La scrittura di frasi sulle pareti dei cessi è, da sempre, un’arte estrema: o squallida e tremendamente volgare, o sopraffina. Questo seconda eventualità si manifesta spesso là dove la cultura è di casa, dove si legge e dove si ha abitudine di parlare delle cose e dei pensieri.
Per fare un esempio? Recanati, nella quale Giacomino aleggia ancora in ogni recesso, e non solo lui. Mr. C., sfidando l’irresistibile attrazione del water per il telefono, è riuscito a documentare una tipica, colta, sublime frase giovanile da cesso, come di certo non negli autogrill.
Grazie, mr. C., non avrei osato neppure negli angoli più spinti della mia immaginazione.
Probabilmente scrito da qualcuno che ha dovuto: leggere l’Intero Zibaldone, o quasi; tutte le Operette Morali; imparare a memoria l’ordine dei Canti.
Bisogna forse riconoscere un sottile velo autobiografico nelle tue parole?
E va bene, sono un po’ sordo e lo so.
E comincio ad allontanare fogli e libri per leggere.
Ma qui, anche se non è piccola, io proprio la scritta non la leggo.
Si vede che sto diventando anche grullo…
Bravo, meglio così, perché c’è scritto: “che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte / scemo chi legge”. Ah, i recanatesi…