letturine del mese:
Mordecai
Richler
Un mondo di cospiratori
Roy Lewis
Il più grande uomo scimmia del pleistocene
Ryszard
Kapuscinski
In
viaggio con Erodoto
Massimo
Giacon e Tiziano Scarpa
Amami
Umberto
Eco
Sei passeggiate
nei boschi narrativi
Mario
Rigoni Stern
Il sergente nella
neve
Giampaolo
Dossena
Mangiare banane
Mario
Rigoni Stern
Ritorno sul Don |
commenti:
posta[at]trivigante.it |
trivigante
2006 |
|
E Tolkien?
Ministoria tutta piena di cretineria.
Una sintesi della
questione (da l'Espresso):
"Lo scandalo delle
intercettazioni è scoppiato mercoledì 21 novembre,
quando 'la Repubblica' ha pubblicato alcune
telefonate tra
alti dirigenti della Rai e di Mediaset, stralci
registrati dalla Guardia di Finanza che al tempo
indagava sul fallimento dell'Hdc, la società dell'ex
sondaggista berlusconiano Luigi Crespi. Protagonisti
delle chiacchierate - avvenute tra la fine del 2004
e la primavera del 2005 - la responsabile del
marketing Rai Deborah
Bergamini, ex
assistente di Berlusconi poi accasata a Viale
Mazzini, il direttore di RaiUno Fabrizio Del Noce
(ex parlamentare forzista), Mauro Crippa,
responsabile dei palinsesti del Biscione, Bruno
Vespa e Flavio Cattaneo: i brani sembrano delineare
l'esistenza di una 'rete segreta', di una struttura
parallela attraverso cui il Cavaliere pilotava
l'informazione di due gruppi tv, in teoria
concorrenti". Lo si diceva da mo', ora ci
sono le carte.
E, ora, folklore: la tizia in questione,
Deborah Bergamini
(ripeto: ex segretaria di Berlusconi), con il nome
di
Cartimandua, teneva un blog delirante a
metà tra il fantasy, l'assurdopolitica, il beotismo
e la chiavicherìa. Il blog è improvvisamente
scomparso dopo la pubblicazione delle
intercettazioni, tizia rapida. Ma la cache di
Google non perdona e, ahilei, le pagine del blog
ancora si
trovano
in memoria:
qui.
Non ci rimarranno ancora molto, la cache è
per sua natura temporanea, io ne ho salvato un
pezzetto, sempre per memoria, basta cliccare
sull'immagine qui a destra.
Si dilettava a scrivere di cagate personali sotto un
velo fantasy ("Il destino è
sempre perfetto, è peccato chiamarlo coincidenza. E
i suoi segni sono chiari. Come non riconoscerli? E
allora la Regina dei Celti, alias Struttura Delta, è
andata a porgere un saluto al Direttore di
Repubblica. Insolito, per una Regina. Gli occhi del
Direttore, color nocciola scuro, si sono fatti
grandi. L'incontro è stato asciutto, forse un po'
appuntito. Come destino voleva. Ma se si ama la
stessa locanda sarà mica collusione?"),
tutta inebriata di potere della cippa, oppure
delirava in modo comprensibile solo ai nanouomini
ebbri di Vespa ("Luce di
luna, strepito di tuono e abbraccio di ferro sono
serviti al fido amico Odhran per omaggiare la sua
regina. All'alba del terzo giorno, nella tenue luce
di peltro, lei aveva uno sguardo denso, troppo
denso. Soffriva, muta. Una cotta impenetrabile la
proteggerà, aveva pensato Odhran. Ma nessun tuono
poteva coprire il tumulto del cuore della regina. La
passeggiata nel bosco liquido le era costata un
momento d'anima. E lei aveva pagato di buon grado.
Glielo aveva insegnato il grande capo, mentre
nuotavano insieme nelle acque ghiacciate del Lago
Maestro"). Maccazzo,
Bergamini, sei
deficiente? Santoddio. DIRETTORE DI MARKETING RAI,
cioè decide i palinsesti, porcozzio, non so se rendo
l'idea.
Come dicevo, il blog è scomparso sotto i colpi delle
intercettazioni e, per magia di Odhran e di
Sailqaatz, è apparso questo:
www.deborahbergamini.it. Sottitolo: "intercettazioni
di conoscenze".
Riderà almeno lei, di tanta sagacia? Io no,
estrapolo indebitamente dal post di oggi ("Da
oggi non vado più in ufficio"): "Credo,
oggi, che molto del livore che si è scatenato sia
anche il frutto di un modo malato di fare
informazione". Esattamente, è proprio per
quello che ce l'abbiamo con te. E poi: "E’
il caso di fermarsi a riflettere. Tutti quanti".
Eh no! Tu facevi da scendiletto al capo devastando
un bene pubblico, e noi ci dobbiamo fermare a
riflettere? Col cacchio, spero che la Palude di
Stherco ti avvolga così che io possa,
finalmente, dimenticarmi l'enorme fastidio che provo
pensando a te. |
Il clima sta
decisamente cambiando.
Questa non posso lasciarla
cadere, troppo interessante. Riassumo in breve, la
vicenda è stata riportata, sebbene abbastanza in
sordina, da molte persone attente.
Due
nomi: Rossana Interlandi,
assessore al territorio e all'ambiente della
Regione Sicilia nonché bel fighino qui a destra;
Salvatore Anzà, del
Dipartimento Territorio e Ambiente della Regione.
Comprimari: tre
dirigenti dell'assessorato, due dell'Arpa Sicilia,
tre professori dell'Università di Palermo e uno
dell'Università di Messina.
Premessa: credo che quasi tutti i
documenti citati in
questo post spariranno
dalla rete a breve, data la situazione. Se non
funzionassero più i links è perché i cattivi sono in
azione. Ma io li ho salvati in trivigante.it, i
links sono in fondo.
Il fatto: tutti insieme, sono artefici della
realizzazione del
Piano regionale di coordinamento per la tutela della
qualità dell’aria ambiente della
Regione Sicilia, approvato e adottato con decreto il
9 agosto 2007 (176/GAB),
pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale a settembre.
Felicitazioni per il corposo lavoro, congratulazioni
per la celerità etc. etc. con encomio ufficiale e
scritto dell'assessore. Ma la cazzata si annida
dietro l'angolo.
Capitolo 6: Le azioni del piano, pagina
4, paragrafo 6.1.3,
punto tre, riporto: "per
i rimanenti Comuni di fascia C, si consiglia di
adottare comunque comportamenti virtuosi di natura
volontaria, volti a prevenire l’acuirsi del fenomeno
a livello locale, regionale e
di bacino aerologico padano". Che cari,
si preoccupano per noi che stiamo a nord.
Stesso capitolo, pagina
14, paragrafo
6.4, riporto: "La
conclusione della procedura prevede che tutte le
osservazioni pervenute vengano valutate dalla Giunta
regionale e (...) procedendo quindi ad una
riadozione e successiva trasmissione
al Consiglio regionale".
Ma la Regione Sicilia non ce l'ha il Consiglio
regionale, ha un'Assemblea
regionale siciliana, essendo a statuto
speciale,
l'ARS.
Ohibò, che fetore. E
giù a rotta di collo, senza patemi: vengono citate
le piste ciclabili lungo gli argini dei fiumi e dei
canali presenti nei centri storici dei Comuni
siciliani, il notevole apporto all'inquinamento
atmosferico siciliano derivante dall’eccessivo uso
del riscaldamento domestico in relazione
al rigido clima dell’isola
e così via.
Esatto, copia e incolla, trova e sostituisci. Facile, dati gli indizi,
capire da dove: il
Piano di controllo dell'inquinamento atmosferico
della Regione Veneto, anno 2000, peraltro già
allora bocciato dall'Europa. Basta confrontare, per
esempio, il
Capitolo 6: Le azioni del piano: nemmeno i
titoli dei paragrafi hanno cambiato. Pure l'indice
dei documenti utilizzati è clamoroso, si confrontino
le versioni (Veneto
-
Sicilia),
con l'unica differenza che nella versione siciliana,
quale correttezza, è citato il piano del Veneto.
Spudorati e rimbecilliti.
Tutto quanto qui raccontato, e molto di più, è
merito di Legambiente,
che ha spulciato i documenti. L'assessore
Interlandi (ah! ah!),
scandalizzata (ah! ah!), aprirà un'inchiesta interna
(ah! ah!) e - presumibilmente - ritirerà il piano
(ah! ah!). Magari qualcuno noterà gli estremi per
qualche tipo di reato, truffa magari, in ogni caso
non si verrà a capo di molto, secondo me. Siccome il
documento sparirà anche dalla rete, immagino, mi
premuro io di salvare almeno due capitoli del piano,
il
Capitolo 6 e il
Capitolo 8, che ospito qui con piacere per la
comoda consultazione.
rif:
http://www.isolapossibile.it/article.php3?id_article=3537
rif:
http://invisibil.blogspot.com/2007/11/in-sicilia-si-respira-aria-del-veneto.html |
Mi permetto di
dire che i Savoia sono come le patate: la parte
migliore sta sottoterra
(Diego Cugia).
Domenica mattina,
pioviggina, io da buon borghesone vado a caccia di
un caffé e di giornali caldi quando mi imbatto in
una manifestazione dell'ANPI:
otto-partigiani-otto, un palchetto, una panda
quattroperquattro che fa da generatore per
l'impianto microfonico, qualche bandiera e io, che
sono di almeno cinquant'anni il più giovane nei
dintorni. Si ricordano i compagni trucidati per
rappresaglia dai fascisti il
13 novembre 1943, i primi nella mia città
dopo l'armistizio, e si depone una corona di fiori
ai piedi di una lapide.
L'oratore, uomo
SPI-CGIL, trasmette sincera commozione per
eventi che
non
ha visto, gli otto partigiani stanno ritti sotto i
gonfaloni e le bandiere che reggono con orgoglio.
Noto che stanno impercettibilmente divisi, cioè da
una parte i garibaldini
e dall'altra i cattolici,
di qui il foulard rosso, di lì quello azzurro.
Nessuno applaude e nessuno commenta, si vede che
loro ricordano le persone che vengono commemorate,
si vede che i luoghi per loro hanno un significato
preciso e diretto, per me - babbuino incosciente -
sono nomi di vie nelle quali, sì e no, vado a
comprare la verdura.
Cerco di memorizzare, di immaginare.
Come posso comprendere una rappresaglia, come posso
figurarmela davvero? Come faccio a colmare la
distanza tra la mia immaginazione e la storia vera,
dura, cioè a pensare che davvero una squadraccia sia
entrata casa per casa, sequestrando degli uomini,
vivi e reali, fucilandoli in piazza?
Cerco di fissare il racconto nella mia memoria, più
che posso.
Verso la fine del discorso, l'oratore apre una
parentesi e tira giù un buon dieci minuti di
santi e
madonne contro i
Savoia, ancora una
volta rei e miserabili, con la loro schifosa
richiesta di risarcimento danni.
E qui, meraviglioso, vien giù il teatro, scatta
l'applauso fragoroso e i partigiani si riavvicinano,
si uniscono, si flettono e si muovono, qualcuno urla
qualcosa, gli altri manifestano sdegno e rancore
vivo come la brace.
E io capisco, il nemico è vivo e porta ancora in
giro la sua faccia sfrontata senza vergogna, non
sono dei poveri imbecilli marciti dentro a forza di
matrimoni parentali, come pareva a me, sono ancora il
nemico, sono il re pavido che scappa come un ladro,
sono gli imbelli e miserabili, sono i re senza la
dignità di re.
Sono sorpreso dall'intensità della reazione, ingenuo
bestia che sono, mica me l'aspettavo.
E ne sono contento, mi hanno ridato vigore, mi hanno
rinforzato la memoria, ora so ancora una volta di
più cosa devo fare. Grazie. |
I veri eroi dello
spazio.
Il 12 aprile è il giorno
del cosmonauta (ttnzn:
non astronauta), categoria molto amata da
trivigante.
Per sua natura, anche etimologica, il
concetto di cosmonauta non afferisce solo a
gagarinidi o aldrinidi, anzi, è molto più
ampio, infatti russi, cinesi, americani ed europei
sono solo la parte minoritaria dei cosmonauti che
hanno esplorato lo spazio.
I
veri protagonisti della conquista spaziale furono i
cosmonauti-bestie, animali, mostriciattoli a vario
titolo, esseri viventi che, volenti o non, salirono
su un'astronave e fecero un giro nello spazio o ai
confini dell'atmosfera, forse non del tutto
consenzienti.
Dunque, i posters con i babbuini nello spazio sono
veri.
Lo sapevo. Significativo, però, che solo
Kudrjavka, diventata
famosa come Laika, sia
passata alla storia e nell'immaginario collettivo:
per forza, era un cane, con tutta la retorica che
comporta, avessero lanciato un cavallo avremmo un
altro nobile eroe dello spazio.
Tutti gli altri esploratori, meno avvenenti,
leccapiedi e amici-dell'uomo, non furono ricordati.
E' per questo motivo che intendo qui rendere onore
dunque ai seguenti cosmonauti
(rrrrrrulloditamburi):
- le eroiche drosofile (moscerini della frutta) che
nel 1947 aprirono l'era dell'esplorazione spaziale;
- l'onorevole scimmia reso (macaca
mulatta) senza nome che, nel 1950, fu il primo
mammifero a essere lanciato su un missile e, poiché
la sua specie condivide con la razza umana il 95-98%
del patrimonio genetico, direi anche il primo
storico cosmonauta; al ritorno, non le si aprì il
paracadute, per cui divenne anche il primo eroico
cosmonauta morto in missione spaziale;
- sempre nel 1950 fu lanciato il
primo intrepido topo, la cui specie ha un posto di
prim'ordine nell'esplorazione spaziale (oltre che
nella ricerca in generale), dunque onore a tutti i
topi cosmonauti, di cui sarebbe troppo lungo
ricordare qui i nomi uno per uno;
- Gordo, generoso scimmione uistiti,
che nel 1958 restò nello spazio per dieci giorni,
smaltatosi anche lui per paracadute - americano,
stavolta - difettoso;
- Able e Baker, rispettivamente
macachi reso e uistiti, che furono i primi eroi a
ritornare interi alla base;
- ancora scimmie: Ham, scimpanzè, che
per primo compì manovre nello spazio nella capsula
(per avere, ovviamente, una banana) ed Enos, che fu
il primo scimpanzè ad andare in orbita, nel 1961,
poco prima di Gagarin;
-
le cavie e le rane lanciate dall'URSS nei primi anni
Sessanta, autentici giganti dello spazio;
- il gatto Felix, francese, che nel
1963 andò e tornò felicemente dallo spazio con aria
sorniona;
- gli scarafaggi, le amebe, le vespe,
i batteri e i funghi americani che furono lanciati
alla metà degli anni Sessanta e che nessuno ricorda
mai per il loro coraggio;
- la tartaruga, i vermi e i moscerini
sovietici che negli stessi anni corsero la gara
spaziale;
- i nematodi che nel 1972, sprezzanti del pericolo,
viaggiarono in orbita attorno alla terra;
- il ragno e il pesce che nello
Skylab (1973) furono i primi delle loro specie a
visitare il cosmo;
- gli eroici tritoni, le uova di
insetti, i coraggiosi embrioni di pollo che a più
riprese, sia da parte americana che sovietica,
volarono a vedere la terra dallo spazio.
E siamo dagli anni Novanta a oggi: rendo onore ai
gamberi, alle uova di quaglia, agli scarafaggi, ai
criceti,
ai ricci di mare, ai pesci spada, alle rane
pescatrici, alle carpe, alle lumache, alle formiche
e alle falene che si sono avventurate, con animo
ardito, nelle profondità dello spazio. A tutti
coloro vola il nostro ricordo.
E ricordo anche gli ultimi: lo scorpione e la
formica californiana che, lo scorso giugno, sono
entrati nell'empireo dell'esplorazione spaziale.
E' grazie a tutti loro se oggi noi siamo quel che
siamo e se lo spazio non ci è più così oscuro.
Ricordiamocene il 12 aprile, viva la cosmo-ameba e
l'intrepido ruzzolamerde! |
Trasversali,
ovvero siamo tutti amici.
E perciò felici. Quando
vado in edicola, dovendo per forza scegliere uno tra
tra l'Unità,
Libero e
il Riformista, non ho
dubbi, nel senso che ovviamente non prendo
minimamente in considerazione gli ultimi due.
Ammesso che di giornali si possa parlare. Comunque,
senza entrare nel merito, nel momento in cui decido
di comprare l'Unità e
non gli altri due, me ne vado dall'edicola convinto
di aver fatto una scelta di campo precisa che
corrisponde alle mie aspettative e tensioni
ideologiche (più o meno, è
l'Unità, io starei un poco più in là).
Ovviamente così non è, come al solito scopro a mie
spese che l'errore è mio, visto che continuo a
interpretare in modo errato determinate situazioni.
Ecco perché.
La storia non è nuova ma io la scopro ora nei
dettagli: l'editore proprietario di
Libero è la
Tosinvest Editoria srl,
che possiede, ohibò, anche il
Riformista. E già qui io vado in confusione,
pensavo stessero da parti opposte. Comunque,
Tosinvest Editoria srl
è una delle sei sub-holding che costituiscono
la holding Tosinvest Sa,
colosso variegato ovviamente con sede in
Lussemburgo. Le altre cinque sub-holding del
gruppo sono: Tosinvest Sanità,
che gestisce l'attività sanitaria;
Tosinvest Properties,
che si occupa delle attività connesse agli immobili
di una parte del patrimonio immobiliare del gruppo;
la Tosinvest Real Estate,
che gestisce e controlla un'altra parte delle
proprietà immobiliari del gruppo;
Tosinvest Facility,
invece, agisce nel settore dei servizi, spesso alle
Pubbliche Amministrazioni; infine,
Tosinvest Finanziaria è
la tesoreria accentrata del gruppo e svolge funzioni
amministrativo-finanziarie per tutte le
sub-holding.
Va bene, vado avanti.
Ritornando al vertice, la holding
Tosinvest Sa è
interamente posseduta dalla famiglia
Angelucci e, in
particolare, da Antonio
Angelucci, fondatore del gruppo, secondo
leggenda ex portantino d'ospedale, a capo di un
impero che ha interessi in quasi tutti i gangli
della società italiana. Ma i capitali all'estero.
Ad
Antonio Angelucci il
settore sanitario è rimasto nel cuore,
evidentemente:
Tosinvest Sanità, infatti, controlla e
possiede 25 strutture
sanitarie nazionali accreditate e una
miriade di RSA sparse
sul territorio, tremila posti letto e
duemilacinquecento dipendenti, ecco l'elenco.
Se vivete in Lazio o in Puglia o in Abruzzo,
difficile non ci siate stati.
Per fare affari in Puglia, fino all'anno scorso, era
necessario rivolgersi al Presidente-RAS della
Regione, cioè Raffaele Fitto.
E così è andata, Giampaolo
Angelucci è ora
imputato in un processo per aver corrotto proprio
Fitto, attraverso le
casse dell'UDC, in
cambio di appalti per oltre 198 milioni di euro.
Cosa che hanno puntualmente ottenuto.
Lo stesso discorso potrebbe valere per il Lazio, in
cui era necessario rivolgersi al Presidente-RAS
della Regione, cioè Francesco
Storace.
Ma non è l'unica attività degli
Angelucci, ne cito
alcune: il settore immobiliare del gruppo, con un
bilancio di cinquecento milioni di euro netti, è in
crescita; sono appena usciti da
Banca di Roma con una
sontuosa plusvalenza di trecento milioni; hanno la
benedizione e la protezione di
Cesare Geronzi, presidente di
Mediobanca, che li
accompagna nelle difficili quotazioni in Borsa delle
sub-holding del gruppo; sono attualmente
accusati (anche) di aver finanziato lautamente
Renato Farina, l'ex
vicedirettore di Libero
che ha già patteggiato una condanna per aver tentato
di spiare le indagini milanesi sul
Sismi; per
salvaguardare l'arco costituzionale, il fratello di
Gianfranco Fini,
Massimo, fa il
direttore sanitario per gli
Angelucci.
Tornando all'editoria, come detto,
Tosinvest Editoria srl
è proprietaria di Libero
e de il Riformista.
La notizia interessante è che, dopo esserne stati
soci con il 20% tra il 1998 e il 2000, ora gli
Angelucci si apprestano
ad acquistare l'Unità.
Infatti, a fine ottobre
Tosinvest Finanziaria ha versato un primo
acconto di due milioni di euro per l'acquisizione,
l'affare è pressoché fatto. I giornalisti sono in
agitazione, evidentemente la contiguità con
Libero e con la
famiglia Angelucci a
non tutti aggrada. Però, i legami di
Antonio Angelucci con i
DS, sponda dalemiana,
sono di antica data: l'operazione
Beta Immobiliare, cioè
l'acquisto (50,1 per cento) della società-veicolo
che custodiva i debiti del PCI-PDS, garantiti da 261
immobili tra cui la sede di Botteghe Oscure e le
leggendarie Frattocchie, risale al 2003.
Interessante,
in questa situazione spinosa di gomito a gomito, è
il commento di Emanuele
Macaluso: "L’autonomia di un giornale è
garantita innanzi tutto dal direttore e dalla
redazione. L’Unità non è più un giornale di partito
e il Pd l’ha mollato e non vedo perché, avendo lo
stesso editore di ’Libero’, il direttore e i
redattori perdano autonomia e debbano calarsi le
brache".
Balle, ovviamente. Se gli
Angelucci comprassero domani
trivigante.it, potrei
forse mandarli affanculo come faccio ora? Non credo,
non credo proprio.
Siccome all'orizzonte offerte non se ne vedono,
mantengo le mie prerogative di libertà assoluta,
tanto l'uva non mi piace, e indirizzo un po' di
fanculi a destra e a manca (agli
Angelucci, a
Macaluso, ai
dalemiani, all'attuale
proprietà de l'Unità, a
Libero, a
il Riformista, a
me, che penso ancora
che il mondo sia diviso tra cattivi e buoni) nello
spirito di trasversalità e amicizia universale che
ispirano questo breve racconto. Cordialmente. |
I Longobardi, i
Saraceni, il terremoto e, poi, gli Alleati.
L'abbazia
di Montecassino, vero gioiellone
dell'architettura e della storia monacale, fu
distrutta quattro volte nella sua storia: nel 577 i
Longobardi del
duca Zotone assalirono
nottetempo il monastero
costringendo
alla fuga i monaci; nell'883 o 884, i
Saraceni depredarono il
monastero, dandolo alle fiamme e passarono a fil di
spada l'abate Bertario con molti monaci, poiché il
monastero appoggiava dichiaratamente la politica
imperiale e antisaracena; nel 1349, un
terremoto distrusse
gran parte del monastero. Fin qui, si tratta di
distruzioni casuali o, comunque, compiute con mezzi
più o meno modesti. Altra determinazione e potenza
di fuoco fu dimostrata nella quarta distruzione
dell'abbazia, 1944, quando ci si mettono le cose le
fanno bene, ragione per cui la palma dei gran
distruttori di Montecassino,
in questa speciale categoria, va senza dubbio a:
le Forze Alleate.
Congratulazioni alla jattura vincitrice.
In estrema sintesi, andò così. I tedeschi, dopo
l'armistizio e lo sbarco alleato, si ritirarono
costruendo numerose linee fortificate a difesa delle
zone controllate dai nazisti. Una di queste,
la linea Gustav, andava dall'Adriatico al
Tirreno passando per Cassino.
Le Forze Alleate
scelsero il territorio cassinese per sfondare la
linea di difesa e diedero inizio a una serie di
battaglie, le cosiddette "Battaglie
di Montecassino", che a più riprese -
andarono dal 12 gennaio
al 18 maggio 1944,
quando gli Alleati
riuscirono a sconfiggere la resistenza tedesca.
Nel febbraio 1944, esisteva un accordo tra le
autorità ecclesiastiche e quelle italo-tedesche
secondo il quale i soldati tedeschi avrebbero potuto
stare all'esterno dell'abbazia, ma in nessun caso
militari avrebbero potuto entrare nell'abbazia. Ciò
nonostante, il generale
americano Mark Clark si convinse che
l'abbazia fosse occupata dai tedeschi; ritenendolo
un obiettivo primario, diede l'ordine di
bombardare
l'abbazia di
Montecassino. Vi furono numerose trattative volte a
salvare l'abbazia, si moltiplicarono gli appelli da
parte delle autorità ecclesiastiche e civili, si
mostrò che l'abbazia era abitata dai soli monaci, ma
rimasero inascoltati. Si fece in tempo solamente a
portare all'esterno il patrimonio librario e
artistico rimovibile (il
chiostro del Bramante, per dirne uno, rimase
ovviamente al suo posto) quando, alle
9.45 del
15 febbraio 1944, i
bombardieri alleati sganciarono sull'abbazia
287 tonnellate di bombe
esplosive, 66
tonnellate di bombe incendiarie e
100 tonnellate di bombe ad
alto potenziale.
Alle 12.20 dello stesso
giorno Montecassino
appariva così:
Al danno, si aggiunse la beffa: al
riparo delle rovine si sistemarono
ottanta paracadutisti tedeschi
che riuscirono a resistere oltre
tre mesi all'assedio
alleato. Il Genio-rale Clark
ammise l'errore strategico e tattico, facendo
spallucce all'oltraggio e allo scempio inflitto a
millecinquecento anni di storia. Non solo, fece
spallucce anche per i morti: quasi tutti i monaci e
più di cento civili.
Non
posso e non voglio credere che non vi
fossero altre motivazioni dietro questa
scelta, quale per esempio dimostrare ai
tedeschi che gli Alleati non si
sarebbero fermati nemmeno di fronte
all'extra-territorialità ecclesiastica o
altro di ogni genere, chissà. Forse solo
un'inutile dimostrazione di forza e
crudeltà.
Siccome gli yankees avevano sempre una
cinepresa con sé, e ci godevano a
documentare le imprese coraggiose, ci è
rimasto pure un filmato del
bombardamento, seppur breve. Cliccate
qui a destra sull'immagine. |
|
All'entrata dell'abbazia, oggi
ricostruita, c'è un cartello (la
foto non è perfetta) che dice:
Già dal
VI sec. a.C. Montecassino vede
insediamenti di Etruschi
e fortificazioni. Con i Romani diviene
roccaforte a difesa della Via
Latina e luogo di culto con templi a
Giove e Apollo.
Nel 529
circa, proveniente da Subiaco, vi si
stabilisce S. Be-
nedetto con alcuni discepoli e,
utilizzando costruzioni antiche, pone
le basi del monastero. Qui egli scrive
la sua "Regola dei Monaci"
libro pervaso di umanità ed equilibrio,
che è stato seme di civiltà
per l'Europa e ancora si adatta a ogni
ben vivere sociale.
A
Montecassino S. Benedetto muore verso il
547 e qui ha il
suo sepolcro insieme con la sorella S.
Scolastica.
Lungo la
sua storia l'Abbazia è stata distrutta
quattro volte:
nel 577 dai Longobardi
nell'884 dai Saraceni
nel 1349 dal terremoto
il 15 febbraio 1944 dalle Forze Alleate
della 2a guerra mondiale. |
Bravi, i monaci. Il
generale Mark Clark,
dopo aver combattuto anche in Corea, ricevette -
tra le decorazioni - la
Distinguished Service Cross, la
Distinguished Service
Medal, e la Gran
Croce della Legione d'Onore.
Gli hanno dedicato anche una strada, negli Stati
Uniti: l'Interstate 526
ovvero la
Mark Clark expressway.
|
Accanimento contra
personam.
Colpirne uno per sfancularne uno: Fabiano Fabiani.
Proseguo
la mia personale galleria di sfanculi lungo il ricco
sentierino dei boiardi di Stato, puntando oggi
quello che per certi versi sembra essere il modello
aziendale e poltroniero di
Enrico Testa (cfr.
bsite 23/10/07) e di un sacco di altri
professionisti dell'incarico:
Fabiano Fabiani, d'ora in poi
FF.
Come antipasto, a titolo esemplificativo, una
brevissima ma non esaustiva panoramica delle
correnti di adorazione che FF
ha seguito nella sua non breve carriera:
democristiano fanfaniano, di conseguenza
democristiano devoto a Bernabè attorno al 1968, poi
democristiano demitiano, poi rutelliano e ora
veltroniano. Sarà stato anche un sacco di altre
cose, nel mezzo, era solo per rendere l'idea.
D'altronde, per avere un posto interessante bisogna
ormeggiarsi di volta in volta al molo del potentone
di turno, locale o nazionale. E così lui fa.
Vado ora, come al solito, a cadaunare le poltroncine
occupate da FF nella
sua longeva carriera, cercando di non trascurarne
alcuna:
|
Uno: dal 1955 in
RAI,
entrato con uno di quei memorabili
concorsi pubblici del tempo, ci resta
per 23 anni, scalando quasi tutte le
gerarchie interne, come sarà evidente
poi. Questa, per ora, è una piccola
poltrona da giornalista RAI nel
telegiornale diretto da
Vittorio Veltroni,
dc di obbedienza fanfaniana. Giova
ricordare che il telegiornale era uno
solo, in Italia. |
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Due: dopo qualche
tempo, passando per le nomine a
redattore e a caporedattore,
FF viene
nominato direttore
del telegiornale, che è sempre
uno solo su una sola rete nazionale,
carica importantissima in virtù,
appunto, della sua unicità. Dice di sé
in quel periodo: "Rivendico il merito
di aver portato i giornalisti alla
conduzione scalzando gli speaker, i
lettori di testi". |
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Tre: sempre RAI,
viene nominato
direttore Centrale dei Programmi
Culturali Televisivi e poi,
queste le accorpo,
responsabile del Gruppo di studio per la
Terza Rete, quando si stava
pensando di crearne, appunto, una terza. |
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Quattro: sale
ancora, fino a diventare
vice direttore
generale della RAI. Non riuscirà
mai a diventarne direttore generale,
perché ce la fece il suo fratellastro
uguale in tutto e per tutto,
Biagio Agnes.
Comunque in RAI non gli è andata affatto
male. Ci tornerà. |
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Cinque: nel 1978,
tramvato sulla strada della direzione
generale, lascia la RAI e diventa
direttore centrale
dell’IRI,
l'Istituto
per la Ricostruzione Industriale,
una potenza colossale. Praticamente il
primo azionista d'Italia e la prima
azienda in quasi tutti i settori
industriali italiani. Uno Stato nello
Stato. Diventa amico di
Prodi. |
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Sei: dal 1979 al
1981 è
amministratore delegato della
Società Autostrade,
totalmente controllata dall'IRI
degli anni d'oro. |
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Sette: nel 1981
entra in
Finmeccanica, gigantesco colosso
sempre controllato dall'IRI
che si occupa, per sommi capi, di
aeronautica civile e militare, di
spazio, di elettronica per la difesa, di
elicotteri, di sistemi di difesa, di
energia e trasporti. Ne è
consigliere di
amministrazione e
direttore generale. |
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Otto: sempre in
Finmeccanica,
nel 1985 viene nominato
amministratore delegato. E' lui
che nel 1986, con
Prodi,
Viezzoli e
Tramontana, prende la decisione
di vendere la controllata
Alfa Romeo.
Non alla Ford,
che si presentava con i soldi sul piatto
ma alla Fiat,
che prometteva un pagamento dilazionato
in dieci anni. Per fare una citazione,
nel 1987 un articolo-intervista
sull'Espresso definì così la vendita: "è
corretto definire quella un’”asta
impropria”, nel senso che il bene posto
in vendita non venne aggiudicato al
miglior offerente". |
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Nove: sempre in
Finmeccanica,
nel 1995 è nominato
Presidente.
Storie note, compresi gli incidenti agli
ATR, piuttosto che le polemiche contro i
giornalisti che attaccavano De Mita e
così via. Va detto che rende la società
una delle più grandi e autorevoli
aziende del settore strategico,
aerospaziale e difensivo di livello
mondiale, con un deficit, all'uscita del
capo, di 540 miliardi di lire. |
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Dieci: nel 1997
lascia
Finmeccanica, si dice con
cacciata o sbattendo la porta, ma sono
voci senza conferma. Io ne perdo le
tracce per tre anni, di sicuro si sposta
su Roma (in senso politico), si riposa
finché nel 2000 viene nominato
amministratore
delegato di
Cinecittà Holding, società piuttosto
grossa che controlla, tra l'altro, l'Istituto
Luce. |
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Undici: nel 2002
diviene presidente
dell’Azienda
Speciale
Palaexpo, aziendona del
Comune di Roma che gestisce le Scuderie
del Quirinale, il Palazzo delle
Esposizioni, la Casa del Cinema, la Casa
del Jazz e il Teatro del Lido di Ostia,
in nome e per conto del Comune. |
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Dodici: nel 2004
va a fare il
presidente di
ACEA, riconfermato l'11 maggio 2007
per un altro triennio. Come detto per
Enrico Testa,
non si sottovaluti la cosa,
Acea è l'Azienda
Comunale Energia e Ambiente del
Comune di Roma, società per azioni
quotata in Borsa e nel 2001 è il secondo
gruppo nel settore dell'energia dopo l'Enel.
Poltrona importante. |
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Tredici: fino a
luglio del 2007, è stato
presidente
dell'APT
(Associazione dei produttori
televisivi), forse in virtù del suo
passato in RAI. Si è dimesso di gran
carriera e vedremo dopo perché. |
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Quattordici: come
presidente
di ACEA,
FF è anche
componente del
board of directors di
Suez Environment, una società
controllata dalla gigantesca
Suez, nata dalla fusione tra la
belga Compagnie de
Suez e la francese
Lyonnaise des Eaux. |
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Quindici: è
attualmente, se non mi sbaglio,
consigliere di
amministrazione di
Grapes communications, un colosso
delle ICT da centinaia di milioni di
euro, come dimostra
questo documento (pag. 14), visto
che alla Grapes
non si degnano di mettere on line
gli organi societari. |
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Sedici: a
settembre 2007, e qui il cerchio si
chiude, viene nominato
consigliere di
amministrazione della RAI, su
indicazione del ministro dell'Economia e
delle Finanze, come è d'uopo, in quota
centro-sinistra. Si dimette da alcune
cariche ma non da quella di
presidente
di
ACEA: scoppia la polemica e lui
rinuncia pubblicamente agli emolumenti
di quest'ultima carica, senza
dimettersi. A chi lo accusa di provenire
da un'altra RAI, altra epoca, ribatte: "Riconosco
che ho lasciato la Rai un'eternità fa. E
adesso dovrà mettermi sotto, studiare,
immergermi. Certo, saltano agli occhi
alcune differenze eclatanti. Ai miei
tempi, non c'era una cosa come L'Isola
dei Famosi. Ai miei tempi, non c'era
neanche la concorrenza. Ora la
concorrenza c'è". |
Già, ora la concorrenza c'è, cosa
di non poco conto. Comunque sia, è utile
ricordare che nel 2005 fece pubblica
comunicazione di aver votato
Prodi alle primarie
e ora, interessante, pare faccia parte di una
commissione di esperti per
il programma economico del Partito democratico.
Ora, in conclusione, vorrei aggiungere un paio
di poltrone che non fanno capo direttamente a
FF ma che, con una
certa approssimazione, possono essere a lui
ricondotte:
|
Diciassette: la
moglie di FF,
Lilly Fabiani,
è l'addetta stampa di
Porta a Porta,
cioè del maligno Vespa. Assidua
frequentatrice con il marito della
piazzetta di
Capalbio, tra l'altro, è una
buona dimostrazione di come nel salotto
buono della TV destra e sinistra trovino
una pregevole armonia di intenti. Solo
noi, dall'altra parte, ci
scandalizziamo, stolti. |
|
Diciotto: la nuora
di FF,
Cecilia Valmarana,
è Responsabile
Produzione
Rai Cinema, nonché figlia di
Paolo Valmarana, storico padre del
cinema coprodotto dalla RAI, L'albero
degli zoccoli, per esempio, e viene
citata ovunque come caso lampante di
nepotismo RAI. |
Detto questo, ognuno tragga le
conclusioni che desidera o che riesce, io prendo
commiato ma non senza aver fatto ciò che faccio
queste occasioni: caro FF,
fanculo.
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Dis is di end, mai
onli friend, di end.
Tanti
sono i modi, mediamente cretini, per spargersi in
giro o per trasformarsi da qualche parte. Da morti,
ovviamente. Mi guardo attorno e rifletto
sull'argomento, dato che ogni moto idiota mi attrae
magnetico e irresistibile.
Per esempio, tra le proposte del mercato (www.sarg-discount.de),
potrei farmi sparare in cielo chiuso
in un razzetto da poco, scoppiando in un
deprimente fuoco d'artificio a trecento metri
d'altezza, il cui aspetto più interessante è senza
dubbio il botto. Vorrei tritolo, TNT, plastico, mica
polvere pirica che si colora e rende felici i
bambini. Se proprio, meglio un gran cannone dalla
gittata chilometrica, con vero esplosivo da far
tremare le viscere, in un deserto davvero deserto,
come il grande Hunter S.
Thompson.
Il nome dell'azienda, peraltro, contrasta con
l'offerta fragorosa: il termine "discount" fa
pensare a un risparmio indecoroso, se si tratta
dell'ultimo atto della propria dipartita non si badi
a spese. Se fui gran cafone in vita, per quale
motivo non esserlo in mortem?
Più ecologista e passatista la seconda proposta, che
offre lo spargimento delle ceneri dall'alto di
una mongolfiera. Ah, che delicatezza, anche se
l'idea è un po' quella di sganciare la zavorra, in
definitiva.
Solo che la zavorra è io.
Uhm, non saprei, essere sparso da un tizio che
nemmeno conosco senza avere la possibilità di
decidere il momento e il luogo esatto mi lascia
perplesso. Magari il tizio in questione quel giorno
non ne ha voglia e mi getta nel braciere come
incenso aromatico per profumare la mongolfiera
tutta, rinuncio.
Anche la proposta della
Friedwald, ditta anche questa tedesca,
non mi convince del tutto. Essere sepolto ai piedi
di una pianta in una foresta di per sé sarebbe anche
sensato, quantomeno questa scelta avrebbe la
tradizione dalla propria parte, compresa la certezza
quasi assoluta di evitare la saponificazione, che è
una prospettiva che non desidero più di tanto. Però,
pensandoci bene, intravedo alcune controindicazioni.
Primo, posso farlo da solo, cioè con l'aiuto di un
amico volonteroso. Secondo fatto, le foreste che
corrispondono alle mie aspirazioni di sepoltura,
sterminate e intricatissime, scarseggiano, va a
finire che mi tocca andare in qualche ex-repubblica
sovietica o nel sud-est asiatico e poi, magari, si
scopre che il terreno è radioattivo o che sotto alle
chiappe ho quintali di tolotti di rifiuti
industriali. O, dopo, sopra. Non che mi facciano
male, d'accordo, ma insomma, ci vuole un po' di
dignità anche quando si sprigionano fuochi fatui. O,
nella migliore delle ipotesi, vengo sepolto in un
antico cimitero indiano/satanista/eretico/rossokhmerico,
il che potrebbe procurarmi un eterno errare, magari
dannato a vendere negli incubi altrui numeri di
Torre di guardia. Terzo fatto, magari finisce
che io nutro una pianta gentile e rispettosa, la
quale poi va a finire in un
Kaalfhgmnmn, comodino di piallato, o in uno
Skroott, mensolina
idiota per le spezie esotiche, in casa di un sincero
democratico veltroniano.
No, no, meglio di no, l'incertezza regna sovrana, se
mi trasformo, gradirei non essere spostato.
Piuttosto, meglio una sana cremazione e poi, che so,
essere sparso nell'acqua dell'acquedotto pubblico
nel tratto che precede i rubinetti. Sabbia nella
pasta. O nel condotto dell'aria condizionata di un
volo intercontinentale, giusto per rompere un po' i
coglioni.
Di certo, sono sicuro, non nella
Grande Piramide. Non
sto parlando di Cheope, quella è sua e mica mi fanno
entrare. La Grande Piramide
è la colossale cagata del momento (euf.),
dato che si tratta di una sesquipedale piramide che
verrà costruita vicino a
Dessau (sempre tedeschi, cosa significa?) e
che, composta di innumerevoli blocchi 90x60x60,
ognuno contenente le ceneri di un defunto,
raggiungerà i 150 metri se i sottoscrittori saranno
almeno cinque milioni. Un pelo più alta di quella di
Cheope, per l'appunto. Ma se i moriendi rincretiniti
dovessero essere più di cento milioni, la piramide
sarà un mostro di seicento metri. E sarebbe record.
Vedere per credere:
www.thegreatpyramid.org.
Naturalmente, l'acquisto del proprio blocco permette
di personalizzarlo secondo i propri gusti, in quanto
a colore e scritte varie. E se dovesse capitare di
arrivare tardi, cioè di essere sepolti in un blocco
che sta dannatamente in alto, nessun problema: alla
vedova inconsolabile verranno fornite le coordinate
satellitari con cui, via internet, potrà vedere
precisamente il blocco richiesto. E piangere davanti
al monitor quindici pollici, sempre che abbia uno
straccio di adsl.
Potremmo stare qui a farci grasse risate al
riguardo, certo, se non fosse che:
duecento persone hanno già felicemente
acquistato il proprio spazio; la
Fondazione culturale della
Repubblica Federale ha stanziato
ottantanovemila euro per l'iniziativa "culturale";
tra pochi giorni una giuria, presieduta da
Rem Koolhaas, un certo
nome, sceglierà il miglior progetto di edificazione
della solenne stronzatona.
Si fa sul serio, possibile che a nessuno scappi da
ridere?
No, nessuno ride. Qualche cittadino di Dessau pare
abbia espresso un pacifico dissenso, come solo i
tedeschi civili sanno fare, il che non ha portato a
grandi risultati. Anzi, gli è stato detto, visto che
a Dessau nacque la seconda
Bauhaus, perché non proseguire nel solco
dell'innovazione architettonica? Conoscendo un poco
i miei simili, non ho dubbi che esteticamente la
piramide diventerà una solenne schifezza, più di
quanto non lo sia in sé, poiché la libertà di
personalizzazione è pericolosissima: primo livello
di distinzione, la piramide; secondo livello, il
colore e la foggia esteriore del blocco. Auguri,
largo al buon gusto.
Ovvio che, a questo punto, ciò che interessa davvero
è l'indotto, vale a dire parenti, turisti
aggruppati, egittologi scettici, famigliole in gita,
giapponesi, necrofili, adepti new age
convinti dell'energia del luogo e così via, già vedo
i baracchini con i bratwurst. E non c'è
nemmeno da sperare nei tombaroli, dato che di stanze
del tesoro proprio non se ne parla.
Bah, se a qualcuno interessa, al momento ci sono
4.999.800, oppure 99.999.800, blocchi liberi.
Bando alle timidezze, qui si sbraca per l'eternità. |
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