letturine del mese:
AAVV (a cura di G. Pedullà)
Racconti della Resistenza
Tim
Adams
Essere John McEnroe
Fulvio Abbate
Roma. Guida non
conformista alla città |
trivigante in 27
luoghi:
uno,
due,
tre,
quattro,
cinque,
sei,
sette,
otto,
nove,
dieci,
undici,
dodici,
tredici,
quattordici,
quindici,
sedici,
diciassette,
diciotto,
diciannove,
venti,
ventuno,
ventidue,
ventitre,
ventiquattro,
venticinque,
ventisei,
ventisette |
trivigante
2006 |
|
Portella della
Ginestra.
Sessant'anni dalla prima strage dell'Italia
repubblicana, domani. Il PCI aveva appena vinto le
elezioni regionali in Sicilia con il PSI, il
Blocco del Popolo (e la
storia, forse, sarebbe stata
davvero
diversa), si andava a festeggiare il primo maggio
nella piana e a manifestare contro i latifondisti,
com'era usanza fin da prima che il fascismo
proibisse la riunione.
Erano in tanti, quel giorno, duemila tra lavoratori,
bambini, donne.
Sui monti che danno sulla piana c'era pure Giuliano
con la banda, i fascisti della Decima MAS, gli
americani e chissà chi altro, tutti armati.
Due minuti di colpi di mitragliatore e fucili in
mezzo alla folla, undici morti, tra cui due bambini
(Giovanni Megna, Vito Allotta, Vincenza La Fata,
Giovanni Grifò, Lorenzo Di Maggio, Francesco Vicari,
Castrenza Intravaia, Giorgio Cusenza, Margherita
Clesceri, Serafino Lascari, Filippo Di Salvo),
cinquanta feriti.
Si disse che era stato Giuliano, che la politica non
c'entrava (Scelba: "Niente,
questo è banditismo comune; basta con gli arresti di
mafiosi e mandanti indiziati"),
poi Giuliano fu ammazzato da Pisciotta e Pisciotta
avvelenato in carcere. Scelba rimase, come tutti gli
altri, Guttuso ne fece alcuni
quadri e i nomi e i cognomi dei mandanti non
furono mai individuati.
Ci sono, però, le
interviste ai testimoni, che qualcuno si è preso
la briga di raccogliere con buona volontà e, come
sempre, chi lo vuole davvero troverà le ragioni e i
colpevoli, ancora oggi. |
Luoghi, altro che
non luoghi.
Se qualcuno, quand'anche pieno di cattiveria e
brutto dentro e fuori, fa qualcosa di giusto e
bello, bisogna ammetterlo e complimentarsi. Me l'ha
insegnato la mia amica Angelica e io sto imparando.
E, allora, ammetto e mi complimento con Microsoft
per
Live Maps, operazione forse copiata o emulata da
altri, i cui risultati sono senza dubbio superiori,
al momento, dei diretti concorrenti, anche se ancora
non hanno inserito le fotografie e le piante 3d di
tutto il pianeta. Viene voglia di spremerlo, di
vedere fin dove arriva, di giocarci e trovare un
filo logico tra i dati e le fotografie: uno, per
esempio, potrebbe essere la
mia vita finora
riassunta per luoghi, concentrati con poco
criterio, allo scopo di capire - io - cosa ho
combinato di splendido finora, dove sono stato e,
magari, dove sto andando a cozzare.
Oppure se esiste un inconsapevole piano che mi porta
da qualche parte senza che io me ne sia ancora reso
conto, magari se sto girando in tondo su una ruota
che gira.
Vado
alla ricerca dei posti dei primi apprendimenti
triviganteschi (uno,
due), tra cui alcune scuole (tre,
quattro,
cinque) nelle quali mi obbligavano a svegliarmi
presto e a stare fermo e zitto; se per un certo
periodo qualcuno ha cercato di instillarmi il senso
di Dio (sei),
con i risultati, ottimi, di rendermi in seguito un
discepolo dell'hard rock demoniaco e
fastidioso, nel frattempo i miei genitori cercavano
con una certa insistenza di educare il mio senso
estetico (sette),
di farmi respirare lo iodio che fa tanto bene (otto)
o variamente l'aria di montagna che guarisce la
pertosse (nove),
piuttosto che cercare di farmi imparare qualcosa (dieci).
Io, poi, mi sono dedicato a studi scelti
volontariamente (undici)
per alcuni anni, che hanno formato il mio nucleo
trivigantesco in modo sostanziale, anche e
soprattutto grazie all'intenso vagolare di quei
tempi (dodici);
inutile dire che ho cambiato diverse case, nel tempo
(tredici,
quattordici,
quindici,
sedici,
diciassette,
diciotto) e diversi lavori (diciannove,
venti,
ventuno,
ventidue,
ventitre,
ventiquattro), giusto per procedere per
accumulo. Posso immaginare dove sarà una parte di
futuro (venticinque)
e so dov'ero l'altroieri (ventisei),
di posti ne mancano ancora tanti, uno per tutti (ventisette),
però posso dire senza timore che il filo conduttore
di tutto questo è una incredibile, mostruosa, quasi
imbarazzante, sfacciata dose di culo (leggasi:
fortuna), tante cose fatte e tante cose da fare,
ricordi e possibilità.
Quindi, ecco la morale: su con la vita che sempre
alegri bisogna stare. Oplà, fate il vostro gioco. |
venticinque (buona festa ai
coraggiosi) |
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Lapide ad
ignominia
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi
italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo
sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA |
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Albert Kesselring
durante il secondo conflitto mondiale fu il
comandante della forze delle forze armate
germaniche in Italia. A fine conflitto (1947) fu
processato e condannato a morte per i numerosi
eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai
suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di
Marzabotto e molte altre). Successivamente la
condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli
venne rilasciato nel 1952 per le sue
suppostamente gravi condizioni di salute. Tale
gravità fu smentita dal fatto che Kesselring
visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove
divenne quasi oggetto di culto negli ambienti
neonazisti della Bavaria.
Tornato libero, Kesselring sostenne di non
essere affatto pentito di ciò che aveva fatto
durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in
Italia e, anzi, dichiarò che gli italiani, per
il bene che aveva loro asseritamente fatto,
avrebbero dovuto erigergli un monumento. In
risposta a queste affermazioni Piero Calamandrei
scrisse la celebre epigrafe "Lo avrai, camerata
Kesselring...", il cui testo venne posto sotto
una lapide ad ignominia che il comune di Cuneo
ha dedicato a Kesselring. Buona festa a tutti.
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Resistenza/uno.
La foto non tragga in inganno:
la ragazza, Nili, è
israeliana e i soldati sono dell'esercito di Israele
(IDF), incaricati di sgomberare Amona, un avamposto
abusivo non lontano da Ramallah.
Il coraggio non le manca. Intervistata qualche
giorno dopo dal quotidiano
Yedioth Ahronoth, afferma che giustamente
"non c'è niente di cui essere orgogliosi, quella
foto è semplicemente un imbarazzo per lo Stato
ebraico: invece di difendere il popolo e la terra di
Israele, le forze di sicurezza distruggono le case
degli ebrei". La foto ha appena vinto il Pulitzer ma
è postata oggi perché significa resistenza.
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Resistenza/due (cronaca di una
morte davvero annunciata).
"Volevo
avvertire il nostro ignoto estortore che non siamo
disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto
la protezione della polizia".
10 gennaio 1991, Libero Grassi,
imprenditore siciliano, scrisse una lettera al
Giornale di Sicilia
nella quale denunciava il racket del pizzo e si
rifiutava di pagare, la frase qui sopra è tratta da
lì. Ci stupimmo tutti, favorevolmente, qualcuno
disse che era un uomo coraggioso. Qualcuno disse che
era un uomo stupido.
Io pensavo che lo Stato ne avrebbe fatto un simbolo
o, per lo meno, lo avrebbe protetto a qualunque
costo.
Andò anche da Santoro, l'11 aprile 1991, a dire: "Non
sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace
pagare. Non condivido le mie scelte con i mafiosi,
faccio l’imprenditore da tanti anni e voglio
rimanere libero". Salvatore Cozzo, presidente
dell'Associazione Industriali di Palermo, gli
consiglio di tacere (testuale: "Le
buone famiglie tendono a tacere") e lo accusò
di aver sollevato una "tammurriata", dipingendo la
Sicilia come terra di sola criminalità. Figuriamoci.
Restò solo. Fu ucciso, ovviamente, la mattina del 29
agosto 1991 alle 7.30.
Essere uccisi perché si resiste non mette in
discussione l'essenza e i motivi della resistenza
stessa, resistere non è mai inutile e l'atto e il
significato non possono essere vanificati da
alcunché.
Alcuni giorni prima di morire scrisse una lettera al
Corriere della Sera nella quale raccontava la
vicenda (e la lettera fu pubblicata postuma,
complimenti davvero):
"La
"Sigma" è un'azienda sana, a conduzione
familiare. Da anni produciamo biancheria
da uomo: pigiami, boxer, slip e
vestaglie di target medio-alto che
esportiamo in tutta Europa. Abbiamo 100
addetti: 90 donne e 10 uomini. Il nostro
giro d'affari è pari a 7 miliardi annui.
Evidentemente è stato proprio l'ottimo
stato di salute dell'impresa ad attirare
la loro attenzione.
La prima volta mi chiesero i soldi per i
"poveri amici carcerati", i "picciotti
chiusi all'Ucciardone". Quello fu il
primissimo contatto. Dissi subito di no.
Mi rifiutai di pagare. Così iniziarono
le telefonate minatorie: "Attento al
magazzino", "guardati tuo figlio",
"attento a te". Il mio interlocutore si
presentava come il geometra Anzalone,
voleva parlare con me. Gli risposi di
non disturbarsi a telefonare. Minacciava
di incendiare il laboratorio. Non avendo
intenzione di pagare una tangente alla
mafia, decisi di denunciarli.
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera
al "Giornale di Sicilia" che iniziava
così: "Caro estortore...". La mattina
successiva qui in fabbrica c'erano dei
carabinieri, dieci televisioni e un
mucchio di giornalisti. A polizia e
carabinieri consegnai 4 chiavi
dell'azienda chiedendo loro protezione.
Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla
polizia entrarono due tipi strani.
Dissero di essere "ispettori di sanità".
Fuori però c'era l'auto della polizia e
avevano grande premura. Volevano parlare
a tutti i costi con il titolare. Scesi e
dissi loro che il titolare riceve solo
per appuntamento e al momento era
impegnato in una riunione. Se ne
andarono. Li descrissi alla polizia e
loro si accorsero che altri imprenditori
avevano fornito le medesime descrizioni.
Gli esattori del "pizzo", i due che
indifferentemente si facevano chiamare
geometra Anzalone, altri non erano che i
fratelli gemelli Antonio e Gaetano
Avitabile, 26 anni.
Furono arrestati il 19 marzo insieme ad
un complice.
Una bella soddisfazione per me, ma anche
qualche delusione; il presidente
provinciale dell'Associazione
industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò
che avevo fatto troppo chiasso. Una "tamurriata"
come si dice qui. E questo, detto dal
rappresentante della Confindustria
palermitana, mi ha ferito. Infatti
dovrebbero essere proprio le
associazioni a proteggere gli
imprenditori. Come? È facile. Si
potrebbero fare delle assicurazioni
collettive. Così, anche se la mafia
minaccia di dar fuoco al magazzino si
può rispondere picche. Ma anche a queste
mie proposte il direttore
dell'Associazione industriali di
Palermo, dottor Viola, ha detto no,
sostenendo che costerebbe troppo. Non
credo però si tratti di un problema
finanziario, è necessaria una volontà
politica.
L'unico sostegno alla mia azione, a
parte le forze di polizia, è venuta
dalla Confesercenti palermitana. Devo
dire di aver molto apprezzato
l'iniziativa SoS Commercio che va nella
stessa direzione della mia denuncia.
Spero solo che la mia denuncia abbia
dimostrato ad altri imprenditori
siciliani che ci si può ribellare.
Non ho mai avuto paura ed ora mi sento
garantito da ciò che ho fatto.
La decisione scandalosa del giudice
istruttore di Catania, Luigi Russo (del
4 aprile 1991) che ha stabilito con una
sentenza che non è reato pagare la
"protezione" ai boss mafiosi, è
sconvolgente. In questo modo infatti è
stato legittimato con il verdetto dello
Stato il pagamento delle tangenti. Così
come la resa delle istituzioni e le
collusioni. Proprio ora che qualcosa si
stava muovendo per il verso giusto.
Stabilire che in Sicilia non è reato
pagare la mafia è ancora più scandaloso
delle scarcerazioni dei boss. Ormai
nessuno è più colpevole di niente. Anzi,
la sentenza del giudice Russo suggerisce
agli imprenditori un vero e proprio
modello di comportamento; e cioè, pagate
i mafiosi.
E quelli che come me hanno invece
cercato di ribellarsi?
Ora più che mai le Associazioni
imprenditoriali che non si impegnano
sinceramente su questo fronte vanno
messe con le spalle al muro.
La risposta infatti deve essere
collettiva per spersonalizzare al
massimo la vicenda". |
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Resistenza/tre:
Bruno Frittaion (Attilio), diciannove anni,
partigiano.
Di anni 19,
studente, nato a San Daniele del Friuli (Udine) il
13 ottobre 1925; sino dal 1939 si dedica alla
costituzione delle prime cellule comuniste nella
zona di San Daniele; studente del III corso di
avviamento professionale, dopo l'8 settembre 1943
abbandona la scuola unendosi alle formazioni
partigiane operanti nella zona prende parte a tutte
le azioni del Battaglione "Písacane", Brigata
"Tagliamento" e, quindi, con funzioni di
vice-commissario di Distaccamento, dei Battaglione
"Silvio Pellíco ". Catturato il 15 dicembre 1944 da
elementi delle SS italiane, in seguito a delazione,
mentre con il compagno Adriano Carlon si trova nella
casa di uno zio a predisporre i mezzi per una
imminente azione, tradotto nelle carceri di Udine,
più volte torturato. Processato il 22 gennaio 1945
dal Tribunale Militare Territoriale tedesco di
Udine. Fucilato il 1 febbraio 1945 nei pressi dei
cimitero di Tarcento (Udine), con Adriano Carlon,
Angelo Lipponi, Cesare Longo, Elio Marcuz, Giannino
Putto, Calogero Zaffuto e Pietro Zanier.
31 gennaio 1945
Edda
voglio scriverti queste mie ultime, e poche righe.
Edda, purtroppo sono le ultime si, il destino vuole
così, spero ti giungano di conforto in tanta triste
sventura.
Edda, mi hanno condannato alla morte, mi uccidono;
però uccidono il mio corpo non l'idea che c'è in me.
Muoio, muoio senza alcun rimpianto, anzi sono
orgoglioso di sacrificare la mia vita per una causa,
per una giusta causa e spero che il mio sacrificio
non sia vano anzi sia di aiuto nella grande lotta.
Di quella causa che fino a oggi ho servito senza
nulla chiedere e sempre sperando che un giorno ogni
sacrificio abbia il suo ricompenso. Per me la
migliore ricompensa era quella di vedere fiorire
l'idea che purtroppo per poco ho servito, ma sempre
fedelmente.
Edda il destino ci separa, il destino uccide il
nostro amore quell'amore che io nutrivo per te e che
aspettava quel giorno che ci faceva felici per
sempre. Edda, abbi sempre un ricordo di chi ti ha
sempre sinceramente amato. Addio a tutti.
Addio Edda |
Resistenza/quattro: Albino Albico, ventiquattro
anni,
partigiano.
Di anni 24,
operaio fonditore, nato a Milano il 24 novembre
1919. Prima dell’8 settembre 1943 svolge propaganda
e diffonde stampa antifascista, dopo tale data è uno
degli organizzatori del GAP, 113a Brigata Garibaldi,
di Baggio (Milano), del quale diventa comandante.
Arrestato il 28 agosto 1944 da militi della "Muti",
nella casa di un compagno, in seguito a delazione di
un collaborazionista infiltratosi nel gruppo
partigiano, tradotto nella sede della "Muti" in Via
Rovello a Milano, torturato, sommariamente
processato. Fucilato lo stesso 28 agosto 1944,
contro il muro di Via Tibaldi 26 a Milano, con
Giovanni Aliffi, Bruno Clapiz e Maurizio Del Sale.
Carissimi,
mamma, papà, fratello sorella e compagni tutti,
mi trovo senz’altro a breve distanza
dall’esecuzione. Mi sento però calmo e muoio sereno
e con l’animo tranquillo. Contento di morire per la
nostra causa: il comunismo e per la nostra cara e
bella Italia.
Il sole risplenderà su noi "domani" perché TUTTI
riconosceranno che nulla di male abbiamo fatto noi.
Voi siate forti come lo sono io e non disperate.
Voglio che voi siate fieri ed orgogliosi del vostro
Albuni che sempre vi ha voluto bene. |
Una
veloce
occhiata al rock neofascista italiano.
Si avvicina il 25 aprile e io, con la primavera,
sento innalzarsi il mio tasso di antifascismo
aggressivo, sento il desiderio fisico di fare a
botte negli spartitraffico con legioni e legioni di
neofascisti armati di cric, ovviamente umiliandoli
tutti e costringendoli a ritirarsi nelle putride e
fangose tane ove provengono.
E' un'idea un pochetto oleografica della lotta, mi
rendo conto, ma prefigurarmi il fascista che esce da
una pozza liquamosa con intenti belluini mi aiuta a
convogliare il sentimento di odio e repulsione.
Il rock fascista, nazionalista, reazionario,
bonehead, nazi-punk etc., dicevo. Siccome non è che
la cosa mi appassioni più di tanto, mi limito a uno
sguardo d'insieme, per avere una panoramica delle
zone oscure.
Il tutto può essere riassunto sotto l'acronimo
RAC (Rock Against
Communism), formuletta-collante che si fa risalire a
Ian Stuart, cantante
degli Screwdriver più o
meno attorno al '77.
In questo ambito, se vi svegliate la mattina e dalla
radio un tizio canta: "Istria, Fiume e Dalmazia / né
Slovenia né Croazia / Terra rossa, terra istriana /
Terra mia, terra italiana", state sentendo
Terra Rossa
degli Ultima Frontiera;
roba lieve, se paragonata a
Colpevole di essere bianco dei
Peggior Amico, che
suona un po' così: "Roulotte e accampamenti e orde
di immigrati / fuori dall'Italia, fuori i
parassiti", cretineria veronese ben peggio del
pandoro. Una bella lotta con i
Gesta Bellica, il pezzo è
8 settembre '43,
che sostengono: "Ma io sono camicia nera, la mia
patria è la mia bandiera / ma io sono camicia nera,
nel mio cuore una fede sincera / ma io sono camicia
nera, dò la vita per l'Italia intera". Fuori dai
contenuti, agghiaccianti, il livello stilistico e
poetico è, con evidenza, sub-elementare, rozzo, il
che - comunque - è più che sufficiente a riempire
bar e discoteche vicino al movimento.
Infatti,
la costellazione dei gruppi aderenti a vario titolo
all'area ideologica sono parecchi, per lo più
provenienti dalle zone più nere d'Italia, vale a
dire Veneto e Friuli; ne cito un po':
270 bis,
A.D.L.122,
Bahnhof,
Civico 88,
Dioxina,
Feccia Tricolore,
Frangia Violenta,
Fronte del Porto,
Gangland,
Gavroche,
Gesta Bellica,
Hobbit,
Hope and Glory,
Legittima Offesa,
Nabat,
Offensiva,
Plastic Surgery,
Peggior Amico,
Rommel Skins,
Reazione,
Rip Off,
Rough,
Spina nel Fianco,
The Arrogants,
War Boots,
Worthless,
Porco 69. Anche se il
disco più venduto in assoluto raggiunge a malapena
le quindicimila copie, il movimento è più che
attivo, la cosa non va sottovalutata, soprattutto
grazie all'opera nefasta di alcune case
discografiche, come la Hate
division, la
Rupe Tarpea, la
Skinhouse Production e, maggiormente, la
Tuono Records.
Esistono anche numerosi cantautori, tra cui spicca,
sebbene sia morto, Massimo Morsello (l'agghiacciante
sito). Morsello, dopo aver militato nel
Fronte, nel
FUAN, nell'MSI,
fu con Roberto Fiore
tra gli aderenti a Terza
Posizione e tra i fondatori di
Forza Nuova. Oltre a
cantare, autodefinendosi il De
Gregori fascista (qui
un articolo-intervista del Messaggero del 1996),
Morsello, scappato a Londra dopo varie condanne per
associazione sovversiva, in relazione anche alla
strage di Bologna, nel
1986 fondò la nota Meeting
Point, poi
Easy London, organizzazione ancora attiva, molto
equivoca, che si occupa tuttora di giovani studenti
e lavoratori a Londra fornendo loro impiego,
pernottamento e contratti di lavoro, con profitti
molto ingenti (milioni di euro!). Secondo la
Commissione stragi del
Parlamento italiano, "è accertato che sia il
Movimento politico occidentale sia altri gruppi
neofascisti e neonazisti hanno
ricevuto rimesse di denaro da due noti
personaggi già aderenti a Terza posizione,
Roberto Fiore e Massimo
Morsello, rimasti a lungo latitanti a Londra
ove hanno avviato, nel corso degli anni, cospicue
attività economiche. Non più ricercati dalla
giustizia italiana (il Fiore perché è sopravvenuta
una declaratoria di prescrizione della pena,
pronunciata dalla Corte di Appello nel marzo del
1998; il Morsello, per una sopravvenuta sospensione
della pena per gravi motivi di salute),
essi sono di recente
ricomparsi nel territorio nazionale per gestire
Forza Nuova, un movimento creato dagli stessi
nel 1997 e ora attivo in diverse province con
progetti di partecipazione alle competizioni
elettorali".
Qui la relazione della Commissione.
Insomma, la questione è aperta e molto complessa, le
galassie neofasciste sono molteplici e piuttosto
attive, inutile e dannoso pensare che non esistano,
lavorano ai fianchi dove i presidii democratici e
libertari sono più deboli o assenti. Non bisogna,
dunque, guardare altrove. |
Ciccio Bombo
cannoniere contro i malvagi telefonisti.
Franco Nicoli Cristiani, assessore della Regione
Lombardia alle fiere e ai mercati (e pregiudicato
con un paio d'anni di condanna definitiva alle
spalle), oltre che un'ottima icona per rappresentare
al meglio l'idea della grassa volgarità e
dell'ingordigia al potere, è anche uno dei tanti
scendiletto utilizzati da Roberto Formigoni, a sua
volta scendiletto altrui. Di sicuro è morbido.
La vicenda: ai catto-elettori forzisti lombardi i
phone center stanno
sulle palle. Primo, perché sono gestiti e utilizzati
più che altro da immigrati, visto che le persone
civili possiedono come minimo un cellulare, cribbio,
e poi non non si capisce tutta 'sta smania di
telefonare alle famiglie sperdute in chissà quale
paese, quando hanno la bella fortuna di vivere in
Italia, il paese più bello del mondo. Che mandino
cartoline, su.
Secondo, pare evidente che i
phone center siano losche coperture per
centri di spaccio internazionale di droga e borsette
di Gucci, per affari finanziari che portano di certo
al crollo di borse e torri, per lo spargimento di
effluvi pestilenziali che portano alla corruzione
della nostra bella aria.
Ma
il panzuto
Franco Nicoli Cristiani mica può espellere una
legge discriminatoria nei confronti di chicchessia,
almeno non palesemente, e quindi, in accordo con il
Gran Consiglio della Montagna
del Sapone della Regione Lombardia, ha
accrocchiato un anno fa
una bella legge di disciplina del settore. La
notizia non è nuova, lo so, il fatto è che il
termine perentorio della legge è scaduto qualche
giorno fa, chi non è in regola, chiude. Dice,
infatti, la legge: vuoi aprire o continuare ad avere
un phone center? Bene, devi rispettare alcune brevi
norme di buon senso. Prima di tutto, devi avere
molti parcheggi vicini
all'esercizio e quanto sia quel "molti" lo
stabilisce il Comune; poi, devi avere una
sala d'aspetto di almeno 9
metri quadri; se il tuo locale è inferiore a
sessanta metri quadri, devi avere
almeno due bagni
(altrimenti, tre);
la domenica devi chiudere,
non puoi tenere aperto oltre
le 22 e devi chiedere i
documenti a chi viene a telefonare. Un
laboratorio di analisi, più che un phone center. E,
in ultimo, le cabine
telefoniche devono essere di almeno
95 centimetri di lato.
Ma che cazzo vuol dire che le
cabine Telecom sono di
85 centimetri di lato? Volete far venire il
nervoso al sergente
Nicoli Cristiani? Chi siete, maghrebini
sovversivi? Se solo il 15% dei phone center in
Lombardia è in grado di ottemperare alla legge,
allora vuol dire che ce n'era bisogno. Lo dice anche
la Lega. Prot!
Andiamo tutti a mangiare, su. |
Cronaca di una
morte davvero annunciata.
Era venuto in Europa nel novembre del 1998, per
portare alla nostra attenzione di occidentali la
questione kurda, Abdullah
Ocalan, il fondatore del
PKK, il partito dei
lavoratori kurdi. La cosiddetta "minoranza" kurda,
giusto per dare un dato e avere un'idea, è composta
di venti milioni di persone.
Appena arrivato a Roma, scelta come meta per le
esplicite aperture del governo di centrosinistra,
Ocalan venne arrestato, all'aeroporto di Fiumicino,
dove arrivava da Mosca. Due dati: 1998 e governo D'Alema.
Poi: chiese asilo politico, poiché ritornare in
Turchia, che ne reclamava con toni perentori
l'estradizione, sarebbe equivalso a una condanna a
morte. Il 15 gennaio 1999 il governo D'Alema
dichiarò ospite indesiderato Ocalan e cominciò
alcune trattative per sbolognarlo a qualche paese
europeo.
A
quel punto, fu Ocalan, nobile e combattivo, a non
voler più stare in Italia. E la cosa non stupisce.
Dopo un pietoso vagare per aeroporti, il 15 febbraio
fu catturato all'aeroporto di Nairobi con la
complicità americana e del Mossad e consegnato ai
turchi. Difficile scordare il momento dell'arresto:
imbottito di sedativi, con la benda sugli occhi,
barcollava e farfugliava, un'immagine terribile,
mentre le teste di cuoio lo schernivano. Che
vergogna quei giorni, per noi. Seguirono in ordine:
la reclusione, il processo farsa, la condanna a
morte. Poi commutata in ergastolo perché la Turchia
già allora provava a ingraziarsi la UE. A seguire,
umiliante, la beffa: il 4 ottobre 1999 l'Italia
concesse asilo politico a Ocalan.
Peccato fosse già recluso e condannato nel bunker
del carcere di Imrali.
Qualche giorno fa, è trapelata la notizia, riportata
da pochi giornali, che Ocalan sarebbe molto malato,
soffrirebbe di angina e di faringite, avrebbe gravi
problemi di respirazione, soffrirebbe di bruciori
sul corpo e di problemi di circolazione alle gambe,
la sua salute andrebbe costantemente peggiorando. E'
recluso in totale isolamento e i medici del carcere
più che provargli la febbre non fanno. Gli avvocati
italiani (tra cui Pisapia)
e turchi di Ocalan sono entrati in agitazione. Sono
riusciti a far uscire alcuni capelli di
Apo ("zio", come
lo chiamano in kurdo) e portarli in un laboratorio
indipendente di analisi, senza svelare l'identità
del proprietario: 32 elementi chimici, tra cui
arsenico, piombo e argento. Una concentrazione di
cromo sette volte superiore al normale e stronzio,
100 volte al di sopra della media.
Di cromo si muore, tumore, di stronzio ancora non si
sa. Ma è probabile. L'Europa potrebbe tirarlo fuori
con poco, imporre il rispetto dei diritti umani e
delle minoranze, in fin dei conti ha il
coltello dalla parte del manico, l'entrata nella UE
è troppo importante per i turchi e potrebbero venire
a patti facilmente pur di ottenere l'agognato
riconoscimento. Ma nessuno lo farà, Ocalan morirà
avvelenato e torturato, tanto mica è il primo, e la
cosa finirà lì, nessun colpevole.
Tutto questo, anche, grazie all'Italia. E' solo
questione di tempo, ormai, basta sedersi e
aspettare. |
quattro. Qui si giudica
dalla copertina (disco) - recensione di mr. A.
Paddy
pensava di avere esplorato tutte le dimensioni della
musica e dell'amore, ma un giorno era al parchetto
con il suo portapulci e la folgorazione di nuove
prospettive lo colse. Lui non era impreparato.
Paddy capì che l'amore non è solo faccenda di uomini
e/o donne, ma che pervade ogni cosa e ogni essere
vivente. Aprite gli occhi e anche tutto quello che
potete, sciocchini: la musica guiderà voi e il
vostro amichetto peloso verso una nuova, gaia,
frontiera. |
Ancora Wiesenthal.
Simon Wiesenthal aveva trentasette anni nel
1945, quando decise di dare la caccia ai nazisti
responsabili di crimini di guerra. Ora, a parer mio
vi sono alcune considerazioni interessanti, tra le
tante possibili, osservando gli accadimenti nella
vita di Wiesenthal. Prima, però, un corollario
basilare: i gerarchi nazisti, in gran parte, sono
(stati) incredibilmente, spudoratamente,
ingiustamente, maledettamente longevi. Io non so se
sia la gran cattiveria a garantire lunga vita, altro
che le vitamine, da qui le note considerazioni sui
migliori che se ne vanno sempre per primi, oppure
siano altri i fattori, fatto sta che la percentuale
di novantenni tra le fila dei criminali di prima
grandezza è impressionante (e imbarazzante).
Wiesenthal, uomo avvisato, accingendosi alla
missione della sua vita, supponeva di certo che
avrebbe impegnato, appunto, la sua intera vita alla
caccia dei fuggitivi, dato l'improbo e difficoltoso
compito e l'alto numero dei rei non confessi. E così
è stato: infatti, Wiesenthal è morto nel 2005 alla
veneranda età di novantasette anni, dopo che solo
due anni prima (!) si era ritirato, dichiarando: "Sono
sopravvissuto a tutti loro. Se ne è rimasto
qualcuno, sarebbe troppo anziano e debole per
sostenere un processo oggi. Il mio lavoro è finito".
Sessant'anni di consapevolezza senza mai mollare la
presa.
Io
credo che non esistano le coincidenze in alcuni casi
e questo è uno di quelli: infatti, Wiesenthal non
poteva morire, non sopravvivere ai suoi aguzzini
sarebbe stata una sconfitta e un fallimento enorme
da tutti i punti di vista, non solo il suo. Non si
trattò, secondo me, di una condanna ma di una
scelta, talmente forte e consapevole da dettare le
regole anche alla sua natura. Wiesenthal è morto non
perché aveva novantasette anni ma, con poesia,
perché aveva finito, finalmente, il suo lavoro e
raggiunto lo scopo.
Una questione determinante, oltre alla cattura dei
nazisti, era infatti sopravvivere più a lungo, era
scampato ai campi di concentramento, non sarebbe
morto prima di loro. Il confine tra una scelta
radicale e una condanna è sottile e, soprattutto,
può variare con il tempo e l'età.
Mi piace pensare che Wiesenthal non abbia mai avuto
dubbi sulla correttezza della propria scelta e che
se fossero rimasti nazisti ultracentenari ancora
vegeti, lui sarebbe rimasto in vita e gli sarebbe
corso dietro. A prescindere, un meraviglioso esempio
di lotta e di forza. Chapeau. |
tre. Qui si giudica
dalla copertina (libro).
Sintesi in quattro titoli
della mastodontica bibliografia di
Susan Johnson:
Hot legs, Hot pink, Hot
spot, Hot streak. Ha
inventato anche l'Hot dog e l'Hot
Torinolaringoiatria. Per donne di
gusto fine e discreto, come si intuisce
dalla copertina, resta memorabile l'uso
dei font e degli stili, vale a dire
tutti quelli che noi tutti non useremmo
mai, nemmeno davanti alla minaccia di un
clown vietnamita ciccione che cerca di
sedersi sulla nostra faccia. |
Vonnegut.
Kurt Vonnegut è morto
ieri e io vorrei postare una sua frase da
Cronosisma che potrebbe benissimo essere il suo
saluto finale: "Torno a casa.
Me la sono proprio spassata. State a sentire: siamo
sulla terra per cazzeggiare. Non credete a quelli
che vi dicono che non è così". Da oggi, tutti
cazzeggioni. Sul serio. |
due. Qui si giudica
dalla copertina (rivista).
Intrigo e
complotto, mistero e corruttismo,
abbiamo i nastri e lo incastreremo, il
Presidente, cacchio!
Nixon non cadde per le intercettazioni e
le inchieste, no, cadde per questa
copertina, per un'idea di sintesi
grafica che farebbe, ancora oggi, cadere
monumenti ed eroi. Oltre ai testicoli,
ovviamente. |
Ancora copertine.
Non posso resistere, è decisamente più forte di me:
sono devoto, attratto, rapito, affascinato,
attirato, appassionato, irrinunciabilmente
dipendente dalle brutte
copertine. Brutte copertine di qualunque
cosa, libri, dischi, riviste, manifesti (copertine
in senso lato) mi fanno impazzire e mi danno grande
soddisfazione. Chiunque scriva o canti qualcosa
metterà in copertina una sintesi della propria
essenza e della propria opera, non ci si scappa, e
cercherà disperatamente di fare il meglio che può.
Io vedo le copertine, alcune, e mi immagino
l'autore, a fianco del supergrafico, che soddisfatti
al tavolino si stringono la mano compiacendosi per
l'opera grandiosa. Risultato? Talvolta, un insulto a
centomila anni di esistenza umana. Meraviglioso, non
posso proprio resistere, anche perché la fonte è
inesauribile, le copertine sono miliardi e
continuano a crescere, voglio vederle tutte. Tutte.
Comincio dunque da oggi e per un po' un mini-post
giornaliero con una bella (ih ih) copertina che
diletti il mio buon gusto.
E parimenti qualche bell'esemplare anche negli
inendaut dei
prossimi giorni, nell'apposita pagina. |
uno. Qui si giudica
dalla copertina (disco).
L'autoironia
sulle copertine non viene mai molto bene, regola
uno.
Billy Bob miglior-grafico-del-Wyoming nonché giudice
supremo alla fiera inteconteale del suino, il giorno
in cui il suo maiale lasciò quest'esistenza terrena
per una migliore esistenza soprannaturale, concepì
quello che ritenne essere la sua miglior opera di
sempre: Beastiality.
D'altronde, che doveva fare, poareto, con un gruppo
formato da uno che si chiama
The handsome beasts e che anche senza il
telescopio pare un maiale che si è mangiato tre
maiali?
L'importante è non prendersi sul serio. Vero, ma
solo se non si hanno problemi o tare di tal
consistenza da imporre una seria riflessione sul
proprio stare al mondo.
Appare dunque evidente, concludendo, che il disco
dev'essere bellissimo e Billy Bob sia un genio
indiscusso. |
Wiesenthal e
vicinanze.
Di palo in frasca, alcune indicazioni bibliografiche
in cui mi sono imbattuto ultimamente e qualche
consiglio di genere. Qualche settimana fa ho letto
una recensione di Il
cacciatore di nazisti. Vita di Simon Wiesenthal
di Alan Levy, reportage con testimonianze e
documenti, oltre a una lunga intervista, sulla vita
di Wiesenthal, appunto, dicono molto ricco e ben
fatto, anche se con un paio di grosse lacune (le
idee politiche e la produzione letteraria, secondo
la recensione). Non l'ho preso, magari più avanti.
Quest'ultima,
la
produzione di Wiesenthal appunto, mi è però venuta
in mente o, almeno, quella che conosco io: avevo
letto anni fa un libro bellissimo,
Gli assassini sono tra noi,
racconto eccezionale delle ricerche, delle
difficoltà, dei turbamenti e dei dubbi di Wiesenthal
nella sua incessante ricerca di criminali nazisti
(1967, Garzanti, mai più ripubblicato, somma
vergogna!) che consiglio davvero; poi mi ero
appassionato e avevo letto anche
Max e Helen (sempre
Garzanti, 1996), un lungo racconto a tratti
dolcissimo dei motivi per cui una volta, l'unica,
Wiesenthal abbia lasciato libero un criminale
nazista che aveva individuato. Molte bello anche
questo. Vorrei, invece, mettermi alla ricerca di un
libro che non è più stato ristampato in italiano dal
1976 (Mondadori, somma vergogna!) e che riporto qui
anche con funzione di promemoria:
La casa di via Garibaldi
di Isser Harel, a capo del commando israeliano che
sequestrò Eichmann a Buenos Aires per condurlo a
processo, che racconta proprio quella storia, tra le
altre. |
Usciamo con le
mani in alto, siamo circondati.
Il gioco è abbastanza semplice, perlomeno fatto in
questo modo: si prendono diciassette persone,
possibilmente non troppo a caso, tra i
professionisti dei Consigli di amministrazione (vale
a dire, quelle persone che sono consiglieri di una o
- meglio - più società quotate in borsa e non si
capisce dove trovino il tempo per lavorare o giocare
a golf o stirare), come per esempio
Benetton, la figlia di
Ligresti, Alberto
Pirelli,
Tronchetti Provera,
Moratti,
Gros e
Bombassei, giusto per
citare i più noti.
Ma
ce ne sono parecchie tra cui scegliere.
Bene, a questo punto viene il difficile: bisogna
verificare in quanti e quali Consigli di
amministrazione sieda ogni personaggio scelto e poi
tracciare delle linee che portano dalla singola
persona a ogni società di cui è consigliere.
Prodigiosamente, le linee cominciano a intersecarsi,
a portare alle medesime società, a percorrere
tracciati già noti, a finire dove uno (io) non si
aspetterebbe mai.
Se avete scelto i nomi con un minimo di crisma, il
risultato è una figura come quella qui a destra (si
può ingrandire): diciassette personaggi in cerchio
che tengono in scacco una miriade di società di cui
sono, variabilmente, consiglieri e amministratori.
Va da sé che sono tutti amici e sodali, visto che -
credo - si vedono a scadenze bisettimanali in uffici
sempre diversi. Attenzione però: se avete scelto
nomi grossi, al centro troverete società del calibro
di Fiat,
Telecom,
Pirelli,
Eni,
Acea,
Luxottica,
Autogrill,
Lottomatica e così via.
La morale che ne discende quando si fa un gioco così
è nota: sono sempre le stesse persone.
E' interessante, però, vedere l'immagine che
rappresenta la situazione, mette un po' di ansia e
spinge, me almeno, ad alzare le mani e a uscire di
casa con la bandierina bianca. Un bel colpo
d'occhio.
E' possibile fare il gioco un bel po' più
facilmente, con l'ausilio di una bella banca dati
sui Consigli di amministrazione e qualche animazione
in Flash:
qui. Ma la fantasia e le idee ce le dovete
mettere voi, altrimenti non saltano mica fuori le
oscure connessioni e le forme spaventevoli. |
Una bella
invettiva dedicata ai tempi passati e attuali.
Ieri sera mi facevo alcune domande sull'arresto di
tre funzionari italiani della Comunità Europea con
l'accusa di corruzione, roba di una settimana fa
sulla quale è calato il silenzio più assoluto; poi
mi chiedevo che fine abbia fatto Paolo Bellini,
alias Roberto Da Silva, alias diosolosacosa,
personaggio di cui varrà la pena parlare ancora,
legato alla destra, ai servizi segreti, in
trattative con la mafia per conto dello Stato (o
viceversa). Poi ho letto qualcosa sulla morte di
Alceste Campanile, poi sul sequestro Cirillo a
Napoli e sugli accordi tra Cutolo e le BR, poi sulla
morte del commissario Ammaturo, insomma, tutta roba
così.
Sono stato preda dello sconforto, almeno un poco, e
ho ripensato a una cosa che avevo letto tempo fa e
che ben si attaglia ai miei sentimenti di ieri sera
verso il mio paese. La riporto:
Alla mia
nazione di Pier Paolo Pasolini
Non popolo arabo, non popolo balcanico,
non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati,
corrotti,
governanti, impiegati, di agrari,
prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i
piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii
bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia
libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni
di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi
palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come
chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non
esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei
incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi
pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di
ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera
il mondo. |
Un po' pesante,
direi, almeno nella chiusa, forse eccessiva (Pasolini,
però, a differenza mia aveva ben più di una
ragione giustificata per queste parole), certo è
che la descrizione degli italiani nei versi
centrali è azzeccata, vengono in mente alcuni
volti noti e anche alcuni nomi, precisi precisi.
Un luminoso esempio di quanto vado dicendo?
Francesco Zecchina,
costruttore, depone al processo sulle tangenti
per la ricostruzione post-terremoto il 17 maggio
1993 e parla di Paolo
Cirino Pomicino: "Pomicino mi chiese
di dare un contributo di 100 milioni, in rate da
10 milioni a Pasqua e 10 a Natale, per cinque
anni, a don Salvatore D'Angelo, che ha il
Villaggio dei ragazzi a Maddaloni. Pomicino mi
fece questa richiesta dopo un suo viaggio a
Houston, dove era stato sottoposto a un
intervento al cuore e mi specificò che aveva
fatto voto di aiutare questi ragazzi. Pertanto
chiese a me di fare i pagamenti... io obiettai
che mi sembrava singolare che io dovessi pagare
di persona un voto fatto da lui.
Ma lui replicò che dovevo pagare io".
|
Cose che non
dovrebbero andare perdute.
Oggi, ho passato la giornata a cercare di installare
il nuovo servizio
TiSP di
Google, lanciato oggi, perché voglio anche io
la connessione veloce. Ho seguito attentamente le
istruzioni ma non funziona, probabilmente perché
dovrei aggiornare i drivers del mio water, oppure il
router non vede lo scarico in funzione,
oppure - ancora - c'è un conflitto tra sciacquone e
controller wireless. Forse dovrei immergermi
completamente nella fossa biologica, magari smettere
di usare il water per esternare gli umori...
Chiamerò l'assistenza, cioè l'omino con la muta e il
boccaglio dell'illustrazione, lui mi aiuterà.
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