the b. site of the moon
sbrodolata finto-casuale di b.cose.
A Stalingrado non passano e, nel suo piccolo, neanche nel b.site. In ogni caso, rimane sempre il piano B.

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la letteratura di trivigante:
la tenzone poetica pt. 1

rassegna stampa:
Bush regala un coso al Papa

commenti:
posta[at]trivigante.it


trivigante 2006

trenta

E Tolkien? Ministoria tutta piena di cretineria.
Una sintesi della questione (da l'Espresso):
"Lo scandalo delle intercettazioni è scoppiato mercoledì 21 novembre, quando 'la Repubblica' ha pubblicato alcune telefonate tra alti dirigenti della Rai e di Mediaset, stralci registrati dalla Guardia di Finanza che al tempo indagava sul fallimento dell'Hdc, la società dell'ex sondaggista berlusconiano Luigi Crespi. Protagonisti delle chiacchierate - avvenute tra la fine del 2004 e la primavera del 2005 - la responsabile del marketing Rai Deborah Bergamini, ex assistente di Berlusconi poi accasata a Viale Mazzini, il direttore di RaiUno Fabrizio Del Noce (ex parlamentare forzista), Mauro Crippa, responsabile dei palinsesti del Biscione, Bruno Vespa e Flavio Cattaneo: i brani sembrano delineare l'esistenza di una 'rete segreta', di una struttura parallela attraverso cui il Cavaliere pilotava l'informazione di due gruppi tv, in teoria concorrenti". Lo si diceva da mo', ora ci sono le carte.
E, ora, folklore: la tizia in questione, Deborah Bergamini (ripeto: ex segretaria di Berlusconi), con il nome di Cartimandua, teneva un blog delirante a metà tra il fantasy, l'assurdopolitica, il beotismo e la chiavicherìa. Il blog è improvvisamente scomparso dopo la pubblicazione delle intercettazioni, tizia rapida. Ma la cache di Google non perdona e, ahilei, le pagine del blog ancora si
trovano in memoria: qui.
Non ci rimarranno ancora molto, la cache è per sua natura temporanea, io ne ho salvato un pezzetto, sempre per memoria, basta cliccare sull'immagine qui a destra.
Si dilettava a scrivere di cagate personali sotto un velo fantasy ("Il destino è sempre perfetto, è peccato chiamarlo coincidenza. E i suoi segni sono chiari. Come non riconoscerli? E allora la Regina dei Celti, alias Struttura Delta, è andata a porgere un saluto al Direttore di Repubblica. Insolito, per una Regina. Gli occhi del Direttore, color nocciola scuro, si sono fatti grandi. L'incontro è stato asciutto, forse un po' appuntito. Come destino voleva. Ma se si ama la stessa locanda sarà  mica collusione?"), tutta inebriata di potere della cippa, oppure delirava in modo comprensibile solo ai nanouomini ebbri di Vespa ("Luce di luna, strepito di tuono e abbraccio di ferro sono serviti al fido amico Odhran per omaggiare la sua regina. All'alba del terzo giorno, nella tenue luce di peltro, lei aveva uno sguardo denso, troppo denso. Soffriva, muta. Una cotta impenetrabile la proteggerà, aveva pensato Odhran. Ma nessun tuono poteva coprire il tumulto del cuore della regina. La passeggiata nel bosco liquido le era costata un momento d'anima. E lei aveva pagato di buon grado. Glielo aveva insegnato il grande capo, mentre nuotavano insieme nelle acque ghiacciate del Lago Maestro"). Maccazzo, Bergamini, sei deficiente? Santoddio. DIRETTORE DI MARKETING RAI, cioè decide i palinsesti, porcozzio, non so se rendo l'idea.
Come dicevo, il blog è scomparso sotto i colpi delle intercettazioni e, per magia di Odhran e di Sailqaatz, è apparso questo: www.deborahbergamini.it. Sottitolo: "intercettazioni di conoscenze".
Riderà almeno lei, di tanta sagacia? Io no, estrapolo indebitamente dal post di oggi ("Da oggi non vado più in ufficio"): "Credo, oggi, che molto del livore che si è scatenato sia anche il frutto di un modo malato di fare informazione". Esattamente, è proprio per quello che ce l'abbiamo con te. E poi: "E’ il caso di fermarsi a riflettere. Tutti quanti". Eh no! Tu facevi da scendiletto al capo devastando un bene pubblico, e noi ci dobbiamo fermare a riflettere? Col cacchio, spero che la Palude di Stherco ti avvolga così che io possa, finalmente, dimenticarmi l'enorme fastidio che provo pensando a te.

ventinove

Il clima sta decisamente cambiando.
Questa non posso lasciarla cadere, troppo interessante. Riassumo in breve, la vicenda è stata riportata, sebbene abbastanza in sordina, da molte persone attente.
Due nomi: Rossana Interlandi, assessore al territorio e all'ambiente della Regione Sicilia nonché bel fighino qui a destra; Salvatore Anzà, del Dipartimento Territorio e Ambiente della Regione. Comprimari: tre dirigenti dell'assessorato, due dell'Arpa Sicilia, tre professori dell'Università di Palermo e uno dell'Università di Messina.
Premessa: credo che quasi tutti i documenti citati in questo post spariranno dalla rete a breve, data la situazione. Se non funzionassero più i links è perché i cattivi sono in azione. Ma io li ho salvati in trivigante.it, i links sono in fondo.
Il fatto: tutti insieme, sono artefici della realizzazione del
Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria ambiente della Regione Sicilia, approvato e adottato con decreto il 9 agosto 2007 (176/GAB), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale a settembre.
Felicitazioni per il corposo lavoro, congratulazioni per la celerità etc. etc. con encomio ufficiale e scritto dell'assessore. Ma la cazzata si annida dietro l'angolo.
Capitolo 6: Le azioni del piano, pagina 4, paragrafo 6.1.3, punto tre, riporto: "per i rimanenti Comuni di fascia C, si consiglia di adottare comunque comportamenti virtuosi di natura volontaria, volti a prevenire l’acuirsi del fenomeno a livello locale, regionale e di bacino aerologico padano". Che cari, si preoccupano per noi che stiamo a nord. Stesso capitolo, pagina 14, paragrafo 6.4, riporto: "La conclusione della procedura prevede che tutte le osservazioni pervenute vengano valutate dalla Giunta regionale e (...) procedendo quindi ad una riadozione e successiva trasmissione al Consiglio regionale". Ma la Regione Sicilia non ce l'ha il Consiglio regionale, ha un'Assemblea regionale siciliana, essendo a statuto speciale,
l'ARS. Ohibò, che fetore. E giù a rotta di collo, senza patemi: vengono citate le piste ciclabili lungo gli argini dei fiumi e dei canali presenti nei centri storici dei Comuni siciliani, il notevole apporto all'inquinamento atmosferico siciliano derivante dall’eccessivo uso del riscaldamento domestico in relazione al rigido clima dell’isola e così via.
Esatto, copia e incolla, trova e sostituisci. Facile, dati gli indizi, capire da dove: il Piano di controllo dell'inquinamento atmosferico della Regione Veneto, anno 2000, peraltro già allora bocciato dall'Europa. Basta confrontare, per esempio, il Capitolo 6: Le azioni del piano: nemmeno i titoli dei paragrafi hanno cambiato. Pure l'indice dei documenti utilizzati è clamoroso, si confrontino le versioni (Veneto - Sicilia), con l'unica differenza che nella versione siciliana, quale correttezza, è citato il piano del Veneto. Spudorati e rimbecilliti.
Tutto quanto qui raccontato, e molto di più, è merito di Legambiente, che ha spulciato i documenti. L'assessore Interlandi (ah! ah!), scandalizzata (ah! ah!), aprirà un'inchiesta interna (ah! ah!) e - presumibilmente - ritirerà il piano (ah! ah!). Magari qualcuno noterà gli estremi per qualche tipo di reato, truffa magari, in ogni caso non si verrà a capo di molto, secondo me. Siccome il documento sparirà anche dalla rete, immagino, mi premuro io di salvare almeno due capitoli del piano, il
Capitolo 6 e il Capitolo 8, che ospito qui con piacere per la comoda consultazione.
rif: http://www.isolapossibile.it/article.php3?id_article=3537
rif:
http://invisibil.blogspot.com/2007/11/in-sicilia-si-respira-aria-del-veneto.html

venticinque

Mi permetto di dire che i Savoia sono come le patate: la parte migliore sta sottoterra (Diego Cugia).
Domenica mattina, pioviggina, io da buon borghesone vado a caccia di un caffé e di giornali caldi quando mi imbatto in una manifestazione dell'ANPI: otto-partigiani-otto, un palchetto, una panda quattroperquattro che fa da generatore per l'impianto microfonico, qualche bandiera e io, che sono di almeno cinquant'anni il più giovane nei dintorni. Si ricordano i compagni trucidati per rappresaglia dai fascisti il 13 novembre 1943, i primi nella mia città dopo l'armistizio, e si depone una corona di fiori ai piedi di una lapide.
L'oratore, uomo SPI-CGIL, trasmette sincera commozione per eventi che non ha visto, gli otto partigiani stanno ritti sotto i gonfaloni e le bandiere che reggono con orgoglio.
Noto che stanno impercettibilmente divisi, cioè da una parte i garibaldini e dall'altra i cattolici, di qui il foulard rosso, di lì quello azzurro.
Nessuno applaude e nessuno commenta, si vede che loro ricordano le persone che vengono commemorate, si vede che i luoghi per loro hanno un significato preciso e diretto, per me - babbuino incosciente - sono nomi di vie nelle quali, sì e no, vado a comprare la verdura.
Cerco di memorizzare, di immaginare.
Come posso comprendere una rappresaglia, come posso figurarmela davvero? Come faccio a colmare la distanza tra la mia immaginazione e la storia vera, dura, cioè a pensare che davvero una squadraccia sia entrata casa per casa, sequestrando degli uomini, vivi e reali, fucilandoli in piazza?
Cerco di fissare il racconto nella mia memoria, più che posso.
Verso la fine del discorso, l'oratore apre una parentesi e tira giù un buon dieci minuti di santi e madonne contro i Savoia, ancora una volta rei e miserabili, con la loro schifosa richiesta di risarcimento danni.
E qui, meraviglioso, vien giù il teatro, scatta l'applauso fragoroso e i partigiani si riavvicinano, si uniscono, si flettono e si muovono, qualcuno urla qualcosa, gli altri manifestano sdegno e rancore vivo come la brace.
E io capisco, il nemico è vivo e porta ancora in giro la sua faccia sfrontata senza vergogna, non sono dei poveri imbecilli marciti dentro a forza di matrimoni parentali, come pareva a me, sono ancora il nemico, sono il re pavido che scappa come un ladro, sono gli imbelli e miserabili, sono i re senza la dignità di re.
Sono sorpreso dall'intensità della reazione, ingenuo bestia che sono, mica me l'aspettavo.
E ne sono contento, mi hanno ridato vigore, mi hanno rinforzato la memoria, ora so ancora una volta di più cosa devo fare. Grazie.

venti

I veri eroi dello spazio.
Il 12 aprile è il giorno del cosmonauta (ttnzn: non astronauta), categoria molto amata da trivigante.

Per sua natura, anche etimologica, il concetto di cosmonauta non afferisce solo a gagarinidi o aldrinidi, anzi, è molto più ampio, infatti russi, cinesi, americani ed europei sono solo la parte minoritaria dei cosmonauti che hanno esplorato lo spazio.
I veri protagonisti della conquista spaziale furono i cosmonauti-bestie, animali, mostriciattoli a vario titolo, esseri viventi che, volenti o non, salirono su un'astronave e fecero un giro nello spazio o ai confini dell'atmosfera, forse non del tutto consenzienti.
Dunque, i posters con i babbuini nello spazio sono veri.
Lo sapevo. Significativo, però, che solo Kudrjavka, diventata famosa come Laika, sia passata alla storia e nell'immaginario collettivo: per forza, era un cane, con tutta la retorica che comporta, avessero lanciato un cavallo avremmo un altro nobile eroe dello spazio.
Tutti gli altri esploratori, meno avvenenti, leccapiedi e amici-dell'uomo, non furono ricordati. E' per questo motivo che intendo qui rendere onore dunque ai seguenti cosmonauti (rrrrrrulloditamburi):
- le eroiche drosofile (moscerini della frutta) che nel 1947 aprirono l'era dell'esplorazione spaziale;

- l'onorevole scimmia reso (macaca mulatta) senza nome che, nel 1950, fu il primo mammifero a essere lanciato su un missile e, poiché la sua specie condivide con la razza umana il 95-98% del patrimonio genetico, direi anche il primo storico cosmonauta; al ritorno, non le si aprì il paracadute, per cui divenne anche il primo eroico cosmonauta morto in missione spaziale;

- sempre nel 1950 fu lanciato il primo intrepido topo, la cui specie ha un posto di prim'ordine nell'esplorazione spaziale (oltre che nella ricerca in generale), dunque onore a tutti i topi cosmonauti, di cui sarebbe troppo lungo ricordare qui i nomi uno per uno;

- Gordo, generoso scimmione uistiti, che nel 1958 restò nello spazio per dieci giorni, smaltatosi anche lui per paracadute - americano, stavolta - difettoso;

- Able e Baker, rispettivamente macachi reso e uistiti, che furono i primi eroi a ritornare interi alla base;

- ancora scimmie: Ham, scimpanzè, che per primo compì manovre nello spazio nella capsula (per avere, ovviamente, una banana) ed Enos, che fu il primo scimpanzè ad andare in orbita, nel 1961, poco prima di Gagarin;

- le cavie e le rane lanciate dall'URSS nei primi anni Sessanta, autentici giganti dello spazio;

- il gatto Felix, francese, che nel 1963 andò e tornò felicemente dallo spazio con aria sorniona;

- gli scarafaggi, le amebe, le vespe, i batteri e i funghi americani che furono lanciati alla metà degli anni Sessanta e che nessuno ricorda mai per il loro coraggio;

- la tartaruga, i vermi e i moscerini sovietici che negli stessi anni corsero la gara spaziale;
- i nematodi che nel 1972, sprezzanti del pericolo, viaggiarono in orbita attorno alla terra;

- il ragno e il pesce che nello Skylab (1973) furono i primi delle loro specie a visitare il cosmo;

- gli eroici tritoni, le uova di insetti, i coraggiosi embrioni di pollo che a più riprese, sia da parte americana che sovietica, volarono a vedere la terra dallo spazio.
E siamo dagli anni Novanta a oggi: rendo onore ai gamberi, alle uova di quaglia, agli scarafaggi, ai criceti,
ai ricci di mare, ai pesci spada, alle rane pescatrici, alle carpe, alle lumache, alle formiche e alle falene che si sono avventurate, con animo ardito, nelle profondità dello spazio. A tutti coloro vola il nostro ricordo.
E ricordo anche gli ultimi: lo scorpione e la formica californiana che, lo scorso giugno, sono entrati nell'empireo dell'esplorazione spaziale.
E' grazie a tutti loro se oggi noi siamo quel che siamo e se lo spazio non ci è più così oscuro. Ricordiamocene il 12 aprile, viva la cosmo-ameba e l'intrepido ruzzolamerde!

sedici

Trasversali, ovvero siamo tutti amici.
E perciò felici. Quando vado in edicola, dovendo per forza scegliere uno tra tra l'Unità, Libero e il Riformista, non ho dubbi, nel senso che ovviamente non prendo minimamente in considerazione gli ultimi due. Ammesso che di giornali si possa parlare. Comunque, senza entrare nel merito, nel momento in cui decido di comprare l'Unità e non gli altri due, me ne vado dall'edicola convinto di aver fatto una scelta di campo precisa che corrisponde alle mie aspettative e tensioni ideologiche (più o meno, è l'Unità, io starei un poco più in là). Ovviamente così non è, come al solito scopro a mie spese che l'errore è mio, visto che continuo a interpretare in modo errato determinate situazioni. Ecco perché.
La storia non è nuova ma io la scopro ora nei dettagli: l'editore proprietario di Libero è la Tosinvest Editoria srl, che possiede, ohibò, anche il Riformista. E già qui io vado in confusione, pensavo stessero da parti opposte. Comunque, Tosinvest Editoria srl è una delle sei sub-holding che costituiscono la holding Tosinvest Sa, colosso variegato ovviamente con sede in Lussemburgo. Le altre cinque sub-holding del gruppo sono: Tosinvest Sanità, che gestisce l'attività sanitaria; Tosinvest Properties, che si occupa delle attività connesse agli immobili di una parte del patrimonio immobiliare del gruppo; la Tosinvest Real Estate, che gestisce e controlla un'altra parte delle proprietà immobiliari del gruppo; Tosinvest Facility, invece, agisce nel settore dei servizi, spesso alle Pubbliche Amministrazioni; infine, Tosinvest Finanziaria è la tesoreria accentrata del gruppo e svolge funzioni amministrativo-finanziarie per tutte le sub-holding.
Va bene, vado avanti.
Ritornando al vertice, la holding Tosinvest Sa è interamente posseduta dalla famiglia Angelucci e, in particolare, da Antonio Angelucci, fondatore del gruppo, secondo leggenda ex portantino d'ospedale, a capo di un impero che ha interessi in quasi tutti i gangli della società italiana. Ma i capitali all'estero.
Ad Antonio Angelucci il settore sanitario è rimasto nel cuore, evidentemente: Tosinvest Sanità, infatti, controlla e possiede 25 strutture sanitarie nazionali accreditate e una miriade di RSA sparse sul territorio, tremila posti letto e duemilacinquecento dipendenti, ecco l'elenco.
Se vivete in Lazio o in Puglia o in Abruzzo, difficile non ci siate stati.
Per fare affari in Puglia, fino all'anno scorso, era necessario rivolgersi al Presidente-RAS della Regione, cioè Raffaele Fitto. E così è andata, Giampaolo Angelucci è ora imputato in un processo per aver corrotto proprio Fitto, attraverso le casse dell'UDC, in cambio di appalti per oltre 198 milioni di euro. Cosa che hanno puntualmente ottenuto.
Lo stesso discorso potrebbe valere per il Lazio, in cui era necessario rivolgersi al Presidente-RAS della Regione, cioè Francesco Storace.
Ma non è l'unica attività degli Angelucci, ne cito alcune: il settore immobiliare del gruppo, con un bilancio di cinquecento milioni di euro netti, è in crescita; sono appena usciti da Banca di Roma con una sontuosa plusvalenza di trecento milioni; hanno la benedizione e la protezione di Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca, che li accompagna nelle difficili quotazioni in Borsa delle sub-holding del gruppo; sono attualmente accusati (anche) di aver finanziato lautamente Renato Farina, l'ex vicedirettore di Libero che ha già patteggiato una condanna per aver tentato di spiare le indagini milanesi sul Sismi; per salvaguardare l'arco costituzionale, il fratello di Gianfranco Fini, Massimo, fa il direttore sanitario per gli Angelucci.
Tornando all'editoria, come detto, Tosinvest Editoria srl è proprietaria di Libero e de il Riformista.
La notizia interessante è che, dopo esserne stati soci con il 20% tra il 1998 e il 2000, ora gli Angelucci si apprestano ad acquistare l'Unità. Infatti, a fine ottobre Tosinvest Finanziaria ha versato un primo acconto di due milioni di euro per l'acquisizione, l'affare è pressoché fatto. I giornalisti sono in agitazione, evidentemente la contiguità con Libero e con la famiglia Angelucci a non tutti aggrada. Però, i legami di Antonio Angelucci con i DS, sponda dalemiana, sono di antica data: l'operazione Beta Immobiliare, cioè l'acquisto (50,1 per cento) della società-veicolo che custodiva i debiti del PCI-PDS, garantiti da 261 immobili tra cui la sede di Botteghe Oscure e le leggendarie Frattocchie, risale al 2003.
Interessante, in questa situazione spinosa di gomito a gomito, è il commento di Emanuele Macaluso: "L’autonomia di un giornale è garantita innanzi tutto dal direttore e dalla redazione. L’Unità non è più un giornale di partito e il Pd l’ha mollato e non vedo perché, avendo lo stesso editore di ’Libero’, il direttore e i redattori perdano autonomia e debbano calarsi le brache".
Balle, ovviamente. Se gli Angelucci comprassero domani trivigante.it, potrei forse mandarli affanculo come faccio ora? Non credo, non credo proprio.
Siccome all'orizzonte offerte non se ne vedono, mantengo le mie prerogative di libertà assoluta, tanto l'uva non mi piace, e indirizzo un po' di fanculi a destra e a manca (agli Angelucci, a Macaluso, ai dalemiani, all'attuale proprietà de l'Unità, a Libero, a il Riformista, a me, che penso ancora che il mondo sia diviso tra cattivi e buoni) nello spirito di trasversalità e amicizia universale che ispirano questo breve racconto. Cordialmente.

dodici

I Longobardi, i Saraceni, il terremoto e, poi, gli Alleati.
L'abbazia di Montecassino, vero gioiellone dell'architettura e della storia monacale, fu distrutta quattro volte nella sua storia: nel 577 i Longobardi del duca Zotone assalirono nottetempo il monastero costringendo alla fuga i monaci; nell'883 o 884, i Saraceni depredarono il monastero, dandolo alle fiamme e passarono a fil di spada l'abate Bertario con molti monaci, poiché il monastero appoggiava dichiaratamente la politica imperiale e antisaracena; nel 1349, un terremoto distrusse gran parte del monastero. Fin qui, si tratta di distruzioni casuali o, comunque, compiute con mezzi più o meno modesti. Altra determinazione e potenza di fuoco fu dimostrata nella quarta distruzione dell'abbazia, 1944, quando ci si mettono le cose le fanno bene, ragione per cui la palma dei gran distruttori di Montecassino, in questa speciale categoria, va senza dubbio a: le Forze Alleate. Congratulazioni alla jattura vincitrice.
In estrema sintesi, andò così. I tedeschi, dopo l'armistizio e lo sbarco alleato, si ritirarono costruendo numerose linee fortificate a difesa delle zone controllate dai nazisti. Una di queste, la linea Gustav, andava dall'Adriatico al Tirreno passando per Cassino. Le Forze Alleate scelsero il territorio cassinese per sfondare la linea di difesa e diedero inizio a una serie di battaglie, le cosiddette "Battaglie di Montecassino", che a più riprese - andarono dal 12 gennaio al 18 maggio 1944, quando gli Alleati riuscirono a sconfiggere la resistenza tedesca.
Nel febbraio 1944, esisteva un accordo tra le autorità ecclesiastiche e quelle italo-tedesche secondo il quale i soldati tedeschi avrebbero potuto stare all'esterno dell'abbazia, ma in nessun caso militari avrebbero potuto entrare nell'abbazia. Ciò nonostante, il generale americano Mark Clark si convinse che l'abbazia fosse occupata dai tedeschi; ritenendolo un obiettivo primario, diede l'ordine di bombardare l'abbazia di Montecassino. Vi furono numerose trattative volte a salvare l'abbazia, si moltiplicarono gli appelli da parte delle autorità ecclesiastiche e civili, si mostrò che l'abbazia era abitata dai soli monaci, ma rimasero inascoltati. Si fece in tempo solamente a portare all'esterno il patrimonio librario e artistico rimovibile (il chiostro del Bramante, per dirne uno, rimase ovviamente al suo posto) quando, alle 9.45 del 15 febbraio 1944, i bombardieri alleati sganciarono sull'abbazia 287 tonnellate di bombe esplosive, 66 tonnellate di bombe incendiarie e 100 tonnellate di bombe ad alto potenziale.
Alle 12.20 dello stesso giorno Montecassino appariva così:

Al danno, si aggiunse la beffa: al riparo delle rovine si sistemarono ottanta paracadutisti tedeschi che riuscirono a resistere oltre tre mesi all'assedio alleato. Il Genio-rale Clark ammise l'errore strategico e tattico, facendo spallucce all'oltraggio e allo scempio inflitto a millecinquecento anni di storia. Non solo, fece spallucce anche per i morti: quasi tutti i monaci e più di cento civili.

Non posso e non voglio credere che non vi fossero altre motivazioni dietro questa scelta, quale per esempio dimostrare ai tedeschi che gli Alleati non si sarebbero fermati nemmeno di fronte all'extra-territorialità ecclesiastica o altro di ogni genere, chissà. Forse solo un'inutile dimostrazione di forza e crudeltà.
Siccome gli yankees avevano sempre una cinepresa con sé, e ci godevano a documentare le imprese coraggiose, ci è rimasto pure un filmato del bombardamento, seppur breve. Cliccate qui a destra sull'immagine.

All'entrata dell'abbazia, oggi ricostruita, c'è un cartello (la foto non è perfetta) che dice:

Già dal VI sec. a.C. Montecassino vede insediamenti di Etruschi
e fortificazioni. Con i Romani diviene roccaforte a difesa della Via
Latina e luogo di culto con templi a Giove e Apollo.

Nel 529 circa, proveniente da Subiaco, vi si stabilisce S. Be-
nedetto con alcuni discepoli e, utilizzando costruzioni antiche, pone
le basi del monastero. Qui egli scrive la sua "Regola dei Monaci"
libro pervaso di umanità ed equilibrio, che è stato seme di civiltà
per l'Europa e ancora si adatta a ogni ben vivere sociale.

A Montecassino S. Benedetto muore verso il 547 e qui ha il
suo sepolcro insieme con la sorella S. Scolastica.

Lungo la sua storia l'Abbazia è stata distrutta quattro volte:
nel 577 dai Longobardi
nell'884 dai Saraceni
nel 1349 dal terremoto
il 15 febbraio 1944 dalle Forze Alleate della 2a guerra mondiale.

Bravi, i monaci. Il generale Mark Clark, dopo aver combattuto anche in Corea, ricevette - tra le decorazioni - la Distinguished Service Cross, la Distinguished Service Medal, e la Gran Croce della Legione d'Onore.
Gli hanno dedicato anche una strada, negli Stati Uniti: l'Interstate 526 ovvero la Mark Clark expressway.

nove

Accanimento contra personam.
Colpirne uno per sfancularne uno: Fabiano Fabiani.
Proseguo la mia personale galleria di sfanculi lungo il ricco sentierino dei boiardi di Stato, puntando oggi quello che per certi versi sembra essere il modello aziendale e poltroniero di Enrico Testa (cfr. bsite 23/10/07) e di un sacco di altri professionisti dell'incarico: Fabiano Fabiani, d'ora in poi FF.
Come antipasto, a titolo esemplificativo, una brevissima ma non esaustiva panoramica delle correnti di adorazione che FF ha seguito nella sua non breve carriera: democristiano fanfaniano, di conseguenza democristiano devoto a Bernabè attorno al 1968, poi democristiano demitiano, poi rutelliano e ora veltroniano. Sarà stato anche un sacco di altre cose, nel mezzo, era solo per rendere l'idea. D'altronde, per avere un posto interessante bisogna ormeggiarsi di volta in volta al molo del potentone di turno, locale o nazionale. E così lui fa.
Vado ora, come al solito, a cadaunare le poltroncine occupate da FF nella sua longeva carriera, cercando di non trascurarne alcuna:

Uno: dal 1955 in RAI, entrato con uno di quei memorabili concorsi pubblici del tempo, ci resta per 23 anni, scalando quasi tutte le gerarchie interne, come sarà evidente poi. Questa, per ora, è una piccola poltrona da giornalista RAI nel telegiornale diretto da Vittorio Veltroni, dc di obbedienza fanfaniana. Giova ricordare che il telegiornale era uno solo, in Italia.
Due: dopo qualche tempo, passando per le nomine a redattore e a caporedattore, FF viene nominato direttore del telegiornale, che è sempre uno solo su una sola rete nazionale, carica importantissima in virtù, appunto, della sua unicità. Dice di sé in quel periodo: "Rivendico il merito di aver portato i giornalisti alla conduzione scalzando gli speaker, i lettori di testi".
Tre: sempre RAI, viene nominato direttore Centrale dei Programmi Culturali Televisivi e poi, queste le accorpo, responsabile del Gruppo di studio per la Terza Rete, quando si stava pensando di crearne, appunto, una terza.
Quattro: sale ancora, fino a diventare vice direttore generale della RAI. Non riuscirà mai a diventarne direttore generale, perché ce la fece il suo fratellastro uguale in tutto e per tutto, Biagio Agnes. Comunque in RAI non gli è andata affatto male. Ci tornerà.
Cinque: nel 1978, tramvato sulla strada della direzione generale, lascia la RAI e diventa direttore centrale dell’IRI, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, una potenza colossale. Praticamente il primo azionista d'Italia e la prima azienda in quasi tutti i settori industriali italiani. Uno Stato nello Stato. Diventa amico di Prodi.
Sei: dal 1979 al 1981 è amministratore delegato della Società Autostrade, totalmente controllata dall'IRI degli anni d'oro.
Sette: nel 1981 entra in Finmeccanica, gigantesco colosso sempre controllato dall'IRI che si occupa, per sommi capi, di aeronautica civile e militare, di spazio, di elettronica per la difesa, di elicotteri, di sistemi di difesa, di energia e trasporti. Ne è consigliere di amministrazione e direttore generale.
Otto: sempre in Finmeccanica, nel 1985 viene nominato amministratore delegato. E' lui che nel 1986, con Prodi, Viezzoli e Tramontana, prende la decisione di vendere la controllata Alfa Romeo. Non alla Ford, che si presentava con i soldi sul piatto ma alla Fiat, che prometteva un pagamento dilazionato in dieci anni. Per fare una citazione, nel 1987 un articolo-intervista sull'Espresso definì così la vendita: "è corretto definire quella un’”asta impropria”, nel senso che il bene posto in vendita non venne aggiudicato al miglior offerente".
Nove: sempre in Finmeccanica, nel 1995 è nominato Presidente. Storie note, compresi gli incidenti agli ATR, piuttosto che le polemiche contro i giornalisti che attaccavano De Mita e così via. Va detto che rende la società una delle più grandi e autorevoli aziende del settore strategico, aerospaziale e difensivo di livello mondiale, con un deficit, all'uscita del capo, di 540 miliardi di lire.
Dieci: nel 1997 lascia Finmeccanica, si dice con cacciata o sbattendo la porta, ma sono voci senza conferma. Io ne perdo le tracce per tre anni, di sicuro si sposta su Roma (in senso politico), si riposa finché nel 2000 viene nominato amministratore delegato di Cinecittà Holding, società piuttosto grossa che controlla, tra l'altro, l'Istituto Luce.
Undici: nel 2002 diviene presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo, aziendona del Comune di Roma che gestisce le Scuderie del Quirinale, il Palazzo delle Esposizioni, la Casa del Cinema, la Casa del Jazz e il Teatro del Lido di Ostia, in nome e per conto del Comune.
Dodici: nel 2004 va a fare il presidente di ACEA, riconfermato l'11 maggio 2007 per un altro triennio. Come detto per Enrico Testa, non si sottovaluti la cosa, Acea è l'Azienda Comunale Energia e Ambiente del Comune di Roma, società per azioni quotata in Borsa e nel 2001 è il secondo gruppo nel settore dell'energia dopo l'Enel. Poltrona importante.
Tredici: fino a luglio del 2007, è stato presidente dell'APT (Associazione dei produttori televisivi), forse in virtù del suo passato in RAI. Si è dimesso di gran carriera e vedremo dopo perché.
Quattordici: come presidente di ACEA, FF è anche componente del board of directors di Suez Environment, una società controllata dalla gigantesca Suez, nata dalla fusione tra la belga Compagnie de Suez e la francese Lyonnaise des Eaux.
Quindici: è attualmente, se non mi sbaglio, consigliere di amministrazione di Grapes communications, un colosso delle ICT da centinaia di milioni di euro, come dimostra questo documento (pag. 14), visto che alla Grapes non si degnano di mettere on line gli organi societari.
Sedici: a settembre 2007, e qui il cerchio si chiude, viene nominato consigliere di amministrazione della RAI, su indicazione del ministro dell'Economia e delle Finanze, come è d'uopo, in quota centro-sinistra. Si dimette da alcune cariche ma non da quella di presidente di ACEA: scoppia la polemica e lui rinuncia pubblicamente agli emolumenti di quest'ultima carica, senza dimettersi. A chi lo accusa di provenire da un'altra RAI, altra epoca, ribatte: "Riconosco che ho lasciato la Rai un'eternità fa. E adesso dovrà mettermi sotto, studiare, immergermi. Certo, saltano agli occhi alcune differenze eclatanti. Ai miei tempi, non c'era una cosa come L'Isola dei Famosi. Ai miei tempi, non c'era neanche la concorrenza. Ora la concorrenza c'è".

Già, ora la concorrenza c'è, cosa di non poco conto. Comunque sia, è utile ricordare che nel 2005 fece pubblica comunicazione di aver votato Prodi alle primarie e ora, interessante, pare faccia parte di una commissione di esperti per il programma economico del Partito democratico.
Ora, in conclusione, vorrei aggiungere un paio di poltrone che non fanno capo direttamente a FF ma che, con una certa approssimazione, possono essere a lui ricondotte:

Diciassette: la moglie di FF, Lilly Fabiani, è l'addetta stampa di Porta a Porta, cioè del maligno Vespa. Assidua frequentatrice con il marito della piazzetta di Capalbio, tra l'altro, è una buona dimostrazione di come nel salotto buono della TV destra e sinistra trovino una pregevole armonia di intenti. Solo noi, dall'altra parte, ci scandalizziamo, stolti.
Diciotto: la nuora di FF, Cecilia Valmarana, è Responsabile Produzione Rai Cinema, nonché figlia di Paolo Valmarana, storico padre del cinema coprodotto dalla RAI, L'albero degli zoccoli, per esempio, e viene citata ovunque come caso lampante di nepotismo RAI.

Detto questo, ognuno tragga le conclusioni che desidera o che riesce, io prendo commiato ma non senza aver fatto ciò che faccio queste occasioni: caro FF, fanculo.

otto

Dis is di end, mai onli friend, di end.
Tanti sono i modi, mediamente cretini, per spargersi in giro o per trasformarsi da qualche parte. Da morti, ovviamente. Mi guardo attorno e rifletto sull'argomento, dato che ogni moto idiota mi attrae magnetico e irresistibile.
Per esempio, tra le proposte del mercato (www.sarg-discount.de), potrei farmi sparare in cielo chiuso in un razzetto da poco, scoppiando in un deprimente fuoco d'artificio a trecento metri d'altezza, il cui aspetto più interessante è senza dubbio il botto. Vorrei tritolo, TNT, plastico, mica polvere pirica che si colora e rende felici i bambini. Se proprio, meglio un gran cannone dalla gittata chilometrica, con vero esplosivo da far tremare le viscere, in un deserto davvero deserto, come il grande Hunter S. Thompson.
Il nome dell'azienda, peraltro, contrasta con l'offerta fragorosa: il termine "discount" fa pensare a un risparmio indecoroso, se si tratta dell'ultimo atto della propria dipartita non si badi a spese. Se fui gran cafone in vita, per quale motivo non esserlo in mortem?
Più ecologista e passatista la seconda proposta, che offre lo spargimento delle ceneri dall'alto di una mongolfiera. Ah, che delicatezza, anche se l'idea è un po' quella di sganciare la zavorra, in definitiva.
Solo che la zavorra è io.
Uhm, non saprei, essere sparso da un tizio che nemmeno conosco senza avere la possibilità di decidere il momento e il luogo esatto mi lascia perplesso. Magari il tizio in questione quel giorno non ne ha voglia e mi getta nel braciere come incenso aromatico per profumare la mongolfiera tutta, rinuncio.
Anche la proposta della Friedwald, ditta anche questa tedesca, non mi convince del tutto. Essere sepolto ai piedi di una pianta in una foresta di per sé sarebbe anche sensato, quantomeno questa scelta avrebbe la tradizione dalla propria parte, compresa la certezza quasi assoluta di evitare la saponificazione, che è una prospettiva che non desidero più di tanto. Però, pensandoci bene, intravedo alcune controindicazioni. Primo, posso farlo da solo, cioè con l'aiuto di un amico volonteroso. Secondo fatto, le foreste che corrispondono alle mie aspirazioni di sepoltura, sterminate e intricatissime, scarseggiano, va a finire che mi tocca andare in qualche ex-repubblica sovietica o nel sud-est asiatico e poi, magari, si scopre che il terreno è radioattivo o che sotto alle chiappe ho quintali di tolotti di rifiuti industriali. O, dopo, sopra. Non che mi facciano male, d'accordo, ma insomma, ci vuole un po' di dignità anche quando si sprigionano fuochi fatui. O, nella migliore delle ipotesi, vengo sepolto in un antico cimitero indiano/satanista/eretico/rossokhmerico, il che potrebbe procurarmi un eterno errare, magari dannato a vendere negli incubi altrui numeri di Torre di guardia. Terzo fatto, magari finisce che io nutro una pianta gentile e rispettosa, la quale poi va a finire in un Kaalfhgmnmn, comodino di piallato, o in uno Skroott, mensolina idiota per le spezie esotiche, in casa di un sincero democratico veltroniano.
No, no, meglio di no, l'incertezza regna sovrana, se mi trasformo, gradirei non essere spostato.
Piuttosto, meglio una sana cremazione e poi, che so, essere sparso nell'acqua dell'acquedotto pubblico nel tratto che precede i rubinetti. Sabbia nella pasta. O nel condotto dell'aria condizionata di un volo intercontinentale, giusto per rompere un po' i coglioni.
Di certo, sono sicuro, non nella Grande Piramide. Non sto parlando di Cheope, quella è sua e mica mi fanno entrare. La Grande Piramide è la colossale cagata del momento (euf.), dato che si tratta di una sesquipedale piramide che verrà costruita vicino a Dessau (sempre tedeschi, cosa significa?) e che, composta di innumerevoli blocchi 90x60x60, ognuno contenente le ceneri di un defunto, raggiungerà i 150 metri se i sottoscrittori saranno almeno cinque milioni. Un pelo più alta di quella di Cheope, per l'appunto. Ma se i moriendi rincretiniti dovessero essere più di cento milioni, la piramide sarà un mostro di seicento metri. E sarebbe record. Vedere per credere: www.thegreatpyramid.org.
Naturalmente, l'acquisto del proprio blocco permette di personalizzarlo secondo i propri gusti, in quanto a colore e scritte varie. E se dovesse capitare di arrivare tardi, cioè di essere sepolti in un blocco che sta dannatamente in alto, nessun problema: alla vedova inconsolabile verranno fornite le coordinate satellitari con cui, via internet, potrà vedere precisamente il blocco richiesto. E piangere davanti al monitor quindici pollici, sempre che abbia uno straccio di adsl.
Potremmo stare qui a farci grasse risate al riguardo, certo, se non fosse che: duecento persone hanno già felicemente acquistato il proprio spazio; la Fondazione culturale della Repubblica Federale ha stanziato ottantanovemila euro per l'iniziativa "culturale"; tra pochi giorni una giuria, presieduta da Rem Koolhaas, un certo nome, sceglierà il miglior progetto di edificazione della solenne stronzatona.
Si fa sul serio, possibile che a nessuno scappi da ridere?
No, nessuno ride. Qualche cittadino di Dessau pare abbia espresso un pacifico dissenso, come solo i tedeschi civili sanno fare, il che non ha portato a grandi risultati. Anzi, gli è stato detto, visto che a Dessau nacque la seconda Bauhaus, perché non proseguire nel solco dell'innovazione architettonica? Conoscendo un poco i miei simili, non ho dubbi che esteticamente la piramide diventerà una solenne schifezza, più di quanto non lo sia in sé, poiché la libertà di personalizzazione è pericolosissima: primo livello di distinzione, la piramide; secondo livello, il colore e la foggia esteriore del blocco. Auguri, largo al buon gusto.
Ovvio che, a questo punto, ciò che interessa davvero è l'indotto, vale a dire parenti, turisti aggruppati, egittologi scettici, famigliole in gita, giapponesi, necrofili, adepti new age convinti dell'energia del luogo e così via, già vedo i baracchini con i bratwurst. E non c'è nemmeno da sperare nei tombaroli, dato che di stanze del tesoro proprio non se ne parla.
Bah, se a qualcuno interessa, al momento ci sono 4.999.800, oppure 99.999.800, blocchi liberi.
Bando alle timidezze, qui si sbraca per l'eternità.

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