the b. site of the moon
sbrodolata finto-casuale di b.cose.
A Stalingrado non passano e, nel suo piccolo, neanche nel b.site. In ogni caso, rimane sempre il piano B.

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trivigante 2006

ventisette

Amenità di fine anno.
Finisce l'anno ma, trattandosi di convenzione temporale, come qualcuno forse sa, non finiscono le meravigliose amenità che popolano i boschetti della vita in comune con altri miliardi di persone. Questa cosa della convivenza coatta su di un solo pianeta ha, infatti, qualche aspetto non proprio piacevole, vale a dire, per dirne una, ritrovarsi nel proprio giardinetto metaforico la spazzatura ultra-radioattiva del vicino supercafone. In particolare, a fronte di qualche miliardo di vicini assolutamente civili e cortesi, fanno spesso visita diversi miliardi di vicini particolarmente molesti, senza alcun pudore o remora per l'erba altrui (la mia).
Uno di questi ha appena sfornato un album, intitolato "Il cd divino - Potenza sessuale 3000" e solo per il titolo andrebbe squartato in mezzo a un quadrivio da un tiro di quattro cavalli schiumanti.
Il decerebrato in questione è il Mago Otelma e la playlist si compone di imperdibili pezzi: l'ammiccante "
Prendi La Fortuna” Original Mix, il demente “Potenza Sessuale 3000” Live Mix, che uno si chiede il significato della dicitura "Live", il divertente da sparargli “L’inferno Siamo Noi”, l'inquietante “Ti Infilo Una Candela Rossa” e così via in un crescendo di simpatia diarroica. Cancellare con l'anno nuovo.
Un caso diverso, dovuto alla scellerata opera dei traduttori italiani, è quello di uno dei personaggi Marvel creati da Stan Lee nel 1965: Absorbing Man. Deve il suo nome al superpotere di tramutarsi in qualunque materia egli tocchi, assorbendone le proprietà fisiche. Il suo nemico giurato è Thor con il suo cavolo di martello. Ora: come lo hanno chiamato quei genii sopraffini dei traduttori della Marvel Italia?
L'Uomo Assorbente. Complimenti, complimenti vivissimi, molto molto adatto a un supereroe, davvero.
Mi verrebbe voglia, a questo punto, di parlare di Scaramella con gli annessi e i connessi, ottimo simbolo di quest'anno italiota pieno di amenità da far accapponare la pelle di chi vive con civiltà, ma - ora che ci penso bene - non ne ho più voglia, lascio ad altrui. Preferisco ricordare che oggi sono ventotto anni che la Spagna è una democrazia, con alti e bassi, che oggi ma nel 1901 nasceva Marlene Dietrich, e che nel 1947, oggi, veniva promulgata la Costituzione Italiana.
Ecco, meglio che io pensi a questo. Molto meglio.

ventuno

Il neo-paganesimo polacco.
Scopro oggi, non senza stupore, che in Polacchia fin dal XIX secolo sono nati moltissimi movimenti neo-pagani che si ispiravano e si ispirano tuttora a immaginarie religioni e culture paleoslave, in contrapposizione alla pesantissima cultura cattolica di stampo conservatore. Spesso si tratta di orrendi figuri nazionalsocialisti o di tendenze ultra-destroidi, chiaro, ma non mancano le stravaganze.
La domanda sorge spontanea: quale sarebbe, dunque, l'interesse in cotesta informazione? Domanda legittima. ma a trivigante piacciono le amenità e, quindi, non si discute. La libertà di smettere di leggere è, però, garantita.
Alcuni esempi eclatanti: per fare un nome, la Tribù dal Cuore Cornuto (Szczep Rogate Serce, sigla SRS) organizzazione neopagana polacca fondata dallo scultore Stanislaw Szukalski che nel 1929 riunì attorno a sé un gruppo di artisti, con l'intento di sviluppare una corrente artistica che prendesse ispirazione dall'antica cultura slava, essendo giudicato il cristianesimo un fattore di corruzione della cultura nazionale.
Oppure il Circolo degli Adoratori di Swiatowid (Kolo Czcicieli Swiatowida), a metà tra occultismo e parapsicologia da minimarket. Come non citare la Chiesa Nativa Polacca (Rodzimy Kosciół Polski, sigla RKP) o il Gruppo Nazionale per gli Studi Concettuali (Narodowy Zespól Koncepcyjno-Studyjny, sigla NZKS)?
L'Unione per la religione nativa (Zrzeszenie Wiary Rodzimej, sigla ZRW) che si richiama alla tradizione della prebellica Zadruga, per continuare, o l'Associazione per la Tradizione e la Cultura Niklot (Stowarzyszenie na rzecz Tradycji i Kultury Niklot, spesso chiamata semplicemente "Niklot"), attiva anche politicamente.
Che dire poi della Chiesa Slava Polacca (Polski Kosciól Slowianski)? Il gruppo nacque nel 1981 nell'ambiente degli archeologi (?) di Torun e le sue attività iniziali furono la raccolta di informazioni e materiali riguardanti la mitologia e la cultura slava, la visita agli antichi luoghi di culto slavi e stabilire mutui contatti tra le persone interessate a questi argomenti.
Non ho idea se per aderire si debba fare una tessera o se si debba mettere sulla testa il sacro copricapo di radice di patata polacca, magari dopo un bel pieno di vodka verace, fatto sta che, come sempre, le reazioni nascono dove c'è un movimento dilagante, in questo caso il cattolicesimo di matrice woytilesca che un po' tutto pervade. La cosa spassosa, per me, è che non riesco a trattenermi dal pensare alla Loggia del Leopardo e alle riunioni del mercoledì, naturalmente partecipate con animo settaristico e convinto.
I paesi del Nord, già lo sapevo, riservano sempre sorprese interessanti. Anche perché, in Polonia, per ogni prete ci sono due movimenti neo-pagani, e - almeno - tre gruppi black metal incazzosi.
Una bella mistura esplosiva, alla mercè dei gemelli governanti.
Per chiudere, un bel link facente capo alla seguente persona (cito): "Primo Teurgo della Chiesa dei Viventi, Gran Maestro dell’Ordine Teurgico di Elios, Presidente Europeo dell’Ordre des Occultistes d’Europe (O.D.O.D.E.) e Nazionale dell’Ordine degli Occultisti d’Italia (O.D.O.D.I.), del Centro Italiano di Studi Astrologici (C.I.S.A.) e dell’Unione Astrologico-Occultista d’Italia (U.A.O.D.I.), Fonte di Vita e di Salvezza, Dispensatore di Verità Archetipa, Luce dei Viventi - dopo millenni di paziente elaborazione - e mettendo a frutto l’Esperienza degli Antichi Saggi Atlantidei - ha suggellato il CORREDO DELLA FELICITA’ affinché TUTTI, non soltanto i fortunati possessori di Talismani Personali et Similia, possano gioire della Vita e delle Sue Bellezze infinite!". Archetipa...

venti

Marcello Marchesi.
Marcello Marchesi ha scritto e inventato tante cose (famosi carosello, "Sono pazzi questi romani" di Asterix, il Bertoldo, l'aforisma "Anche le formiche, nel loro piccolo, si incazzano" e così via), tra le quali alcune frasi celebri riviste:
- Burocrazia: bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli.
- Che Dio ci perdoni. E ci perdonerà. È il suo mestiere.
- Chi mi ama mi preceda.
- Chi si inferma è perduto.
- Chi va piano va sano e... viene tamponato poco lontano.
- Dimmi con chi vai e ti dirò se vengo anch'io.
- Dio, dammi un assegno della tua presenza.
- Due parallele si incontrano all'infinito, quando ormai non gliene frega più niente.
- La rivoluzione si fa a sinistra, i soldi si fanno a destra.
- Mangiare è un diritto, digerire è un dovere.
- Mi sento sotto la cresta dell'onda.
- Nessuna nuora, buona nuora.
- Nessuno si è mai ammazzato perché non riusciva ad amare il prossimo suo come se stesso.
- Non ho niente da dire, ma lo devo dire.
- Non si vive di Ricordi. Solo Verdi, Giuseppe, ci è riuscito
- Ogni rovescio ha la sua medaglia.
- Essere o benessere?

quindici

Le paure che preferisco.
Tra le tante fobie classificate dal mondo scientifico (e pseudo-tale), ce ne sono alcune che prediligo. Per esempio, la mia preferita in assoluto è la arachibutyrofobia, vale a dire la paura del burro di arachidi
attaccato al palato. Eccone alcune tra le migliori:

ablutofobia: paura di lavarsi o fare il bagno (questa ce l'ho).
agiofobia: paura dei santi, delle cose sacre (questa la capisco).
amycofobia: paura dei graffi o di essere graffiato (da femmine arrabbiatissime? Allora ce l'ho).

anglofobia: paura dell'Inghilterra, degli inglesi (molto diffusa nel ventennio).

anuptafobia: paura di non sposarsi (ma per favore!).
apotemnofobia: paura delle persone con amputazioni (in effetti...).
arithmofobia: paura dei numeri (mooolto diffusa).
asimmetrofobia: paura delle cose non simmetriche (ce l'ho).

atefobia: paura delle rovine (e uno di Roma che fa?).
atomosofobia: paura delle esplosioni atomiche (evabbè, grazie...).
aurorafobia: paura dell'aurora (a vederne una, magari...).
automatonofobia: paura di tutto ciò che è fatto come un essere umano (burattini,
bambole, spaventapasseri, c'è una cinematografia intera al riguardo...)
automisofobia: paura di essere sporchi (questa proprio non ce l'ho).
ballistofobia: paura dei proiettili (evabbè anche questa).
bufonofobia: paura dei rospi (io li lecco, di solito).
cacofobia: paura della bruttezza (vero!).
calliginefobia: paura delle donne belle (questa no! Tutto ma questa no!).
chaetofobia: paura dei capelli (quand'ero giovane non l'avevo, ora sì).
coprofobia: paura delle feci (mie o degli altri?).
defecaloesiofobia: paura di una defecazione dolorosa (dopo che ho mangiato il panettone sì).
dentofobia: paura dei dentisti (sempre).
dextrofobia: paura degli oggetti alla destra del corpo (ho sempre paura della destra!).
efebofobia: paura dei giovani imberbi (vedi bambini, clown e spaventapasseri).
ergasiofobia: paura di lavorare (eccome se ce l'ho, questa!).
falacrofobia: paura delle calvizie (vedi chaetofobia).
fobofobia: paura di aver paura (questa è fantastica, meravigliosa).
limnofobia: paura dei laghi (i laghi?).
menofobia: paura delle mestruazioni (tutti gli uomini ce l'hanno, le donne non so).
papirofobia: paura della carta (aaaah, l'A4 Fabriano assassino demonio!).
pedofobia: paura dei bambini (vedi sopra).
pogonofobia: paura delle barbe (mmmh, questa direi di no).
sesquipedalofobia: paura delle parole lunghe (esattmn... esattamtnm... ehm... esatmtm... occhei, ce l'ho).

tredici

Giorni di brutti ricordi.
El puerco maial Pinochet è morto domenica, dopo sempre troppo breve agonia, lasciando pure eredità d'affetti, fatto incomprensibile, al punto che hanno dovuto tenere la camera ardente aperta per nove ore oltre il tempo di chiusura, per permettere a sessantamila persone di rendere omaggio al cadavere già putrescente in vita. Niente funerali di Stato, hanno detto, ma tutti gli onori militari.
Infatti, era presente, ieri, il ministro della Difesa cileno, Vivianne Blanlot e il comandante dell'esercito, Izurieta, ha consegnato alla vedova maiala del puerco la bandiera cilena che aveva avvolto il feretro. Ma non è un funerale di Stato, si dice. Infatti, pare che monsignor Juan Barros Madrid, arcivescovo militare del Cile (basito sono!), passasse di lì per caso e abbia celebrato il fiuneral show per umana e cristiana carità, più che per passione. Maiale anche lui.
Molta gente, per fortuna, ha fatto festa e molti hanno brindato agli amici scomparsi. Brutta roba, però, esser felici perché un dittatore assassino si toglie di torno, troppo dolore prima. Secondo Radio Cooperativa, radio democratica cilena (tutte le radiocronache del funerale sono on line), due uomini e una donna si sono fatti largo tra la folla e sono riusciti a sputare sul feretro: uno sarebbe stato catturato dalla polizia, per ora non si sa nulla di lui. Finora 99 arresti. Pinochet è morto, il pinochettismo no.
Qui da noi, che non siamo certamente meglio, ieri erano trentasette anni dallo scoppio della bomba in Piazza Fontana a Milano, anno millenovecentosessantanove, diciassette morti e ottantaquattro feriti.
Sempre ieri, quale coincidenza, finiva l'offerta sconti nei negozi Oxus (in piazza Fiume a Roma e in via Bergamo a Milano) marca che produce borse, pelletterie e quant'altro, oltre a essere fornitrice di tutti (tutti!) i maggiori stilisti italiani di grido. 'Azzo c'entra?
C'entra: la ditta è di proprietà di Roi Hagen, cittadino giapponese ben noto in Italia, alias Gm (General Manager) come si fa chiamare dai suoi dipendenti, alias Delfo Zorzi. La storia è nota: ex militante di Ordine Nuovo, principale imputato per la strage della Banca dell'Agricoltura per cui (dopo l'ergastolo in primo grado) è stato assolto l'anno scorso in Cassazione, ancora indagato per la strage di piazza della Loggia a Brescia, del 1974. Fra i suoi partner in affari poi risulta anche Paolo Giachini, noto per aver offerto la sua casa a Erich Priebke per gli arresti domiciliari.
La cosa interessante, tra le tante, è che il negozio Oxus di Milano è ospitato in locali di proprietà del Comune di Milano, quello stesso Comune costituitosi parte civile nel processo per la strage del 1969. Ovviamente, i locali sono affittati ad un canone ridicolo per la zona, tremilacinquecento euro/mese, equo?
Una borsa piena di esplosivo in una banca nel 1969, borse scontate del cinquanta per cento fino a ieri.
Macabro ma vero.

Canzone da suonare e cantare per l'occasione.
Da "La famiglia Rossi - Discorsi da Bar" (2003), "E' morto Pinochet":
Personalmente sono contrario al vento,
…ma questa sera mi viene un sentimento;
lo so che non si dice, non sta bene, non si fa,
ma questa sera lasciami cantar…
E’ morto Pinochet,
è morto Pinochet
è morto Pinocheee eee eee eeet!
Stolto è goder della disgrazia altrui,
ma, in questo caso, la disgrazia è lui.
La Storia questa sera ci dà soddisfazione
ed ha tirato forte lo sciacquone…
E’ morto Pinochet, etc.
Pi – no – c’è – più , Pi – no – c’è – più,
fuori uno – fuori uno!
Pi – no – c’è – più , Pi – no – c’è – più,
uno in meno – uno in meno!
Personalmente sto con le balle al vento,
e non mi pento se sento un sentimento,
e so che il sentimento che sentivo contro il vento
è solo il sentimento di un momento…
Ma è morto Pinochet, etc.

sette

Saper far di kendo.
In agosto, mentre facevamo la fila alla festa dell'Unità per avere un saccoccetto di olive ascolane fritte nella sugna, il mio amico G. mi disse di botto: "Andiamo a fare un corso di kendo?". Io, che non volevo sembrare ignorante e mi ricordavo un vago detto di mia madre, tipo: "E' sempre importante saper far di kendo, nella vita", risposi di sì convinto e sudato, sperando nell'oblio autunnale.
Poi passarono i mesi e le stagioni, il chiurlo fece ritorno nel nido per tre volte, il fiore dell'albero di pesco sfiorì e le maree arrivarono a Kyoto nella notte in cui la tagliente spada del Maestro She-zam fu conficcata nella roccia sorgiva del fiume Beije per non combattere mai più. Dicembre. E io non sospettavo che il destino si stesse organizzando.
Cadeva la nebbia nel giardino nascosto del fiore di loto, una sera, quando il mio amico G., che si era mosso segretamente nel frattempo senza nulla dirmi, mi comunicò che di lì a tre giorni ci sarebbe stata la nostra prima lezione di kendo. Kendo? Occazzo, maledizione a me e alle risposte avventate.
Calma. Calma e ordine. Prima reazione da parte mia (negazionista): "Guarda che non ero mica io, non ne abbiamo mai parlato". Seconda reazione (attendista): "Maaaaah, non soooo, forse non faccio in tempo ad avere il certificato di sana e democratica costituzione". Terza reazione (piagnisteo): "No, amico, dai, non puoi farmi questo, amico, poi ci facciamo male, dai, ho i muratori ladri a casa e la nonna malata il lunedì sera, guarda, proprio mi sa che non posso".

Il mio amico G., che è diabolico e mi conosce, mi lascia fare la mia sceneggiata casereccia, tanto lo sa che poi partecipo. E poi, lui mica mi costringe, anzi. Posso farlo andare da solo?
Siccome sa che a me serve la teoria e l'analisi preventiva, mi manda un documento riassuntivo sul kendo, di cui riporto qualche passaggio: "Attraverso un'evoluzione morale e filosofica, questa disciplina, da cruda e spietata tecnica per uccidere, è diventata il Kendo, una Via per la ricerca di se stessi oltre che un'ottima attività fisica per lo sviluppo dell'energia (KI) dell'individuo" bla bla bla; "le tecniche del KEN-JUTSU comportavano diversi fendenti e stoccate miranti ad abbattere l'avversario il più rapidamente possibile". E altra roba che non ho letto bene. Spietato, uccidere, abbattere, mortale... interessante, molto interessante. Qui a destra l'idea che mi sono fatto del kendo.
Appuntamento lunedì scorso alle sette di sera per andare al sacro tempio dell'arte marziale. Ci andiamo a piedi nella nebbia, un po' perché il vero discepolo si tempra lo spirito affrontando le avversità e un po' perché nessuno dei due ha la macchina.
Una volta arrivati, ci cambiamo e scopriamo di avere due approcci sostanzialmente diversi. Abbigliamento: senza saperlo prima, entrambi abbiamo pantaloni della tuta blu con le righe gialle lungo la gamba che, evidentemente, nelle nostre intenzioni fanno tanto killbill e danno l'idea del guerriero giapponese cattivo in allenamento. Il mio amico G. indossa una maglietta blu (tonsurton, raffinatissimo) con due grandi fiori bianchi. Pare evidente che voglia cominciare la nuova attività trasmettendo un messaggio di amicizia e concordia. Io, invece, che ho interpretato il tutto in modo bellicoso, ho una maglietta rossa a maniche lunghe con su tutte le date del tour 2005 degli Iron Maiden, con una bella scrittona in gotico sul davanti.
Naturalmente, tutti gli altri hanno l'armatura ganza o l'accappatoio gigante blu, tipico del kendo.
Dopo un non breve saluto iniziale (saluto alla palestra, saluto alla spada, saluto al Maestro, saluto al muro, saluto al cugino del Maestro, saluto alle spalliere, saluto al monte Fuji, saluto in risposta al saluto del monte Fuji), tutto molto molto giapponese, e dopo un breve riscaldamento, ci dotano finalmente della spada.
Aspettavo questo momento. Solo che non è una spada: è un bastone. Un bastone tipo le torce da giardino in bamboo che si trovano al Brico center, senza l'olio in cima, ma sempre bastone è.
Con scarso effetto mortale, secondo me, e a basso impatto pauroso. Un po' come cercare di uccidere qualcuno con un nanetto da giardino o con un irrigatore irriguo: chiaro che può far male se ben tirato, non discuto, ma non mi dà certo l'aria di uno spietato samurai. Di un premuroso giardiniere, più che altro.
Tutto quanto descritto finora, e son passati quasi quarantacinque minuti di lezione, è avvenuto senza che nessuno procedesse a una benché minima presentazione: esiste il Maestro e poi ci siamo noi, misere caccole secche nel naso gigante dell'universo shintoista. Neanche un nome, perdio. Mia mamma non sarebbe contenta di me, lei che ci tiene alla cortesia con gli sconosciuti. Precisazione che serve per dopo.
A quel punto, passiamo all'esercizio principale: un tizio del kendo, con l'armatura, si mette in mezzo alla gioiosa palestra del celeste impero e noi dobbiamo correrci incontro, gridare "MEN" e dargli una gran bastonata in testa, e poi correre via. Trecento volte. Per la cronaca, MEN è giapponese e significa: "defloro il tuo orifizio con il mio bastonissimo di ciliegio fiorito".
Importante notare che noi il tizio nemmeno lo conoscevamo né lui conosceva noi. E non ci aveva nemmeno insultato o offeso la mamma, né rigato la macchina.
Ci sembrava, quindi, molto scortese dare delle bastonate in testa a un signore sconosciuto che, magari, è pure un tizio gentile. All'inizio, quindi, era difficile dargli una scassabastonata sulla crapa, cercavamo di essere gentili, un po' ci spiaceva, ma poi - dopo due minuti - giù mazzéte. Potenza della persuasione marziale nipponica. Gli avremmo anche fritto la nonna, potendo.
Ed è qui che avviene l'increscioso fatto e questa storia diventa una storia del orore giaponese di B.R. Bergomazzi: nel bel mezzo del combattimento mortale, con mossa subdola e rapidissima, il tizio nemico mi ha infilato una scheggia di parché nel piede e io non me ne sono accorto subito, perché la concentrazione della mente aveva il predominio sui miseri affari corporali, e ho continuato a colpirlo come diceva il Maestro: non sento niente no, adesso niente no, nessun dolore, non c'è tensione non c'è emozione, nessun dolore. Oh! Oh! E ho fatto la striscia di sangue appiccicosa, che i compagni di corso vampiri si sono tutti eccitati e le donzelle schifiltose mi hanno preso a bastonate. Il Maestro, allora, mi ha guardato come si guarda un debole, un vile, e mi ha mandato nello spogliatoio della punizione morale, probabilmente pensando che avrei fatto hara-kiri per l'onta. Io l'avrei anche fatto, ma come faccio a fare hara-kiri con una torcia da giardino?
Il mio amico G., che è l'unica persona buona del mondo, ha lasciato il bastone ed è venuto a vedere come stavo nello spogliatoio del disonore e della vergogna, offrendomi un fazzolettino umidificato utile anche in caso di mestruazioni (come da etichetta). Siccome la cortesia giapponese prevede che non si facciano domande indiscrete, ho preso volentieri il fazzolettino e l'ho usato non correttamente, con animo grato. Ed egli ha pagato a caro prezzo la sua generosità: infatti, il Maestro l'ha umiliato e torturato davanti a tutti perché ha abbandonato la spada (sempre torcia è) e lasciato la palestra senza chiedere il permesso. In Giappone non si può aiutare un amico che muore.
Poi sono tornato e noi due, come samurai fatti di pietra e acciaio che non temono il piccante, abbiamo proseguito a prendere a bastonate in testa il tizio sconosciuto, fino alla fine della lezione, anche se agli altri ci faceva schifo camminare sul tappetino rosso di sangue che avevo steso sul pavimento.
Ora io cammino come una bagascia sfondata ma so di avere un vero amico, anche se sono in Giappone.
Dice Bergomazzi, esperto di Giappone: "la disciplina è la tomba dell'amore". E io sono d'accordo.

sei

Cinque dita di violenza.
Racconto ora un breve e sapido aneddoto per introdurre, poi, la narrazione della mia ascesa tra le schiere dei temibili guerrieri del Kendo, di cui ho avuto esperienza due sere fa.
Il sapido aneddoto riguarda la t
ecnica dell'esplosione del cuore con cinque colpi delle dita: "la mossa più letale di tutte le arti marziali. Lui ti colpisce con la punta delle dita e comprime cinque punti diversi del tuo corpo. E poi ti lascia andar via. Ma appena hai fatto cinque passi, il tuo cuore esplode all'interno del corpo: e tu cadi a terra, morto". Sì, questo è Kill Bill ma, come al solito, nulla di nuovo sul fronte orientale.
Infatti, la mossa prende spunto da un film del 1972, Cinque dita di violenza (Tian xia di yi quan), diretto da Chang-hwa Jeong. E' la storia di un ragazzo e del suo maestro che cercano di iscriversi ad un torneo di arti marziali, osteggiati da tutti i partecipanti che non li vedono di buon occhio. Deja vu?
Più interessante, il film lanciò in Italia il filone dei film di kung-fu, il cui unico esempio appena al di sopra della linea di galleggiamento della dignità è un imperdibile film di Mario Caiano, Il mio nome è Shangai Joe.
Narra la leggenda, invero, che la prima volta che compare realmente la mossa dei cinque colpi sia in un cartone animato di Ken il guerriero, ma nessuno è certo di questo. Pare.
Io la mossa non l'ho ancora imparata, mi sto impratichendo con la "mossa velocissima delle cinquecento bastonate letali", ma quando sarò pronto il maestro me la insegnerà.
«Tanto tempo fa, in Cina - si trattava all'incirca dell'anno 1003 - il sommo sacerdote del Clan del Loto Bianco Pai-mei stava camminando per strada, contemplando qualsiasi cosa un uomo dal potere infinito come Pai-mei potesse contemplare - quando un monaco Shaolin apparve nella strada, diretto dalla parte opposta. Quando il monaco e il prete si incrociarono, Pai-mei, in una pressoché inspiegabile dimostrazione di generosità, rivolse al monaco un impercettibile cenno di saluto: il cenno non fu ricambiato.
Intenzione del monaco era forse quella di insultare Pai-mei?
O forse non era egli riuscito a vedere il generoso gesto sociale?
Le ragioni del monaco restano ignote. Ma sono note le conseguenze.
Il mattino seguente, Pai-mei si presentò al tempio Shaolin e pretese che il sommo abate del tempio gli offrisse il suo collo da tagliare, per rimediare all'insulto. L'abate all'inizio cercò di consolare Pai-mei, ma ben presto si accorse che Pai-mei era inconsolabile. Così cominciò il massacro del tempio Shaolin e di tutti i sessanta monaci che ospitava, per mano del Loto Bianco.
E così cominciò la leggenda della Tecnica dell'esplosione del cuore con cinque colpi delle dita
».
Io la mistica giapponese continuo a non capirla.

cinque

Aerogami.
O, più comunemente, aeroplanini di carta. Prima di cominciare, le istruzioni per costruire il modello base che, nonostante la semplicità, è in grado di dare le sue belle soddisfazioni, specie se scagliato dal centoduesimo piano di un grattacielo non troppo ventoso. Qui.
Le teorie sul miglior modo di costruire un aereo di carta sono molteplici e quasi nessuna concorde, vale a dire la stessa cosa che succede per gli aerei normali. Qualcuno sostiene che ci voglia assolutamente la coda, per stabilizzare il volo, qualcun altro dissente. Come Edmond Hui che nel 1977 costruì il Paperang, sul modello del B2 Spirit da guerra, definendolo il miglior aereo di carta del mondo.
In effetti, pare che faccia delle planate incredibili anche se, a causa di una graffetta necessaria alla costruzione, è un po' pesante. Qui le istruzioni.
Di diverso parere è, invece, Ken Blackburn che, con il suo aeroplanino a coda, ha stabilito il record mondiale di permanenza in aria: 27,6 secondi al chiuso. Anche Michael O'Really concorda con questa scuola di pensiero e posta qui le istruzioni per costruire "il miglior aereo di carta del mondo". Con coda.
E sono due, per ora, i migliori aerei di carta del mondo. Punti di vista.
Naturalmente, come per ogni cosa, è stata fondata un'associazione di appassionati al volo cartaceo con tutto lo scibile al riguardo riassunto in un sito. Esistono, com'è chiaro, molti modelli di aerei di carta ed alcuni, poco pratici per volare, sono incredibilmente belli ed eleganti, mentre altri garantiscono prestazioni notevoli tralasciando l'estetica. Un po' di collegamenti a istruzioni per costruire i modelli più disparati:
Fast Flying Paper Airplanes, The best paper gliders, Unusual Paper Aircraft, My Favourite Paper Airplanes, McShane's planes, Joseph Palmer's Paper Airplanes.
Se poi uno volesse, ma la vergogna ricada su di lui, ci sono anche i modelli già pronti da stampare e da piegare, qui. Mi pare, però, che si annacqui banalmente il significato dell'operazione.
Il fatto che costruire un aeroplanino di carta sia sostanzialmente un'attività a perdere, mettendoci molto di più a costruirlo che a farlo volare ed essendo, più o meno, un'operazione che consente un uso una tantum, rende il tutto, a mio parere, molto affascinante.
Sto sperimentando in questi giorni, peraltro, il valore terapeutico degli aeroplanini di carta, come da vecchie immagini della Settimana Enigmistica o di commedie americane anni Cinquanta: prendere un foglio dal tavolo dell'ufficio, preferibilmente importante e in scadenza, e farne tranquillamente un aeroplanino. Guardarsi attorno in modo da essere sicuri di essere visti e tirarlo fuori dalla finestra con soddisfazione.
Un po' oleografico, forse, ma funziona, funziona eccome. Fa passare le gastriti, il torcicollo, l'ansia, fa bere meno caffè e riporta la serenità interiore.
E ricicla utilmente la carta, fatto da non trascurare.

quattro

Amici per sempre.
Pinochet ha avuto un infarto, di quelli robusti. Niente di strano, avendo novantun anni, peccato solo non l'abbia avuto trentatre anni fa, se non - meglio - nella culla o all'oratorio mentre faceva la santa comunione e veniva benedetto la prima volta.
Il commento del figlio Marco Antonio, brutto pure lui: "Il suo destino è nelle mani di Dio". Il bello è che è vero o, quantomeno, diciamo che la Chiesa assiste pietosa alla fine del generale, esattamente come ha assistito lieta all'ascesa e alla dittatura.
Ecco, infatti, il lesto vescovo che si precipita al capezzale a somministrare l'estrema unzione (ora si dice "sacra unzione", pure peggio): la sacra unzione agli infermi è un sacramento e, come previsto dalla Costituzione apostolica Sacram Unctionem infirmorum (30 novembre 1972), ha la seguente formula rituale: "Per questa santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi".
Ora, non voglio riscoprire per l'ennesima volta l'acqua (santa) calda versata in favore di personaggi quantomeno opinabili, la lista è risaputa e lunga e potrei cominciare - per dirne una - dai membri dell'Opus Dei presenti nei governi di Franco, vorrei semplicemente utilizzare questo spazietto per due scopi, principalmente: il primo, augurare la morte a Pinochet il prima possibile, che ha già abusato abbastanza di questo mondo e della vita in generale, si tolga dai marroni che i danni sono già molto ingenti; il secondo, offrire una piccola galleria fotografica di dubbissimo gusto, tanto per aggiornare la lista nera:

Qualche didascalia: il santo padre ricambia la visita e va in Cile; suorine devote che omaggiano lo statista; una bella parata militare a Santiago per il capo dei cattolici nonché rappresentante di dio in terra; il presidente cileno in visita festosa a Roma dal balcone di san pietro; il primo ministro inglese riceve lieta un capo di governo straniero; il segretario di stato americano nonché Nobel per la pace omaggia l'amico presidente cileno; il futuro presidente cileno con il presidente cileno fino all'11 settembre 1973; la junta di governo cilena fa bella mostra di sé nel settembre 1973.
Il capitolo non è ancora chiuso e non si chiuderà di certo quando Pinochet leverà, finalmente, le tende.
Tra le altre cose, resteranno a sua memoria la Fondazione Pinochet e i suoi sostenitori.

Troppe complicità per chi ha tradito un paese (di Luis Sepulveda).
Sono chiuso in casa da tre settimane per terminare un romanzo, senz'altra compagnia se non quella del mio cane Zarko e del mare, felice tra i miei personaggi, ma dalle prime ore di domenica, ho cominciato a ricevere delle telefonate dei miei amici e amiche del Cile.
"Prepara i calici", mi dicono dal mio lontano paese. Ho pronta una bottiglia di Dom Perignon in frigorifero. È un riserva speciale e me la regalò a questo fine il mio caro amico Vittorio Gassman una sera a Trieste. "Spero che la berremo insieme", mi disse in quell'occasione e sarà così, perché a casa mia c'è un calice che porta inciso il suo nome.
Alla radio, una voce dice che il tiranno sta davvero male e che, a quanto pare, stavolta la Parca se lo porterà all'inferno degli indegni, anche se noi cileni non ci fidiamo mai delle repentine malattie che lo colpiscono ogni volta che deve affrontare la giustizia.
Vorrei essere in Cile tra i miei cari e condividere con loro la spumeggiante allegria di sapere che finalmente finisce l'odiosa presenza del vile che ha mutilato le nostre vite, che ci ha riempito di assenze e di cicatrici. Pinochet non solo ha tradito il legittimo governo guidato da Salvador Allende, ha tradito un modello di paese e una tradizione democratica che era il nostro orgoglio, ma in più ha tradito anche i suoi stessi compagni d'armi negando che gli ordini di assassinare, torturare e far scomparire migliaia di cileni li dava lui personalmente, giorno dopo giorno. E come se non bastasse, ha tradito i suoi seguaci della destra cilena rubando a dismisura e arricchendosi insieme al suo mafioso clan familiare.
L'ex dittatore paraguayano, Alfredo Stroessner, è morto poco tempo fa nel suo esilio brasiliano, pazzo come un cavallo, dichiarando persone non gradite in Paraguay cento persone al giorno i cui nomi estraeva dall'elenco del telefono di Sau Paulo. Pinochet, invece, muore simulando una follia che gli permette fino all'ultimo minuto di fare assegni e transazioni internazionali per nascondere la fortuna che ha rubato ai cileni. Muore amministrando il suo bottino di guerra con la complicità di una giustizia cilena sospettosamente lenta.
Smette di respirare un'aria che non gli appartiene, di abitare in un paese che non merita, tra cittadini che per lui non provano altro che schifo e disprezzo. Ma muore, e questo è quello che importa. La sua immagine prepotente di "Capitán General Benemérito", titolo di ridicola magniloquenza che si autoconcesse, svanisce nella figura dell'anziano ladro che nasconde il suo ultimo furto tra i cuscini della sedia a rotelle.
Ma muore, e questo è quello che importa.
Prima di tornare al mio romanzo, apro il frigorifero e palpo il freddo della bottiglia. Poi dispongo i calici con i nomi dei miei amici che non ci sono, dei miei fratelli che difesero La Moneda, di quelli che passarono nei labirinti dell'orrore e non parlarono, di quelli che crebbero nell'esilio, di quelli che fecero tutte le battaglie fino a sconfiggere il miserabile che ha gettato un'ombra sulla nostra vita per sedici anni ma non ci ha tolto la luce dei nostri diritti. Con tutti loro brinderò con gioia alla morte del tiranno.
(traduzione di Luis E. Moriones)

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