 85 uomini contro tre miliardi e mezzo di persone. Queste poche cifre bastano a rendere l’idea. (…)
E poi, signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, prima di venire ad Amburgo ho pensato alla mia terra: a Feltre. Il luogo dove sono nato, dove sono cresciuto e dove voglio vivere. La cittadella medioevale è incastonata come una gemma nelle Prealpi orientali. Ho pensato alle montagne che al tramonto si tingono di rosa. Ai bellissimi paesaggi che ho la fortuna di vedere dalla finestra di casa. Alla bellezza che travolge questo luogo.
Poi ho pensato ai fiumi della mia bella valle violentati dai tanti imprenditori che vogliono le concessioni per costruire centrali idroelettriche. Incuranti dei danni alla popolazione e all’ecosistema.
Ho pensato alle montagne colpite dal turismo di massa o diventate luogo di lugubri esercitazioni militari. Ho pensato al bellissimo posto dove vivo che sta venendo svenduto ad affaristi senza scrupoli. Esattamente come tante altre valli in ogni angolo del pianeta. Dove la bellezza viene distrutta nel nome del progresso.
Sulla scia di tutti questi pensieri ho deciso dunque di venire ad Amburgo a manifestare. Per me venire qui è stato prima un dovere che un diritto.
Questa è una dichiarazione spontanea, rilasciata da Fabio Vettorel nel corso del suo processo. Fabio ha diciott’anni ed è in una prigione tedesca dal 7 luglio scorso, imputato di tentativo di causare danni mediante mezzi pericolosi e resistenza a pubblico ufficiale, durante la manifestazione contro il G20 ad Amburgo a luglio.
Riporta «Internazionale» nell’articolo che gli ha dedicato: «Non ci sono accuse specifiche relative alla sua persona: si dice solo che non si è allontanato dal gruppo in cui si verificavano azioni violente e di non aver agito per fermare i manifestanti violenti. Di fatto non ci sono testimonianze contro di lui».
È l’unica persona in carcere per quella manifestazione e domani ci sarà l’ennesima udienza del suo processo. Speriamo.
Oh, stronzi, vogliamo rilasciarlo? E quel furrbaccino del nostro ministro degli esteri che fa? Pensa alle elezioni? Lo si processi, magari lo si condanni se ha fatto davvero qualcosa, ma che senso ha tenerlo così?
(Ho scritto al ministero, chiedendo cosa stiano facendo al riguardo).