Venezia, oggi, è proprio un posto curioso.
Fino a non troppi anni fa sarebbe stato il contrario, il traffico sarebbe stato sotto il ponte.
Alcuni giorni fa, nel sestiere Castello o lì vicino, un ladro introdottosi in un appartamento ha trovato un uomo, il padrone di casa, deceduto. Può capitare.
Il problema è che era deceduto da sette anni. Ecco, questo non dovrebbe capitare. A maggior ragione in una città come Venezia, la città del vicinato, delle reti (sociali) e delle relazioni per eccellenza.
I residenti ufficiali del centro storico, dato della fine del 2017, sono 53.976: pochini per una città che nel 1951 ne aveva 174.808. Cinquantamila persone è la soglia comunemente ritenuta del collasso, ovvero quel momento in cui la popolazione è talmente rarefatta che le strutture essenziali vengono meno.
Poste, carabinieri, medici di base, fornerie, ambulatori, notai e così via. Spariscono per popolazione troppo diradata. In Veneto la media è un posto letto in ospedale ogni 33 abitanti, a Venezia ce n’è uno ogni 96.
Allora le case, potrebbe dire qualcuno, costano poco, dato che sono vuote. No, anzi, oggi costano parecchio perché Airbnb è dappertutto: rendita facile, veloce, poche tasse o meglio nulle, nessun obbligo e nessuna ricaduta positiva sulla città, ma solo sulle tasche del singolo privato. Hai voglia a mettere i tornelli…
Il povero signore deceduto da sette anni non solo non aveva più vicini residenti ma se li aveva erano di volta in volta nipporientali, afrocaucasici, amerigoeuropei, venusiomarziani che più di una o due notti non si sono mai fermati. E poi che je frega? I contatori del gas parlano da soli con l’Azienda Municipalizzata, gli addebiti sono domiciliati e avvengono in autonomia, la pensione arriva da sola sul conto e via, uno resta secco sul divano e bon, saluti a tutti, a fra sette anni.
Bisognerebbe decidere che farne, di Venezia. Seriamente.