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A Stalingrado non passano e, nel suo piccolo, neanche nel b.site. In ogni caso, rimane sempre il piano B.

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trivigante 2006

ventuno

Cose che non bisognerebbe guardare.
Ci sono cose che, pur avendone la possibilità, non bisognerebbe mai guardare e luoghi fisici e non, stessa cosa, in cui non bisognerebbe andare. Nonostante la curiosità eventuale, non bisognerebbe mai leggere il diario di qualcun altro, non bisognerebbe mai leggere la posta altrui, elettronica e non, non bisognerebbe mai guardare nei preferiti di altri (a meno che non siano pubblici) o nei files temporanei, non bisognerebbe mai leggere gli sms sui telefonini altrui, non bisognerebbe mai scorrere le fotografie nelle macchine digitali altrui, in senso più ampio non bisognerebbe mai sbirciare nei computer e nelle agende altrui.
Come non bisognerebbe guardare nelle camere da letto o nelle borse altrui, come educazione insegna.
A meno che, ovviamente, non siano dei perfetti sconosciuti, il che porrebbe un problema diverso.
Nel caso di conoscenti/persone amate/care etc., il fatto di trattenere la propria curiosità non dovrebbe essere una questione di educazione o rispetto, o non solo almeno, bensì perché - in ogni caso - non ne verrebbe fuori assolutamente nulla di buono, garantito. La delusione, lo sconcerto, la scoperta imbarazzante, la rissa, il divorzio, l'assassinio a colpi di incudine sono dietro l'angolo che aspettano.
Non a caso, esiste un patto cautelativo della memoria tra me e il mio amico mr. G. per il quale patto, in caso di dipartita di uno dei due, l'altro deve trascurare il dolore, i fiori, la saponificazione, i parenti affranti, piombare in casa del defunto e distruggere nonché ridurre in polvere tutto il computer, lasciandone solo pezzi infinitesimali. Tutto ciò non perché nei nostri pc ci sia chissà che, cose normali, ma proprio perché certe cose private sono e private dovrebbero restare.
Un esempio interessante, giusto per citarne uno, di quanto vado dicendo: O&O Software è una ditta che si occupa di programmini per il recupero di dati informatici cancellati da supporti magnetici e, pro domo sua, si è comprata un po' di dischi fissi e schede di memoria usate su ebay, tirandone fuori un po' di dati che si presumevano cancellati (l'operazione è piuttosto banale, di solito basta un software qualunque).
E ha pubblicato il risultato di questa operazione.
Io, per puro spirito di servizio e per esigenze di completezza di questo post, non certo per vuaierismo, sia mai!, riporto qui qualche fotografia recuperata dai sopradetti dischi fissi e schede di memoria dai cattivoni di O&O, è uno studio (tanto non li conosco): quattro tizi molto impegnati, quattro tizi che è meglio se non si impegnano, uno splendido specchio da camera, deepamerica, un tizio medio che si esprime liberamente, accanimento sugli indifesi, foto delle vacanze (il problema non sono i due tizi, ma lei), piccoli giochi estivi.

diciassette

I monumenti (ai) caduti.
I caduti di Palazzolo. Ovvero, quando una mano poco felice manda tutto a ramengo.
E' una questione di prospettiva, come spesso accade.
Una prosperosa Morte, o Patria, o Madre, o entità eterea che dir si voglia, solleva pietosa un fante caduto in combattimento verso la Gloria, il Riposo, la Memoria.
Non fosse che, circumnavigando il monumento, da un certo punto di vista pare che si tratti di gioioso salto della cavallina, o dello steccato dopo una copiosa bevuta di olio di semi che mantiene in forma, il che rende un pochino meno onore ai caduti al fronte.
Mi scappa un po' da ridere, la retorica patria va a farsi un po' friggere (nell'olio di semi), i caduti restano caduti e la Gloria non si vede passare nemmeno di sguincio.
Mi spiace che la mia foto, troppo scura, non renda piena giustizia dell'atto atletico, notevole, immortalato aere perennius (ehm...).
Povero fante, a lui e ai caduti tutta la mia comprensione per questo affronto postumo; vice versa, nessuna compassione per il colpevole, l'incauto nonché infelice scultore.

quindici

A Giuseppe Pinelli, ucciso in Questura.

quattordici

Le allegre nonché inutili guide di trivigante.it: il salottino del re.
La Sala reale della Stazione Centrale di Milano. In un inverosimile afflato di pubblica disponibilità, le Ferrovie dello Stato (o dovrei dire, meglio Grandi Stazioni), nell'aprile scorso, hanno aperto al pubblico, per la bellezza di ore quarantotto, la Sala reale della Stazione Centrale di Milano. Ma che bello, ma che generosità, finora avevano avuto il cattivo gusto di tenerla chiusa e di affittarla solamente a stilisti dementi per festicciole privé, facendo di un bene pubblico un bene privato a uso di danarosi pistolini.
Ovviamente, ora è di nuovo chiusa, perché essendo appena stata restaurata, mica la si vorrà rovinare con le esalazioni bovine del volgar pubblico, no? Attendo futura apertura, ché son ottimista.
Comunque, in quella breve parentesi miracolosa, riesco a intrufolarmici con la mia bella e a fare un po' di fotografie, che riporto qui a uso e consumo dei miei amatissimi compagni di merende.
La Sala reale della Stazione Centrale di Milano aveva in realtà la funzione di sala d'attesa del re e della real famigliola, presumibilmente mentre aspettavano il real locale delle 7.41 per Novara. Dotata di un'entrata esterna autonoma, non voglia iddio che ci si debba mescolare alla volgar plebaglia sui binari, con tanto di ascensore dorato di stucchi, è composta in sostanza di un grande salone con due ali laterali, un lucernario e una gran finestrona che dà sull'esterno, balcone compreso per eventuale discorso alla popolazione.
I marmi si sprecano, con fregi littorii e storie di Roma, nonché dei Savoia, le colonne sono imponenti, i pavimenti sono di parquet intarsiato in ogni modo e colore, ove non siano marmi, le poltrone sono imbottite con tessuti azzurri in stile casa Savoia, come le tende, i lampadari e i tavoli e tutta l'oggettistica è in stile con la Stazione, nelle nicchie laterali vi erano statue mussoliniane e fascistoidi in genere.

Le statue furono ovviamente abbattute e qualcuno tirò un (opportuno?) colpo di fucile al mosaico che rappresenta sciaboletta che arringa le truppe fascistissime, all'esterno della sala.
Preso in piena faccia, ancor si vede dal binario.
Due sono le cose molto curiose della Sala.
La prima è il bagno, che ha - esattamente in corrispondenza della real tazza da cesso - una scaletta che raggiunge una botola nel soffitto, dalla quale si può uscire sul tetto.
Nonostante sciaboletta fosse veramente di statura e fattezze minime, la botola è davvero troppo stretta, anche per un botolo di re. Gli illuminati studiosi di botologia dicono che servisse a comunicare con l'esterno senza dare nell'occhio degli eventuali ospiti ("abbiate pazienza, mi scappa ancora da pisciare, oggi proprio non la tengo..."), scambiandosi eventualmente documenti ("ehi, guardate cos'ho trovato mentre pisciavo..."). Non male.
La seconda cosa interessante, la più interessante secondo me dell'intera sala, è una parte di una delle due ali laterali. Infatti, non ho idea per quale caso della storia, si è conservata esattamente com'era, senza che a nessuno sia venuto in mente di devastarla. Mistero. Comunque, questa piccola zona era stata predisposta dal Fiero Alleato Galeazzo Musolesi, sempre prono al padrone tedesco, in vista di una visita di Hitler che non avvenne mai. Infatti, andò a Ostiense, a Roma. Maledizione.
Per accogliere degnamente il führer, fu rifatto il parquet di modo che fosse gradito al fine imbianchino.
Eccone due fotografie, perché la cosa è bizzarra. Prima di tutto, incredibile che il pavimento sia sopravvissuto al periodo successivo al 25 aprile 1945 (qualcuno parla di un tappeto opportunamente posizionato, leggenda), e poi che il fiero fassista Musolesi, o come chiamar lo si voglia, fosse giunto a un così avanzato grado di monaggine. Mi immagino la scena: "venga, dottor Hitler, venga a vedere (striscia), guardi qua che roba che abbiam fatto, eh? C'è la svastica, visto che roba? Siam proprio amicissimi, noi".

La sala, che buffa cosa, non fu mai utilizzata dal re gnomo. E nemmeno da Hitler. O da alcuno.
Restiamo piuttosto sorpresi dal pavimento in sé, in fin dei conti non ne son rimaste molte di cose di questo genere (euf.), ma la cosa più sorprendente deve ancora accadere: Ferrovie dello Stato, svengo dalla commozione, all'uscita ci regala un libretto illustrativo sui restauri e un dvd con Alberto Angela che illustra i segreti della Stazione Centrale. Regalati, capito? Devo appoggiarmi a un lampione originale di Stacchini, non sto in piedi. Ferrovie dello Stato che regala qualcosa a me, son davvero stranito. Per un attimo ci è parso quasi di vivere in un paese europeo, che so, in un paese normale.
Un attimo breve ma incredibilmente intenso.

dodici

Saverio Saltarelli.
Il dodici dicembre 1970, Saverio Saltarelli, studente di 23 anni, venne ucciso negli scontri in via Larga, a Milano. C'erano quattro manifestazioni, quel giorno: una dell'ANPI in piazza Duomo, una del Movimento studentesco vicino alla Statale, una degli anarchici ancora in piazza Duomo, una dell'MSI in piazza San Carlo. Avvennero numerosi incidenti verso le 17, in particolare in via Larga, dove confluirono gli anarchici, caricati dalla celere, i fascisti, che partirono da piazza San Babila con l'intento di assaltare l'Università, che era presidiata a sua volta dal Movimento studentesco. Inevitabile lo scontro.
In via Sant'Antonio un reparto, composto da un centinaio di militi dell'Arma agli ordini del capitano Antonio Chirivì, aprì il fuoco contro gli studenti. Rivoltellate e candelotti lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo. Risultato: un giornalista e uno studente feriti dai proiettili, Saverio Saltarelli ucciso.

Le prime versioni ufficiali sulla morte di Saltarelli parlarono di malore e poi di collasso cardiocircolatorio. Dopo l'autopsia, di fronte all’evidenza dei fatti, si ammise che il cuore di Saltarelli fu spaccato da un lacrimogeno sparato ad altezza uomo. Nonostante l'ostruzione delle forze dell'ordine, si arrivò a una sentenza sei anni dopo: il capitano di PS Alberto Antonetto, comandante del reparto da cui partì il candelotto, fu condannato per omicidio colposo a 9 mesi con la concessione delle attenuanti generiche, la sospensione condizionale e la non menzione. Che schifo.
Perché Saltarelli era in strada a manifestare il 12 dicembre 1970? Ovviamente per questo:

E sono trentotto anni con oggi, trentasette per Saltarelli. Ha senso?

undici

I monumenti (ai) caduti.
I caduti del mare di Idro. Come l'altroieri, vorrei proseguire la mia piccola catalogazione dei monumenti ai caduti che hanno sorpassato la soglia di guardia in quanto a mostruosità nell'ardita ideazione e nella colpevole realizzazione.
Ovvero, colpire la retorica patria espletata nei monumenti di piazza o di aiuola, senza mancare di rispetto per i caduti.
Oggi Idro, ridente località sull'omonimo lago, che tanti marinai ha dato alla guerra. Di mare. Tanto è il rispetto doveroso per loro, quanto è il dispregio per il monumento ridicolo: àncora su stella con cippetto candelato, il tutto sormontato da pennoncino navale, formato aiuoletta cintata esagonale con pietoso vasetto floreale (posteriore?) sul fronte.
Le lapidi a fianco, in stereo come altoparlanti.
Poveri marinai, sono pure morti, ci mancava la stella ancorata. Chissà cosa ne penserebbero.
Ovviamente, non sarebbe in questa rubrica, questo monumento non ispira alcun afflato sentimentale o poetico, il che rimanda direttamente non alla sfera che attiene morte, sofferenza, ricordo e memoria, ma a un certo tipo di retorica della guerra che io trovo piuttosto imbarazzante (euf.). O grottesca, ridicola, patetica, insomma questo genere di sensazioni. Se trovate ameni monumenti:
posta [at] trivigante.it. Grazie.
Dimenticavo: vale solo la visione di persona.

nove

I monumenti (ai) caduti.
I caduti del mare di Predore. Non intendo mancare di rispetto ad alcun caduto di qualunque guerra per qualunque patria, ci mancherebbe (anche se comunque qualcosa da dire ce l'avrei ma è un altro discorso), dicendo che esistono bizzeffe, miriadi, moltitudini di monumenti ai caduti che mi fanno scompisciare dalle risate. Ovviamente non sono i caduti che mi fanno ridere, quanto la retorica patria espletata nei monumenti di piazza o di aiuola, spesso portata all'inverosimile, al grottesco e al ridicolo. Per esempio, esiste una tipologia di monumento agghiacciante dedicata ai bersaglieri, il cui stampo deve essere stato utilizzato un sacco di volte, nel quale campeggia una testona monca di bersagliere, con bocca aperta come dicesse "oooh" stupefatto, che nulla ha di fiero e nobile.
Anche perché gli riempiono la bocca di cicche e moccini.
Comunque, mi piacerebbe fare una raccolta di fotografie dei monumenti ai caduti più orrendi e ridicoli che costellano i paesini più piccoli e improbabili. Infatti, spesso la mostruosità del monumento è inversamente proporzionale alla consistenza demografica del paese che lo ospita. Per esempio, a Predore, paesello sulla riva bergamasca del lago di Iseo, c'è un monumento ai caduti del mare di imbarazzante fattura, dato che si tratta della mini-prua della nave Amalfi incastonata in un obelisco-faro-albero maestro, con tanto di ancora e finto mare in piscinetta. Bellissimo, eccolo qui a destra.
Spero non l'abbiano inaugurato con la bottiglia di sciampàgn e la contessa Mazzanti Viendalmare.
Essendo un paesino di lago, non dubito che vi dovessero essere molti marinai prestati alla guerra di mare, va bene, ma questo non autorizza a mandare tutto in vacca, penso. Poveri marinai, sono pure morti, ci mancava lo spicchio di nave turrita. Chissà cosa ne penserebbero.
So cosa ne penso io, però: mi viene da ridere. Se incappate in monumenti ai caduti di questo genere e vi viene da ridere, fotografateli, per favore, e mandatemeli (
posta [at] trivigante.it). Ne farò buon uso.

sette

Il più pulito ha la rogna.
Non mi è ancora passata l'incazzatura per la richiesta di risarcimento dei Savoia - e non solo a me, per fortuna - quando mi torna il buonumore leggendo, oggi, che Ilan Brauner, medico israeliano residente a Casale (TV), mai sentito prima, ha chiesto all'Unione delle comunità ebraiche di querelare Vittorio Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto per danni morali, in qualità di eredi di Vittorio Emanuele III, sciaboletta, che nel 1938 promulgò e firmò le leggi razziali contro gli ebrei, artefice Mussolini. Cito da qui: "Il fulcro della denuncia saranno le leggi razziali contro gli ebrei del 1938 - dice Brauner - I Savoia sono eredi di un reale che ha siglato una legge crudele e assurda, che ha tolto libertà e dignità al popolo ebraico. I Savoia vogliono essere risarciti dallo Stato italiano per il loro esilio, chiedono i danni morali? Bene, noi vogliamo essere risarciti dai Savoia perché la casa reale ha cancellato la nostra libertà, i più elementari diritti civili provocando un enorme danno morale ed economico".
Bene, mi dico, sono d'accordo, si ristabilisca un po' di ordine nelle cose e si molli qualche calcinculo ai dementi savoiardi sfrontati. Momento.
Ho imparato che, prima di dire 'bravo' a qualcuno, è meglio documentarsi un po', esperienza personale acquisita facendo anche il bsite, per cui, prima di congratularmi con Brauner, mi sono fatto un giro in rete.
Vualà, mi sono imbattuto nell'opuscolo DOVE?, distribuito a Treviso, Venezia, Belluno, guida gratuita per il tempo libero. Alessandro Doni segnala un articolo proprio di Ilan Brauner il quale, nella rubrica I consigli del medico, prende posizioni proibizioniste sulle droghe, citando come esempio Amsterdam e le vie a luci rosse. Il passaggio più idiota? Eccolo: "Le trasformazioni del tempo hanno fatto sì che la strada degli specchi (vetrine con signorine a disposizione) ha dovuto concorrere contro le chat-line, quindi l'offerta si è fatta più agguerrita anche se il materiale umano appare più scadente (invasione dell'est Europa e dell'Africa)". Materiale umano? Più scadente?
Tragico ma non strano, visto che Brauner, pur non potendo votare, dichiara: "Conoscendo il dott. Gentilini dal 1975, quando ho perfezionato il mutuo della casa con Cassamarca, avrei voluto (non sempre) dargli la mia preferenza in quanto lo ritenevo più efficace del sig. Marton o del avv. Vittorino Pavan". Sì, il Gentilini sindaco leghista di Treviso, un paio di sue citazioni: "Siamo in guerra, i gommoni degli immigrati devono essere affondati a colpi di bazooka. Occorre puntare ad altezza uomo"; "disposizioni alla comandante dei vigili urbani affinché faccia pulizia etnica dei culattoni... Qui a Treviso non c'è nessuna possibilità per culattoni e simili"; "Extracomunitari? Bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile".
Il bello è che Brauner è un extracomunitario.
Brauner è l'ennesima riprova, minuscola, di uno schifoso e italico costume che ha appreso in fretta: più sono stronzi, più sono sporchi, più sono rognosi e più si ergono a baluardi moralizzatori, tenendo lezioni dallo scranno su cosa sia giusto e cosa no. E fanno le vittime. Ma porcozzio, è possibile che in questo cazzo di paese si debbano sempre cercare con il lanternino le persone degne, rispettose, ricche di rigore morale e di coerenza, integre, che si assumono le responsabilità di ciò che dicono e fanno?
Ci sono, per fortuna, ed è grazie a loro che le cose stanno ancora insieme, ma stanno come le foglie sugli alberi d'autunno. Andiamo avanti così, allora: le donne dell'Est e le donne africane facciano causa a Brauner, il quale faccia causa ai Savoia, i quali facciano causa allo Stato. Chi la prende in saccoccia?
Fanculo, Brauner, fammi causa. In tribunale ti salto al collo, promesso.

sei

Il mio sport preferito: extreme dwarfs fighting.
Ecco come funziona: due nani deformi si affrontano in un ring ricoperto di melma, sputandosi addosso bagoline di pelo e sterco che producono a piè sospinto, graffiandosi la faccia con afflati incomprensibili, sotto il vigile occhio di un arbitro scelto tra i servizievoli obrobri di natura.

Ovviamente, nella migliore tradizione di questo sport, questo genere di spettacoli hanno lo scopo del sollazzo del mona sovrano, che ride come un bambino seduto sul trono con i piedi penzoloni, e i due contendenti si danno addosso per stabilire quale dei due sia il prediletto del re bigolo, senza che nessuno cada mai sotto i colpi dell'altro. L'aspetto migliore di questo sport, come le gare di mangiatori di wurstel per esempio, è che ogni attacco è portato in funzione del pubblico, il quale - mentre tira caccole dagli spalti - si sente rincuorato delle proprie disgrazie e, di colpo, apprezza di più la propria vita, i propri amici, il proprio lavoro, la propria intelligenza, sentendosi di spessore titanico a confronto delle strazianti creature che si contendono la partita.

 

Io stesso amo assistere agli incontri, la mia vita si riempie di significato e di bellezza, se paragonata alla crudele sorte dei mostri. E poi mi fanno ridere gli effetti dello scontro, è come se Cucciolo sfidasse a mortal tenzone Mammolo, non aumenta nemmeno l'entropia, il che è tutto dire. Però ingrassa Mastella.

quattro

Ravenna, 1993. Why does it hurt when I pee?
Il 4 dicembre 1993, ricordo bene, stavo seduto in un bar di Ravenna e facevo colazione con i miei tre amici balenghi, il giovane Werther, il piccolo Lordo e Naso, forse avevamo dormito in macchina, ed eravamo al sicuro, per lo meno a cinquecento chilometri dall'Università. Nessun rischio di imparare qualcosa.
E' in quel bar di Ravenna che scoprimmo che Frank Zappa era morto. Naturalmente, fino a poco prima noi facevamo i furbini, "non è più lui", "non si può, ora suona con Cuccurullo" (che sarebbe l'ex chitarrista dei Duran Duran, figuriamoci), ovvio, eravamo quattro studenti di lettere passatisti e supponenti. Lui un genio, noi a Ravenna. Volpe, uva.
Comunque, ci rimanemmo male, perché noi volevamo bene a Zappa.
Conoscevamo addirittura uno, molto ricco, che si diceva possedesse l'intera discografia, che si mormorava fosse di migliaia e migliaia di dischi, forse milioni. E noi glieli avremmo rubati volentieri, perché i dischi di Zappa bisogna meritarseli, oltre che capirli.
E pensavamo che noi sì e lui no.
Ci rimanemmo male e ne parlammo a lungo, in fin dei conti era un po' nostro amico, visto che era eclettico, privo di metodo, burlone, aggressivo e al di fuori del sistema, cose che noi apprezzavamo parecchio. Un po' come Bianciardi, Ciampi, i Joy Division, Céline e così via. Tempi belli, quelli.
Per celebrarne oggi la dipartita, elenco tre brani a dir poco imbarazzanti che scrisse per ricordare le sue origini italiane: Tengo 'na minchia tanta (da Uncle Meat), Questi cazzi di piccione (da The Yellow Shark) e Dio fa (da Civilization Phaze III). E, tra le cose che gli furono dedicate, mi piace ricordare i due asteroidi (3834 Zappafrank e 16745 Zappa), una medusa (Phialella zappai), un pesce (Zappa confluentus), un mollusco estinto (Amauratoma zappa) e un ragno (Pachygnatha zappa). Viva Zappa, dunque, ancora.
E viva, anche, i nostri tempi che furono, che furono belli assai, perché c'era Zappa e un sacco di altre cose.

due

Le allegre nonché inutili guide di trivigante.it: finanza sociale nel primo secolo dopo cristo.
Velleia. O Veleia, sta nascosta sull'appennino piacentino-ligure e bisogna sapere cosa cercare per trovarla. Tra le coste sdrucciolevoli delle colline che hanno la brutta abitudine di scendere a valle, sta Velleia, città romana che fu nobile, Augusta, municipio romano dal 49 a.c. e città libera dal 42.
Bisogna risalire la val d'Arda da Fiorenzuola, spostarsi verso sud-ovest da Lugagnano, miracolosamente le indicazioni ci sono e indicano davvero.
Curve, controcurve, crinali bellissimi, casali abbandonati, doline e un cementificio da vergogna, alla vista di numerosi e robusti cipressi - sempre attenzione ai cipressi, se siete in cerca di rovine romane - lì è Velleia, ci finite dentro.
La fortuna della città fu la posizione, al crocevia delle strade tra liguria e pianura padana, e le sorgenti di acqua salina. Oltre al paesaggio, le viti, la terra fertile.
I Romani erano molto saggi, riguardo certe cose.
A ulteriore dimostrazione di questo, dice l'ultimo censimento di Vespasiano (72 d.c.) che a Velleia vivevano sei persone di centodieci anni, quattro di centoventi, in aggiunta al leggendario Marcus Mutius Marci filius Galerius Felix che ne avrebbe avuti centoquaranta. Merito delle terme alimentate da acque cloruro-sodiche? Può essere. Velleia conobbe periodi floridi, il foro e la basilica sono degni di città molto più rinomate, l'estensione è notevole e il colpo d'occhio di gran soddisfazione.
La città decadde verso il terzo secolo d.c. e definitivamente nel quinto, a causa di uno smottamento delle colline superiori che, non a caso, si chiamano Morìa e Rovinasso. Potenza dei toponimi.
Nel 1747, l'arciprete della pieve di Macinesso, sopra Velleia, che non si era mai chiesto da dove venissero le pietre con cui ampliava la sua pieve, scoprì in un prato la famosa tabula alimentaria traiana. La tabula è la la più grande tavola scritta in bronzo di tutta l'antichità romana, tre metri per uno e mezzo. Il furbastro la recuperò, la spezzò in molti frammenti e cominciò a venderla a collezionisti e fonditori della zona, per ricavarne fondi per le pecorelle smarrite della sua parrocchietta.
I canonici piacentini Giovanni Roncovieri e Antonio Costa ne videro un pezzo, intuirono l'importanza del ritrovamento, fermarono l'arciprete e lo costrinsero a recuperare tutti i pezzi della tabula, che fu ricostruita e donata a Filippo di Borbone, duca di Parma, il quale diede inizio, nel 1760 agli scavi archeologici.
Il fatto fu eccezionale, nello stesso anno iniziavano gli scavi di Pompei, nasceva una nuova scienza.
La tabula alimentaria traiana è, in sostanza, la registrazione del catasto fondiario di Velleia, poiché riporta i nomi dei proprietari terrieri, l'ubicazione e la dimensione dei fondi e il loro valore in sesterzi. Traiano e poi Nerva, utilizzando il proprio patrimonio personale (fiscus), concedevano capitali in prestito agli agricoltori, dietro garanzia ipotecaria e a un basso tasso di interesse, e ne devolvevano le rendite all'assistenza dei fanciulli poveri della città, incoraggiando così l'incremento sia agricolo che demografico.
I capitali restavano lì e la finanza sociale era molto più evoluta che ora.

Esaurita la botta-de-curtura, la zona offre allettanti prerogative, tra le quali vincono su tutto la torta fritta, salumi di ogni foggia, sostanza e lavorazione, castelli castellini castelletti in ogni dove, un certo atteggiamento serafico e ruspante che, senza dubbio, rende alta la qualità della vita.
Io, oltre a consigliare caldamente, ci torno ogni volta che posso, anche se il colesterolo mi ucciderà.
(grazie ad a.a.j.l.)

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