letturine del mese:
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Hornby
Non buttiamoci giù
Ernst H.
Gombrich
Ombre
Edgar
Hilsenrath
Il
nazista e il barbiere
Camilla
Cederna
Pinelli - Una finestra sulla strage |
trivigante
2006 |
|
Le allegre nonché
inutili guide di trivigante.it: Berlino in
sei giorni.
Berlino
in sei mosse. Berlino è una
città difficile, da capire e da
attraversare. In generale, i luoghi
restituiscono in parte o per il tutto quello
che uno va cercando, secondo la propria
sensibilità. In particolare, Berlino rimanda
memorie e suggestioni diverse a seconda del
proprio grado di consapevolezza, è possibile
andarsene in giro alla ricerca dei
noinuntnoinluftballons e del
kabaret
oppure trovare l'orrore e la devastazione a
ogni angolo di strada, come è ugualmente
possibile seguire le orme di
Alfred Döblin oppure di
Totò e Peppino che, si sa, si divisero a
Berlino. E'
possibile, ovviamente, anche non vedere
nulla.
Berlino restituisce a seconda di ciò che uno
ha dentro.
Ho visto turisti ignari saltellare allegri
sul
memoriale dell'Olocausto, facendosi le
foto e pensando a chissà quale bizzarra
installazione, piuttosto che signori
attempati un poco tremebondi sulla tomba di
Hegel.
La consapevolezza non
è obbligatoria, come sempre, ognuno
colga e cerchi ciò che è in grado di
trovare.
Tutto ciò è amplificato ed enfatizzato a
Berlino, probabilmente perché è lì che la
storia del Novecento è passata con cannoni e
libri, mattoni, acqua, patate, stivali,
crauti, teatri e un sacco di altre cose.
Prima
di venire alla guida vera e propria, avete
bisogno di un posto dove stare. Se
Nina Hagen non
vi ospita a casa sua, potete andare qui:
pension Bismarck, interessante e
topograficamente ben piazzata. Le
panziòn
sono i posti migliori in cui andare a
dormire a Berlino e in Germania, secondo me:
soffitti alti, carta da parati, pavimenti
scricchiolanti, un vago odore di Prussia,
finestre con le tende di velluto e una
robusta colazione. Da non mancare, direi.
Per quanto riguarda una visita a Berlino in
senso canonico, arrangiatevi con una guida
cartacea, come al solito, per vedere, che
so: Charlottenburg,
il Kurfürstendamm,
la
Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche,
Kreuzberg,
Mehringplatz,
il Mitte, il
Rotes Rathaus,
la Fernsehturm,
Alexanderplatz,
la Marienkirche,
la Neue Synagoge,
la porta di
Brandeburgo, la
Staatsbibliothek Unter den Linden,
Prenzlauer Berg,
Schöneberg,
Tiergarten,
Spandau, il
Reichstag,
Potsdamer Platz,
lo Schloss Bellevue,
la Siegessäule,
lo Zoo,
Treptow, lo
Schloss Wannsee,
lo Jüdisches Museum,
il Martin-Gropius-Bau,
l'Olympiastadion
eccetera.
Io, come di consueto nelle guide di trivigante.it,
cadauno qualche posto che è stato
interessante per me, che mi ha mandato in
visibilio o mi ha reso tristanzuolo, a seconda.
E basta.
No, non ho detto gioia. O sì?
Ecco, dunque, qualche fugace suggerimento
trascurato, magari, dalle guide (le foto a
destra sono miemiemie,
ma le persone buone possono - se desiderano
- copiarsele e utilizzarle per scopi buoni):
La casa di
Brecht e Weigel.
Meravigliosa,
ancora meglio di come avessi tentato di
immaginarla, Bertolt
Brecht ed
Helene Weigel all'ennesima potenza,
commovente e forte, una casa apposta per
fare lavori importanti, di quelli che
cambiano le cose, una casa per parlare,
recitare, provare e scrivere, davvero
eccezionale. E, poi, l'emozione di vedere il
letto di Brecht, il bastone di Brecht, il
posacenere di Brecht. Non è un'entità
astratta, non lo è più: ora è un uomo. La
casa si trova al 125 di
Chausseestraße,
facile da trovare e ancor più facile da
vedere, basta aspettare che la custode apra
allo scoccare - preciso! - di ogni ora.
A nulla valgono le preghiere, son sempre
tedeschi.
Dorotheenstädtischer Friedhof.
E' il cimitero a
fianco di casa Brecht. Dal 1956 al 1971,
Helene Weigel
potè vedere il suo Brecht dalla finestra,
ogni volta che voleva. Ed è in buona
compagnia, visto che il
tombarolo trivigante
ha avuto grandissime soddisfazioni da questo
cimitero, salutando in ordine
Heinrich Mann,
Marcuse, Fichte,
Heartfield, e il non-più-entità
Hegel, niente di meno. Un ottimo
cimitero, in senso cittadino, confortevole,
tranquillo, parecchio verde, vicinato di
ottimo livello, presenza di numerosi
innaffiatoi e rubinetti, sempre frequentato,
consiglio.
Haus der Wannsee-Konferenz.
A
Wansee, lago di
svago a sud-ovest di Berlino, le
SS comprarono
una delle numerose ville sul lago per farne
un "centro per conferenze", euf. Il 20
gennaio 1942 si riunirono quindici ufficiali
di altissimo grado, tra cui
Eichmann e
Heydrich, per
decidere come attuare la "Soluzione
finale della questione ebraica" (Endlösung
der Judenfrage). Essendo
tedeschi, si rilegga
Arendt, ne fecero anche una questione
puramente burocratica e amministrativa,
poiché Hitler chiedeva "un
piano generale del materiale amministrativo
e delle misure finanziarie necessari per
l'avanzamento della desiderata soluzione
finale della questione ebraica".
Fa venire i brividi, se esiste un inferno
dev'essere così, una villa gelida sulle rive
di un lago grigio, nella quale si ritrovano
allegri i burocrati del male.
A destra la sala in cui si tenne
materialmente la conferenza.
Qui il verbale della conferenza in
italiano, con l'agghiacciante
foglio numero 6, e la scansione dell'originale.
Tutte le informazioni del caso sono
disponibili
qui.
Ho ancora i brividi.
Treptower park.
Lungo lo
Spree si trova
il Treptower park,
enorme parco pubblico bellissimo come belli
sono i parchi a Berlino. In mezzo al parco,
si trova il
Sowjetisches Ehrenmal,
vale a dire il
memoriale per i ventimila soldati
dell'Unione Sovietica caduti nella
guerra di liberazione di Berlino,
aprile-maggio 1945. Ora, una considerazione:
Daniel Libeskind, l'architetto più in
voga a Berlino negli ultimi anni nonché
autore tra gli altri del magnifico
Jüdisches Museum di Berlino, sostiene
che un certo tipo di architettura deve dare,
attraverso la fruizione, un qualche tipo di
esperienza, anche sgradevole se è il caso. E
così succede se si ha modo di attraversare
gli stretti corridoi del suo museo ebraico.
E' un concetto interessante e ricco di
ragionamenti. Ecco, nel caso del
mausoleo sovietico di
Berlino (e in quasi tutta l'edilizia
monumentale sovietica) l'esperienza è
questa: BAM! Un colosso alto venti piani,
state zitti e buoni, lo sguardo basso e
ricordatevi chi comanda.
Ora, al di là del fatto che a
trivigante
questo genere di cose piace, accludo a
destra testimonianze del
mausoleo
fotografato con uno di quei cieli tipici di
Berlino, che appaiono all'improvviso e in
cinque minuti scaricano tonnellate d'acqua
con tuoni da brivido. L'ambientazione
perfetta per questa visita.
Zentralfriedhof Friedrichsfelde.
Sempre in tema
allegrone, ma il tombarolo che è in me ha il
sopravvento, un altro cimitero, noto anche
come
Gedenkstätte der Sozialisten,
cioè il Memoriale dei Socialisti. A me
interessava vederlo perché è qui che
Mies Van der Rohe
costruì la
tomba-monumento di
Rosa Luxemburg e
Karl Liebknecht;
come noto, il monumento fu distrutto dai
nazisti e i corpi furono gettati nel
Landwehrkanal.
Ecco una foto, a destra, di ciò che ne
resta. Inoltre, il cimitero divenne il
cimitero dei socialisti tedeschi e venne
costruito un memoriale che raccoglie le
spoglie di molti di loro (compresi quelli
non proprio raccomandabili, devo ammettere).
A margine, volevo salutare
Käthe Kollwitz,
che è sepolta qui, per un doveroso omaggio
(sempre a destra la foto).
Fritten.
In
Oranienburger straße,
poco prima della sinagoga, c'è il
baracchino del
superfritto, nel quale una tizia,
antipatica come poche, però frigge frigge e
non si vergogna, frigge qualunque cosa le
venga in mente, dalle
aringhe ai
bratwurst.
Ora, io raccomando caldamente per uno
spuntino di media mattina, per aggiungere
carica al metabolismo del turista stanco e
provato. Poi, magari, si muore, ma non è
sempre detto. Provare. |
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Museo
della Stasi.
Di questo
museo, oggi nella vecchia, terrificante,
sede della Stasi,
ne farò un post apposito, perché vorrei
approfondire qualche aspetto che mi ha
colpito. Colpito duro. Buona visita a
Berlino, per ora, a chi vorrà. |
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Peter, lasino e la
strada.
Un
amico coraggioso, Peter,
forse il più coraggioso tra i miei amici, "affettuoso
e fedele, resistente, fatto per camminare, con
orecchie lunghe per ascoltare e una grande memoria
da non sottovalutare" si è messo in
cammino dal Piemonte e sempre più giù, fin dove
arriva, in compagnia di Soma,
un'asina bella e forte, un animale "affettuoso
e fedele, resistente, fatto per camminare, con
orecchie lunghe per ascoltare e una grande memoria
da non sottovalutare". Piano piano, a
passo d'uomo e d'animale, arriveranno lontano. O
vicino, non importa.
Per vedere cosa si può imparare senza il denaro, per
conoscere quello che gli antichi pellegrini
conoscevano, per parlare con le persone e ascoltare
le storie antiche che raccontavano fatti e visi, per
capire qualcosa di più di sé e di ciò che sembra
dimenticato.
Non è una cosa facile, comporta fatica e tenacia,
volontà e immaginazione, tutte cose di cui noi, che
stiamo qui a dire "uhm,
bellissimo, sarei lì con te ma proprio non posso",
siamo un po' privi.
Peter racconta giorno
per giorno quello che gli succede, racconta le
storie che gli raccontano, baratta oggetti e
ricambia l'ospitalità e la generosità con la sua
generosità, ritrova vite sepolte e vite vivaci, le
fa proprie e le condivide con chi ha voglia di
imparare qualcosa.
Io vi invito, davvero, a leggere la sua storia, ogni
giorno, nel suo blog,
lasino.
E' bellissimo, a tratti commovente, a tratti
spensierato e giocondo, perché
Peter è a tratti commovente e a tratti
spensierato e giocondo. Ed è bravissimo: ha smesso
di lamentarsi, come facciamo noi, e si è messo in
strada, ha fatto quello che andrebbe fatto come
andrebbe fatto. Poi è modesto e negherà quanto sto
dicendo, sminuendosi. Vi basterà leggere quello che
scrive per verificare che ho ragione io.
Non trascuratelo, ne vale la pena. E fategli sapere
cosa ne pensate, è importante. |
Sacco e Vanzetti.
Ottanta
anni fa, oggi, venivano fulminati su una sedia
elettrica Nicola Sacco
e Bartolomeo Vanzetti,
con una vicenda che mi fa orrore ancora oggi.
Gian Maria Volontè
interpretò Nicola Sacco
nel film di Montaldo del 1971 e, quando si trattò di
recitare il lungo monologo in propria difesa ("la
società nella quale ci costringete a vivere e che
noi vogliamo distruggere, è tutta costruita sulla
violenza: mendicare la vita per un tozzo di pane è
violenza; la miseria, la fame a cui sono costretti
milioni di uomini è violenza; il denaro è violenza;
la guerra; e persino la paura di morire che abbiamo
tutti ogni giorno, a pensarci bene, è violenza"),
Volontè si preparò a lungo. Quando si dichiarò
pronto, cominciò a recitare l'intera scena, come era
solito fare.
Si racconta che dovette interrompersi e ricominciare
perché una comparsa, che interpretava un poliziotto
alle spalle di Nicola Sacco,
scoppiò a piangere per il pathos e la carica
dell'interpretazione di Volontè e ci volle un bel
po' perché si riprendesse. Potere delle parole (e
del magnifico Volontè). |
Un racconto
attendibile.
Il comandante
Giovanni Pesce (cfr. b.site 30 luglio 2007),
gappista, combattente nella guerra di Spagna, eroe
della resistenza, di cose ne aveva viste parecchie,
di battaglie e guerre ne aveva combattute molte.
Per questi motivi, un suo breve racconto risulta
ancora più impressionante: il
12 dicembre 1969 si trovava in stazione
Centrale a Milano quando udì un tuono lontano, un
colpo secco, un'esplosione.
Dalla stazione si precipitò in centro, riuscì a
superare i cordoni della polizia in
piazza Fontana: "Nella
mia non breve vita sono stato in guerra più di una
volta e ho partecipato a parecchie tremende
battaglie, ma mai avevo osservato uno spettacolo
tanto terribile: corpi insanguinati, brandelli di
carne disarticolati.
Tornai nella strada non
riuscendo a reggere quella vista".
Che la memoria non muoia, perdono mai. |
Ancora Bologna,
ancora agosto.
1974, alle ore 1.30 del 4 agosto, una
bomba esplose nel secondo scompartimento della
quinta carrozza del treno
Italicus, Roma-Monaco
di Baviera, mentre transitava all'interno
della galleria della Direttissima a
San
Benedetto Val di Sambro,
in provincia di Bologna.
Morirono dodici persone:
Nunzio Russo di Merano, tornitore delle
ferrovie, la moglie Maria
Santina Carraro e Marco,
il figlio quattordicenne.
Nicola Buffi, 51 anni, segretario della Dc di
San Gervaso (Fi) ed Elena
Donatini rappresentante Cisl dell'Istituto
Biochimico di Firenze. E poi
Herbert Kontriner, 35 anni,
Fukada Tsugufumi 31
anni, e Jacobus Wilhelmus
Haneman, 19 anni. La bomba uccise anche
Elena Celli, 67 anni e
Raffaella Garosi, di
Grosseto, 22 anni. Silver
Sirotti, invece, non era stato coinvolto
nell'esplosione. Aveva 24 anni ed era stato assunto
dalle Ferrovia da dieci mesi, stava svolgendo
servizio sul treno quella notte e, quando vide
le fiamme in galleria, impugnò un
estintore e incominciò a estrarre i feriti.
Rimase anche lui bloccato tra le fiamme. Fu decorato
con la medaglia d'oro al valor civile. L'incendio
rese irriconoscibili molti corpi, tra cui quello di
Antidio Medaglia, 70
anni, che venne riconosciuto dalla fede al dito.
L'attentato fu subito rivendicato. Fu
fatto ritrovare un
volantino di Ordine nero che proclamava: "Giancarlo
Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare
alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe
dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo,
dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per
l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una
montagna di morti".
Poi qualcuno fece il nome di
Tuti, qualche pista portò poi a
Gelli (Arezzo è
vicina), al SISMI e
così via. Facile indovinarne la conclusione:
nessun colpevole
individuato.
E il 9 agosto 1974, Renato
Zangheri, sindaco di Bologna, fece il
discorso ai funerali delle vittime, senza sapere che
gli sarebbe capitato di nuovo, ancor peggio, se
possibile:
"Salutiamo le vittime della strage con dolore e
con profonda amarezza, rivolgiamo alle famiglie
colpite un affettuoso e commosso sentimento di
cordoglio e solidarietà umana, ai feriti formuliamo
l'augurio di tornare al più presto alla vita e al
lavoro.
Su queste bare non diciamo vane parole, non
esprimiamo buoni ed effimeri propositi; ma
esprimiamo la dura determinazione, che è della
schiacciante maggioranza degli italiani a combattere
queste trame che insanguinano il Paese, per
sconfiggerle e stroncarle per sempre.
L'omaggio di Bologna viene dal cuore di una città
che è antifascista senza incertezza, civile e nemica
della violenza e della sopraffazione: è un segno di
lutto e di compianto intimamente sentito; e anche
vuole essere atto di condanna ferma degli esecutori
del delitto, dei mandanti, delle centrali interne
interne ed internazionali che reggono le fila di una
mostruosa strategia della tensione e del crimine".
Prosegue
qui. |
La scatola del
tempo: il millenovecentosettantasette.
Il 1977, e son trent'anni, ebbe molti
risvolti: per esempio, a
Bologna c'erano scontri durissimi, nascevano
le radio libere, studenti morivano in
manifestazione, come a Roma, ed era la rivolta; a
Milano e
Torino sparavano le
Brigate Rosse, come in
Germania la RAF; in
Francia usavano ancora la ghigliottina per
l'ultima volta, in Spagna
c'erano le prime elezioni libere e così via.
Insomma, le cose erano piuttosto diverse tra di
loro, mica voglio fare qui un'analisi
sub-sociologica da minimarket di quell'anno. Non ne
sono capace.
Però, negli Stati Uniti
il clima era differente: usciva il primo Guerre
Stellari, moriva Elvis, erano
un pochino più spensierati e positivi, gli veniva la
Febbre del Sabato Sera. Il Vietnam era finito, più o
meno, e aleggiava una certa aria fricchettona di
pace e fratellanza universale (vista sempre
dall'alto di chi domina il mondo, chiaro), Kissinger
permettendo. Si facevano anche strada idee nuove di
insegnamento, modi nuovi di educazione e di
formazione, metodi alternativi di concepire e
trattare il sapere. Quell'anno negli
Stati Uniti, con quello
spirito, venne assemblata una vera e propria
scatola del tempo,
da consegnare non solo alle generazioni future ma a
un futuro talmente lontano e indefinito da essere
una poetica illusione, una speranza ottimistica
dettata dall'entusiasmo di quel momento. Difficile
farlo oggi.
Ora vorrei aprire quella
scatola, guardarci dentro e capire che
tipo di idea di noi avevano coloro che la
assemblarono. Il 20 agosto
e il 5 settembre 1977
furono lanciate le sonde gemelle
Voyager 2 e
Voyager 1 (in
quest'ordine,
chissà perché). Entrambe erano destinate a
funzionare per un certo lasso di tempo, circa fino
al 2020, per poi spegnersi e vagare nello spazio
profondo. La Voyager 2,
per esempio, raggiungerà l'Orsa
Minore tra quarantamila
anni, cioè quando io avrò scritto
quattrocentottantamila b.site
mensili, più o meno.
Poiché destinate a vagare nello spazio e, chissà, ad
essere ritrovate da qualcuno o da qualcosa, in esse
furono depositate alcune cose,
identiche, che dovrebbero costituire una specie di
nostro riassunto e
sintesi, degli uomini,
della terra, della vita, della storia, di tutto
quanto.
L'idea è, come dicevo, poetica, un po' freak,
di sicuro sincera, quasi commovente per quanto è
speranzosa (lo dico senza ironia) ed è figlia, del
tutto, di quegli anni. L'idea, credo, che sottendeva
a tutto, non era di mostrare (ostentare) quello che
abbiamo fatto o costruito, ma quello che siamo,
senza preoccuparsi troppo di raccontare un'umanità
che disegna, che gioca, che vive in mezzo agli
animali, che prende l'aereo e che si dedica al
bricolage. Nessuno si sognerebbe di farlo così oggi,
questi son tempi complicati e pieni di prosa.
Bene, ecco cosa decisero di mettere in quella
scatola
destinata al futuro:
I saluti
Oltre
ai saluti ufficiali, del neo-presidente
Carter e del
discutibilissimo presidente dell'ONU
Waldheim, inserirono un
saluto di augurio in
55 lingue diverse, del tipo: "Many
greetings and wishes". Fantastico, non un "Popolazioni
aliene, oggi è un grande giorno per l'universo
tutto, siamo la popolazione della terra e baciamo le
mani, sedetevi sulle nostre facce..." ma un
meraviglioso e assurdo
Nano-nano interstellare, un bigliettino di
Natale piuttosto formale per alieni ignoti.
La
versione italiana, poi, è ridicola, ha
l'entusiasmo di una discarica al ciglio della
strada, vien voglia di estrarre il pistolone
fotonico e di sparare appena sentita. Altro che
festoso saluto.
I suoni della Terra
Qui la cosa si fa molto più interessante.
Si tratta di ventuno registrazioni di suoni che
dovrebbero in qualche modo, secondo l'intuizione
generale, rappresentare la Terra: tra tutti, ci
sono, dunque,
vulcani, terremoti e tuoni, accanto al
fantastico suono di un
trattore mescolato a un martello pneumatico, e
poi
cani,
scimpanzè,
uccelli, una iena, un elefante, un
discorso con il rumore del fuoco sullo sfondo,
il vento, la pioggia e la risacca, un
treno,
una nave e il codice morse (per curiosità, il
messaggio morse dice: "per aspera ad astra",
se questa non è poesia...). Niente male, ma non è
mica finita qui.
Così
sarebbe bello ma un poco banale, per fortuna
l'immaginazione hard-core di chi doveva
consegnare tutti noi alla storia infinita è andata
oltre (iddiolibenedica, sul serio!): il suono di
strumenti preistorici (uoah!), un
bacio con tanto di madre e figlio, una
pecora che bela su una sega (elettrica e non)
con un fabbro di sfondo, una
risata di uno che cammina e gli si sente il battito
cardiaco. Fantastico, eccezionale davvero.
L'alieno o chi per lui non capirà una beata cippa di
tutto questo, ammesso che abbia delle orecchie, e
probabilmente deciderà di annientarci. Ma a me piace
da impazzire, è come sentire
Pet Sounds dei
Beach Boys mixato con
il lato B di Atom Heart
Mother e con
Dangerous Kitchen di
Frank Zappa. Il tutto
mentre schiaccio i tasti della mia
fattoria parlante.
Come dicevo, credo che l'intento sia di mostrarci
per come siamo davvero, inutile mettere il
suono di un muezzin o quello del concorde mentre
supera MAC1, noi siamo gente che picchia col
martello su una pecora belante che ha appena preso
fuoco. La sostanza è questa, o quasi, io credo.
Le immagini della Terra
Anche
le immagini, come i suoni, sono strepitose, cioè
sono collazionate e raccolte con lo spirito giusto:
si va da quelle di tipo scientifico (matematico,
anatomico,
geologico) a quelle che descrivono la nostra
vita (un
contadino guatemalteco, il russo
Borzov, la
scuola cinese, il
supermercato, la
costruzione di una casa, il
traffico pachistano, un'edizione di
Newton) a quelle che dovrebbero, in teoria, dare
delle spiegazioni sulla biologia degli esseri umani
e che, io credo, invece spaventeranno chiunque le
vedrà mai (una
famigliola del terrore, un
feto chiaramente alieno, l'incredibile
evoluzione dei vertebrati, si noti la signora
che saluta, la
caccia). Meravigliose. Infine, ma non ultime,
due immagini del palazzo dell'ONU, di
giorno e di
notte, e la più incredibile, strepitosa delle
immagini: la dimostrazione
del mangiare, del bere e del leccare. Senza
curarsi troppo dei dettagli, come la qualità, per
esempio.
Trovo tutto questo eccezionale, alcuni sono disegni
fatti a mano su un tavolo da cucina, e, concordo di
nuovo con gli ideatori, lo spirito è quello giusto:
chi se ne importa se passeremo per un pianeta di
deficienti che stampa posters con le scimmie
che giocano a poker, siamo proprio proprio fatti
così. En passant, certo che nel '77 erano
proprio
tappi, comunque.
La musica
Ah, la musica, la musica, la musica,
lammmusica... Ultimo capitolo della
scatola del
Voyager, la musica.
27 pezzi, tra cui
classiconi come Bach,
Beethoven,
Mozart,
Stravinskj etc., alcuni
un pochino meno ortodossi ma sempre-sul-sicuro come
Armstrong,
Chuck Berry,
Blind Willy Johnson, e
poi canti popolari, registrazioni occasionali e così
via.
La
cosa buffa, al di là della scelta intrinseca dei
pezzi che, secondo me, è meno innovativa e
divertente della scelta delle immagini e dei suoni,
è che questi pezzi furono materialmente incisi su un
disco d'oro, qui a
sinistra, il famoso golden
record, che era accompagnato da un'altra
placca d'oro di
istruzioni per l'uso. Il disco era un vero e
proprio trentatre giri, un ellepi a tutti gli
effetti. Costruito per durare, niente a che vedere
con il premio.
Nel luglio 1983 la BBC Radio 4 produsse un
documentario di 45 minuti, "Musica
da un piccolo pianeta", nel quale gli
autori spiegarono il processo di selezione della
musica per il disco.
Ne fu stampato anche un LP per la terra, cioè
venduto nei negozi, dal titolo "Murmurs
of earth" che comprendeva anche i suoni
che ho raccontato più sopra, non facilissimo da
trovare.
Ed ecco, dunque, la pleilista
interstellare che ci racconta:
1. Bach,
Brandenburg Concerto No. 2 in F. First Movement,
Munich Bach Orchestra, Karl Richter, conductor
2.
Java, court gamelan, "Kinds of Flowers,"
recorded by Robert Brown
3.
Senegal, percussion, recorded by Charles
Duvelle
4.
Zaire, Pygmy girls' initiation song,
recorded by Colin Turnbull
5.
Australia, Aborigine songs, "Morning
Star" and "Devil Bird," recorded by Sandra LeBrun
Holmes
6.
Mexico, "El Cascabel," performed by
Lorenzo Barcelata and the Mariachi México
7.
"Johnny B. Goode," written and performed
by Chuck Berry
8.
New Guinea, men's house song, recorded by
Robert MacLennan
9.
Japan, shakuhachi, "Tsuru No Sugomori" ("Crane's
Nest,") performed by Goro Yamaguchi
10. Bach,
"Gavotte en rondeaux" from the Partita No. 3 in E
major for Violin, performed by Arthur Grumiaux
11. Mozart, The
Magic Flute, Queen of the Night aria, no. 14. Edda
Moser, soprano. Bavarian State Opera, Munich,
Wolfgang Sawallisch, conductor
12. Georgian
S.S.R., chorus, "Tchakrulo," collected by Radio
Moscow
13. Peru,
panpipes and drum, collected by Casa de la Cultura,
Lima
14. "Melancholy
Blues," performed by Louis Armstrong and his Hot
Seven
15. Azerbaijan
S.S.R., bagpipes, recorded by Radio Moscow
16. Stravinsky,
Rite of Spring, Sacrificial Dance, Columbia Symphony
Orchestra, Igor Stravinsky, conductor
17. Bach, The
Well-Tempered Clavier, Book 2, Prelude and Fugue in
C, No.1. Glenn Gould, piano
18. Beethoven,
Fifth Symphony, First Movement, the Philharmonia
Orchestra, Otto Klemperer, conductor
19. Bulgaria, "Izlel
je Delyo Hagdutin," sung by Valya Balkanska
20.
Navajo Indians, Night Chant, recorded by
Willard Rhodes
21. Holborne,
Paueans, Galliards, Almains and Other Short Aeirs,
"The Fairie Round," performed by David Munrow and
the Early Music Consort of London
22.
Solomon Islands, panpipes, collected by
the Solomon Islands Broadcasting Service.
23.
Peru, wedding song, recorded by John
Cohen
24.
China, ch'in, "Flowing Streams,"
performed by Kuan P'ing-hu
25.
India, raga, "Jaat Kahan Ho," sung by
Surshri Kesar Bai Kerkar
26.
"Dark Was the Night," written and
performed by Blind Willie Johnson
27.
Beethoven, String Quartet No. 13 in B
flat, Opus 130, Cavatina, performed by Budapest
String Quartet.
I contenuti del
disco e della
scatola del tempo
furono selezionati da una commissione presieduta da
Carl Sagan, al quale, in rappresentanza, vanno i
miei plausi per la
lungimiranza nelle scelte. Non facili.
Sarebbe stato facile cascare nell'ovvietà e bearsi
di quelli che sarebbero i nostri (supposti)
progressi, magari mettere una Rolls Royce, che so, o
un fantastico render 3d di un circuito di un
processore da un milione di GigaHz o cacate del
genere.
E invece no, furono saggi e scelsero le cose
importanti, con una certa coerenza. Oggi ne saremmo
capaci, a prescindere dal fatto che non è epoca per
questo genere di cose? Temo di no, magari ci
finirebbe un Ipod, una foto di Murdock, un film di
Muccino, una tastiera cordless della
Microsoft, forse. E probabilmente il mega-disco
fisso contenitore darebbe problemi con la porta usb.
Meglio che ci conoscano con gli oggetti del
Voyager, se deve
essere. |
Bologna,
ottantacinque persone.
Un altro due
agosto, di nuovo l'anniversario della strage di
Bologna.
Qualche
giorno fa è stato presentato un
filmato inedito di
quaranta minuti, girato subito dopo lo scoppio.
Un'anticipazione di alcuni minuti, davvero
terribile, è visibile
qui. History Channel
lo trasmetterà questa mattina alle 10.25, ora dello
scoppio. La versione originale
di questo filmato, che non è del tutto nuovo,
senza l'aggiunta a posteriori dell'audio, è
completamente disponibile
qui.
Un documentario bellissimo sulla strage è "Il
trentasette, memorie di una città ferita" di
Roberto Greco, che prende spunto dall'autobus di
linea che fu adibito al trasporto delle salme.
Un altro film, "Per
non dimenticare" di Massimo Martelli, racconta
l'ora immediatamente precedente all'esplosione della
bomba alla stazione di Bologna, attraverso una serie
di microstorie, interpretate tutte da attori
piuttosto famosi. I proventi del film sono stati
devoluti all'Associazione
dei Familiari delle Vittime della Strage di Bologna,
per le spese processuali.
Qui il racconto a fumetti di Alex Boschetti e
Anna Ciammitti, dell'anno scorso.
Il sindaco Zangheri, il
giorno dei funerali, tenne un discorso molto
commosso e forte, che voglio riportare qui per
celebrare anche quest'anno il ricordo della strage:
"Signor
Presidente della Repubblica, torniamo su questa
piazza dove di fronte ad altri morti avevamo detto
che la strage dell'Italicus non avrebbe mai dovuto
ripetersi. Se si è ripetuta, nonostante la lotta e
la volontà democratica del nostro popolo, e in
misura più grande e se possibile più atroce, questo
è motivo per noi di amarezza e dolore più cocente.
Piangiamo le vittime di un delitto la cui infamia
non sarà mai più cancellata dalla coscienza del
nostro popolo e dalla storia. Inviamo ai feriti il
nostro augurio, ma sappiamo il tormento e
l'angoscioso futuro di numerosi fra loro. Alle
famiglie esprimiamo la nostra solidarietà, sebbene
un dolore come questo, di chi ha visto la morte dei
propri congiunti più cari e di chi attende ancora
l'esito di ricerche strazianti, come non ha ragione
nell'ordine delle cose umane cosi non trova
consolazione.
Duro è parlare oggi e riunirci in questa terribile
circostanza, e si può essere colti da una rabbia
desolata, perché non si vede per quale via possa
farsi giustizia, una giustizia piena e finalmente
rapida; e dunque può sopravvenire la sensazione
dell'impotenza, la perdita della speranza.
Ma non è questo l'obiettivo degli istigatori e degli
esecutori del crimine?
Eccoci
di nuovo a interrogarci sulla barbarie, se abbia una
logica, un filo conduttore, uno scopo percepibile.
Che cosa si è voluto? Seminare il panico, indebolire
le difese della Repubblica, fino a soffocarla?
Spostare l'asse politico su posizioni di cieca
conservazione? O suscitare una reazione violenta,
per poi, dopo averla provocata, preparare le
condizioni della repressione? In queste ore di lutto
non possiamo evitare le domande, lo sforzo di
capire, se non vogliamo che l'angoscia si muti in
disperazione.
E' necessario capire la logica del delitto per
combatterlo.
Non si dica che la reazione popolare essendo stata
forte e ordinata, ha subito dissolto il disegno
della provocazione, e che questo doveva essere
previsto dagli assassini. Costoro non conoscono e
non prevedono la forza e la maturità del popolo.
L'hanno dimostrato a Milano, a Brescia, e per due
volte a Bologna.
Non
si dica che gli attentati sono allora opera
solitaria di un gruppo di folli. Lo stesso copione
che ha portato alla strage del 2 agosto è stato
provato sull'Italicus. La stessa città, lo stesso
nodo ferroviario, gli stessi giorni delle vacanze,
quando i treni e le stazioni sono affollati dalla
gente che parte, forse lo stesso proposito di
recitare il crimine anche sul corpo di viaggiatori
stranieri, e quindi di dimostrare ad altri popoli e
governi la debolezza della nostra democrazia e
forse, mi inoltro nella logica aberrante di questi
nostri nemici, di giustificare futuri colpi
liberticidi.
Il terrorismo nero, bloccato dalle grandi
manifestazioni popolari del '74, è sembrato
rintanarsi e cedere il passo. E' un caso che nel
momento in cui si indeboliscono altre trame
eversive, quella nera torni alla ribalta prima con
avvisaglie purtroppo trascurate poi con tutta la sua
carica omicida? Sono domande inquietanti,
inevitabili. Gli autori della strage non hanno
colpito questa o quella parte, ma l'umanità intera e
il diritto elementare e sacro alla vita. Ma perché
con questa insistenza a Bologna? Questo luogo di
esperienze e di battaglie democratiche e di
progresso è un ostacolo tale sulla loro via, da
doverlo ad ogni costo travolgere?
Sarà travolto.
Gli impegni delle persone umane possono vacillare di
fronte al convergere di eventi sempre prevedibili.
Ma noi bolognesi un impegno di fronte al Paese, alle
memorie della Resistenza, fronte all'avvenire, ai
giovani, a coloro che in tutta Italia attendono
ancora una volta la nostra risposta, e che da tanti
paesi stranieri ci hanno inviato parole di pietà, di
amicizia e di incitamento, un impegno severo e fermo
vogliamo prenderlo. Sulla linea che divide la
democrazia dall'eversione non arretreremo, al
contrario combatteremo con maggior vigore e più
chiara (incomprensibile)
della posta in gioco.
E'
una posta altissima.
Sono attaccate le conquiste della Costituzione, il
diritto dei lavoratori a costruire una società
giusta, le attese delle giovani generazioni,
l'esigenza umana e politica del cambiamento. Ci
batteremo duramente perché questa prospettiva non
sia negata. Abbiamo forze e convinzioni che non si
esauriranno nel giro dei giorni e degli anni. Altre
domande incalzano. Quali complicità hanno
accompagnato questa azione nefanda? Le scopriremo? I
ritardi non saranno nuovamente esiziali? Signor
Presidente, il dolore non può farci tacere.
Corpi straziati chiedono giustizia, senza la quale
sarebbe difficile salvare la Repubblica; chiedono
pronta identificazione e condanna dei colpevoli di
tutti i delitti che hanno macchiato l'Italia in
questi anni; chiedono la sconfitta della
sovversione, e le condizioni di una vita e di una
democratica ordinata.
Incertezze e colpevoli deviazioni hanno subito le
indagini da Piazza Fontana ad oggi.
Troppe interferenze e coperture sono state
consentite.
Ora la sincerità del dolore e della condanna si
misurano sui fatti ed esclusivamente su di essi,
sulla volontà e sulla capacità politica e
giudiziaria di far luce sulle trame eversive e sui
delitti che si susseguono in un crescendo inaudito.
Non spetta a noi indicare le linee della politica
nazionale, ma è certo che è necessaria una
prospettiva politica di fermezza e di chiarezza, che
raccolga il consenso del popolo.
E' certo che coloro i quali hanno ricevuto le
responsabilità di governo e parlamentari dal popolo,
tutti coloro che esercitano funzioni pubbliche, dal
popolo verranno giudicati per quello che faranno,
con una vigilanza e sensibilità moltiplicate
dall'angoscia di questi giorni e dalla gravità
estrema del crimine che è stato commesso.
Ognuno
dovrà compiere il proprio dovere, come l'hanno
compiuto le donne e gli uomini accorsi alla stazione
di Bologna nelle ore della strage, per soccorrere e
salvare: semplici cittadini, personale sanitario,
magistrati, dipendenti degli enti locali,
ferrovieri, vigili del fuoco, militari, forze
dell'ordine, e la moltitudine che è su questa piazza
a raccogliere la sfida del terrorismo.
Grazie di essere venuti.
Assieme non potremo essere sconfitti.
Il saluto alle vittime è in questo momento, signor
Presidente della Repubblica, una promessa morale e
politica di fedeltà alle ragioni del progresso umano
ed è fiducia in una giustizia che non può fallire
perché poggia sull'animo di grandi masse di donne e
di uomini.
Così noi affermiamo oggi la nostra difficile
speranza e chiediamo a tutti di combattere perché la
vita prevalga sulla morte, il progresso sulla
reazione, la libertà sulla tirannia".
Renato Zangheri, sindaco di
Bologna, ai funerali delle vittime, 6 agosto 1980,
Piazza Maggiore, Bologna. |
La London Valour.
Solitamente non capisco una togna del
testo delle canzoni. E nemmeno mi preoccupo troppo
del loro significato, lascio che suonino e mi
suggeriscano un qualche tipo di pensiero a seconda
del momento.
Ce n'è una, in particolare, che mi piace moltissimo,
"Parlando del naufragio della
London Valour" di De
Andrè (qui
il testo completo), il cui testo ha sempre scatenato
la mia immaginazione, sebbene non ne abbia mai
compreso alcun tipo di significato. Oggi,
incomprensibilmente e senza motivo particolare, ho
deciso di capire a cosa faccia riferimento o,
almeno, di afferrarne qualche dettaglio in più.
Ecco, dunque, il risultato della mia mini-ricerca
mescolato al testo della canzone.
La mattina del 9 aprile 1970
la London Valour, una
nave costruita in Inghilterra nel 1956 come
petroliera e poi riadattata come bulk carrier
dieci anni dopo, attraccò a circa 1300 metri a sud
della barriera frangiflutti del
porto di Genova.
L'equipaggio era composto in gran
parte da marinai filippini
("i
marinai foglie di coca digeriscono in coperta"),
dal comandante Edward Muir
e dal radiotelegrafista Eric
Hill, inglesi. A bordo era arrivata da poco
la moglie del capitano ("il
capitano ha un amore al collo venuto apposta
dall'Inghilterra").
All'improvviso si abbattè sulla città
una libecciata di enorme violenza, un fortunale con
vento forza 7/8 e mare molto mosso ("e
la radio di bordo è una sfera di cristallo / dice
che il vento si farà lupo il mare si farà sciacallo").
Verso le 14.30, la nave iniziò a scarrocciare, cioè
l'ancora non faceva più presa sul fondo ("e
le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli"),
e venne sbattuta dal vento contro gli scogli della
diga frangiflutti.
Sul posto accorsero immediatamente i soccorsi,
elicotteri e motovedette, oltre alla gente che
osservava il disastro dal molo.
Alle 14.45 la nave si spezzò in due.
Fu allora che i soccorritori gettarono un doppio
filo di nylon tendendolo tra la diga e il ponte
della nave; si trattava di un cosiddetto
va-e-vieni, sui
fili di nylon scorreva una carrucola munita di
imbragatura per permettere di trarre in salvo un
naufrago alla volta. Questa soluzione si rivelò
disastrosa: il filo di nylon, infatti, a causa dei
movimenti della nave, si rilasciava per poi tendersi
di botto, sbalzando così in aria i naufraghi
imbragati sulla carrucola, alcuni dei quali finirono
sfracellati sugli scogli ("i
marinai uova di gabbiano piovono dagli scogli").
La stessa cosa successe alla
moglie del capitano, che venne sbalzata dall'imbragatura
e catapultata in mare davanti agli occhi di tutti ("e
con uno schiocco di lingua parte il cavo dalla riva
/ ruba l'amore del capitano attorcigliandole la vita").
Il capitano, alla vista
della morte della moglie, rifiutò i soccorsi, si
slacciò il giubbotto di salvataggio e si gettò
volontariamente in mare ("e
il pasticciere e il poeta e il paralitico e la sua
coperta / si ritrovano sul molo con sorrisi da
cruciverba / a sorseggiarsi il capitano che si
sparava negli occhi").
Morirono in venti.
La nave finì incagliata e semi-affondata, soltanto
la parte superiore delle sovrastrutture sporgeva
ancora dalla superficie. Circa un anno dopo, il
relitto venne trascinato via da due rimorchiatori
con lo scopo di farlo affondare nell'abisso delle
Baleari ma lo scafo affondò a sole novanta miglia al
largo di Genova, dove si trova tuttora.
Tutta Genova poté assistere de visu alla
vicenda, De Andrè compreso, probabilmente.
Esistono molte fotografie del naufragio della London
Valour, tra cui
queste, ed esiste anche un
filmato, breve, girato in super8 da un testimone
sul molo di Genova.
Una parte della canzone, la struttura, è più o meno
svelata, ora. Restano molti versi che alludono ad
altro, il che è difficile da ricostruire, almeno per
me. Non importa, non è sempre necessario capire
anzi, forse non è proprio il caso di ricercare una
spiegazione a tutti i costi. "Parlando
del naufragio della London Valour" resta una
bellissima canzone triste che ha le sue premesse in
un fatto vero. Probabilmente, il senso sta nel fatto
che ognuno la sua personale tragedia se la sfanga
del tutto da solo. Nient'altro. |
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