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Un pezzo da galera
George Orwell
Omaggio alla
Catalogna
Helga
Schneider
Il rogo di Berlino |
commenti:
posta[at]trivigante.it |
trivigante
2006 |
|
Ikea vs.
Danimarca.
Da un bell'articolo
di Reinhard Wolff su
Die
Tageszeitung, alcune considerazioni interessanti
sui nomi bislacchi del catalogo
Ikea.
Avendo più di quattromila articoli a catalogone, la
"divisione nomi" della perfida multinazionale
svedese ricorre spesso a toponimi, più che altro
svedesi, talvolta norvegesi, talvolta danesi.
Klaus
Kjøller, che è un docente dell'Università di
Copenaghen, ha notato che i toponimi danesi inseriti
nel catalogo Ikea si riferiscono esclusivamente a
prodotti di poco valore e, di solito, calpestabili:
zerbini, tappetini, scendiletti, i cui nomi sono
Køge,
Nästved,
Sindal e via così. Sono
pure orrendi, a dirla tutta, al di là della
funzione. E non solo, la nuova
tavoletta del cesso Ikea,
Öresund, prende il nome dallo stretto di mare
che separa Danimarca e Svezia. Che ridere.
L'autore di tutti i nomi danesi nel catalogo è
Maj-Britt Olausson, il
perfido, il quale è responsabile anche
dell'associazione con i prodotti calpestabili. Però
è andato in pensione da poco, per cui non dà
risposte e si nega ai danesi.
Ovvio che i danesi si sono incacchiati, qualcuno ha
lanciato la proposta pubblica di nominare le birre
analcoliche e sciape della
Carlsberg (danese) con nomi svedesi, in
rappresaglia, ma la cosa non ha ancora avuto
seguito, d'altronde la lotta è attualmente impari.
Un po' come se la Barilla chiamasse "Modena" la
pasta integrale senza sale fatta con gli scarti del
gran caduto per terra e buona solo per il brodo del
venerdì.
La buffa querelle continua, d'altronde è solo
l'ennesimo atto di una rivalità che continua dal XVI
secolo, quando la Danimarca, unita alla Norvegia,
lottò ininterrottamente con la Svezia per più di due
secoli.
A margine, un'amenità: qual è il testo scritto
attualmente più diffuso al mondo? La Bibbia? Harry
Potter? Il libretto di istruzioni di windows XP? No,
il catalogo Ikea, uguale in sostanza in tutto il
mondo.
Son brutti tempi, questi, non solo per i danesi, le
assi da cesso e gli zerbini. |
Bugiardi!
Da Repubblica on-line
di qualche minuto fa:
Contapalle, è mezz'ora che clicco e
ancora non sento nulla... |
Le belle
interviste di trivigante.it: Ciriaco De Mita.
Ciriaco De Mita, politico, nato nel 4 avanti
Cristo a Nusco, irpinia, padrino spirituale di
Giovanni XXIII, John Glenn e Catone l'Uticense,
maestro alle elementari di Sem, Cam e Iafet,
istitutore di Barbadillo e Luciano Favero, è
considerato l'inventore di
Spacewar! nel 1962, il primo videogioco della
storia.
Iniziò da ragazzo la sua carriera politica nel
Partito Nascosto Catacombale,
iscrivendosi alla sezione locale di
Pompei; dopo pochi
anni, avendo assistito con
Plinio il Vecchio alla distruzione della
città, si trasferì a Roma,
sospettato di aver gettato lo studioso nel vulcano.
A Roma aderì per quattro secoli al movimento
monoteista dell'imperatore
Costantino, lottando duramente contro il
dilagare dei culti di Mitra
e Iside.
De Mita era ancora
troppo giovane per assumere incarichi rilevanti e si
fece le ossa per settecento anni nella segreteria
papale con funzioni di centralinista e di addetto
alla Lotta alla Lotta per le
investiture. Prese posizioni conservatrici di
fronte all'esilio avignonese
e allo scisma d'Occidente
finché, inviato al Concilio di
Trento in qualità di cronista del giornalino
parrocchiale "Luterus
merdosus", ebbe il suo primo incarico:
accoltellare Paolo Sarpi.
Preso in simpatia da Pio IV,
gli fu regalato un ciocco di legno tutto d'oro con
il quale cercò ripetutamente per tre secoli di
bruciare i seguaci delle
eresie gianseniste,
gallicane, febroniane,
giuseppine e
quietiste. Fu visto nel
1870 a Porta Pia con
una cazzuola, mentre cercava di riparare una
fastidiosa breccia nelle mura. Nel 1963, ormai
professionista affermato, seppur di poca esperienza,
entrò nel Parlamento italiano,
fu poi ministro, presidente del consiglio e
segretario della DC.
Trivigante.it
ha incontrato ieri Ciriaco De
Mita e l'ha intervistato per voi; ecco di
seguito il testo dell'intervista (in bordò e senza
le virgolette le mie domande, la traduzione dall'avellinese
è mia):
Veltroni ha stabilito
che chi ha fatto più di tre legislature non può
essere ricandidato nel PD. Lei è stato deputato
nelle legislature IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI,
XIII, XIV, XV e quindi... ehm... fa un sacco di
legislature, mi sembra più di tre. Cosa ne pensa?
«Addio, mi sento
insultato».
Ma no,
mica ho detto "vecchio babbuino rimbecillito
democristiano del cavolo rompipalle senza vergogna",
ho solo chiesto se, dopo 45 anni di parlamento e a
ottant'anni suonati, non pensa che sia il momento di
andare a quel paese e lasciar spazio a qualche
settantenne rampante...
«Sono entrato nel PD nonostante le
molte perplessità. Adesso divento vittima di criteri
di selezione della classe dirigente fondati sull'età
e non sull'intelligenza politica. Per questo ritengo
di non poter più partecipare ad un progetto che
giudico inconsistente perchè fonda la sua
prospettiva più sul desiderio che
sulla
realtà».
Beh,
l'età tutto sommato è un criterio sensato. Oltre al
fatto che nell'ultima legislatura lei ha un indice
di attività pari a 0,04, cioè in due anni ha
presentato solo un progetto di legge come
cofirmatario ed era assente a un quarto delle
votazioni. Non le sembra il caso di levare le tende?
«No, non farò una mia lista ma sia chiaro:
non lascio la politica».
Uhm, ci speravo. Va bene,
non lascia la politica, cosa ha intenzione di fare?
«Nell'applicazione dello statuto sono
vittima dell'età. Mi ribello».
E abbiamo capito,
porc... Mi sa che han fatto bene a farla fuori, il
rinciulimento galoppa indisturbato. Mi ripete, per
favore, perché ha deciso di uscire dal Pd?
«Il trasferimento in Italia
di un modello statunitense si fonda più
sull'indicazione del nuovo come speranza che sulla
politica come soluzione dei problemi...».
Oh, bene, si è
sturato: una risposta nefanda alla De Mita,
incomprensibile senza traduttore simultaneo.
«...
e lascio questo partito».
Oh no! Ha
detto che lascia il Pd?
«Come
diceva un poeta spagnolo, 'Quando morirò morirò con
la chitarra in mano'».
Ma non era un poeta
spagnolo! E il testo era 'Lasciatemi cantare, con
la chitarra in mano / Lasciatemi cantare, sono un
italiano'...
«Perchè
sia chiaro: io l'ultimo comizio lo farò quando
muoio».
Sia buono, non mi
ingolosisca. Ora assodato che esce dal Pd e assodato
che lo fa per motivazioni politiche ideali, mi dice
cosa intende fare adesso?
«Farò
politica, contro il Pd.
Non sarò più con voi ma contro di voi».
Voi chi? Mi
farebbe felice? Mi dice una cosa qualunque che però
contenga un congiuntivo?
«Non lo so, non l'ho capito
nemmeno io…».
Grazie,
gentilissimo. |
Fifty ways to kill
your leader.
Fidel Castro annuncia che si ritira dalle
cariche presidenziali e che lascia tutto al fratello
Raul, il che ci ricorda
da vicino alcuni comici episodi italiani degli
ultimi anni, il futuro di Cuba diventa ancora più
enigmatico (per citare una battuta altrui, diventa "la
Cuba di Rubik") e le leggende si sprecano.
Non a caso, visto che la disinformazione (non
disinformacija, bensì disinformation) su
Castro e Cuba è stata
praticata con la stessa pervicacia con cui gli
operosi castorini costruiscono le dighe sul fiume
giallo.
Tra
le varie ed eventuali, sempre al limite del buon
senso e oltre quello del comico, ci sono i favolosi
racconti sugli attentati cui Castro sarebbe
scampato. All'origine ci sarebbe
Fabian Escalante, a
volte citato come guardia del corpo di Castro a
volte come capo della contro-intelligence
cubana, il quale ha scritto
un libro in cui racconta i 634 attentati cui
Castro sarebbe sfuggito. Qualcuno dice
638, qualcuno 630. Il che non vuol mica dire che
i racconti non siano veritieri, anzi, la fantasia
degli agenti della CIA non ha limiti, è noto.
Ne cito alcuni: fornitura nel 1959 a dissidenti
cubani di fucili a lunga gittata, di pillole e penne
avvelenate, di polveri infettate da batteri letali;
nel 1960 arrivò a Cuba una scatola di sigari
avvelenati con botulino; nel 1963 si segnala un
piano della CIA per depositare un mollusco esotico
pronto a esplodere, in una zona dove Castro sarebbe
andato a pescare subbaqquo; stesso anno,
piano per regalare una muta da subbaqquo
contaminata con un fungo che causa la
maduromycosis e l’equipaggiamento per la
respirazione anch'esso infettato da un bacillo
tubercolotico; naturalmente, non manca la fatalona
che avrebbe dovuto avvelenarlo sciogliendo le
pillole nella crema ma lui, diabolico, ne fece la
sua amante e le sciolse il cuore; avanti così, c'è
anche la confezione di finto borotalco speciale che
avrebbe dovuto fargli cadere la barba. Ih ih! Bombe
fallate e cecchini dalla mira sbilenca si sprecano
nei racconti. Non ho però trovato traccia del
petardo a forma di cuscino, del fiore al bavero che
spruzza veleno, del flautista andino esperto di tiri
con la cerbottana, del tassista killer senza
tassametro, del finto sacchetto scorreggione
esplosivo, del cioccolatino al tritolo, dello
strangolatore vestito da ballerina del Bolscioi, del
nano avvelenatore di budini, della limatura di vetro
nel dentifricio, del finto pupazzo di Guevara
imbottito di pece e piume. Insomma, comunque
robaccia da gianchìs.
Lunga vita a Fidel e
chi cerca di ucciderlo non rompa le palle, almeno
oggi. |
Hai detto niente.
Ho intercettato questo
invito di tutto rispetto (Gabinetto Vieusseux, Le
Lettere...):
Finalmente le spiegazioni al mistero
più misterioso e oscuro di tutti. Forse. |
Una persona giusta.
Il
13 gennaio scorso è mancata
Patricia Verdugo, figlia di Sergio Verdugo,
desaparecido cileno, scrittrice e giornalista, che
non ha mai dato tregua al regime di Pinochet,
scrivendo almeno una decina di libri di denuncia.
Libri che non solo hanno raccontato un sacco di
storie volutamente dimenticate ma che sono serviti
anche come spunto per aprire delle inchieste come,
per esempio, quella sulla "Carovana
della morte". Così si chiamava una squadra
militare guidata
dal
generale Sergio Arellano Stark
che, a bordo di un elicottero Puma,
dal 1973 arrestava, torturava e giustiziava gli
oppositori politici in tutto il paese. Il libro, in
questo caso, è "Gli artigli
del puma", del 1985, e racconta quello
che Verdugo definisce "l'atto
fondativo della dittatura".
Per fortuna, Verdugo ci
ha lasciato tanti libri, basta cercarli, tanti
scritti e alcune interviste (ne segnalo
una), ci ha regalato memoria e storia quando era
davvero difficile farlo e bisognava essere
coraggiosi.
Lei lo era ed è, questa, una delle ragioni per cui
mi piace. Un'altra è che sorrideva. |
Index pelicularum
prohibitarum.
Aggiungo un particolare al
post qui sotto: alla "Guida
bibliografica dell'Opus Dei" si accompagna,
con il medesimo criterio, una
guida ai film con relativo punteggio, uno-sei.
Purtroppo non sono ancora riuscito a metterci su le
mani ma, appena ce la faccio, la posto
immediatamente qui, così che si abbia, anche per i
film, una comoda lista di suggerimenti su cosa
vedere di corsa (punteggio sei). Grazie,
Opus Dei. |
Index librorum
prohibitorum.
La storia degli
Indices librorum
prohibitorum è nota, furono più di uno
(l'Indice
paolino, l'Indice
tridentino, l'Indice
clementino, l'Indice dell'Inquisizione spagnola, per
esempio) e stabilivano le regole di lettura per
l'intera cristianità. La storia dice anche che l'Indice
dei libri proibiti fu soppresso nel
1966 con la fine
dell'inquisizione romana, prontamente sostituita
dalla congregazione per la dottrina della fede.
Potenza delle parole, è sufficiente attenuarne il
tono, senza mutare il significato, per sparigliare
le carte in tavola.
Quarant'anni fa, dunque, dopo quattro secoli di
ferree prescrizioni contro la corruzione morale, la
vicenda
pareva
conclusa, almeno nella sua forma più deteriore.
E invece no, l'Indice
uscì dalla porta e rientrò dalla finestra senza
passare dal via. Ora si chiama "Guida
bibliografica dell'Opus Dei": stesso scopo ma
dicitura neutra, pare quasi un repertorio per
studiosi devoti o un reader's digest
cattolicone.
E qui ci vuole una premessina: l'Opus
Dei (OD, d'ora
in poi), tralasciando le minchiate del
Codice da Vinci, è
l'unica
prelatura personale riconosciuta dal diritto
canonico, vale a dire è un'istituzione gerarchica
della Chiesa cattolica a dimensione
sovra-territoriale, governata da un prelato, ha i
suoi propri fedeli, i quali rispondono all'OD,
prima che alla Chiesa cattolica. Lo scopo principale
dell'organizzazione è diffondere la "viva
consapevolezza della chiamata universale alla
santità e all'apostolato nella vita quotidiana, in
particolar modo nell'esercizio del lavoro
professionale e su una pratica
di vita ispirata da un costante spirito di
mortificazione".
La storia dell'OD dal
1928 a oggi è molto controversa (è un eufemismo, ne
dico una per mio sfizio personale: membri dell'OD
parteciparono in qualità di Ministri ai governi
franchisti) ed è caratterizzata sia da grande
intransigenza e durezza nei confronti di chi la
pensi in modo diverso, sia dalla partecipazione
concreta dei suoi membri (circa 85.000 a oggi)
all'interno di istituzioni laiche di quasiasi
genere, compresi governi (es.:
Paola Binetti), banche, industrie,
multinazionali e quant'altro. In sostanza, una
lobby
potentissima che, non a caso, ha la sua
sede di governo a Milano. Chiaro, il genere?
Detto questo, torno alla "Guida
bibliografica dell'Opus Dei": soppresso l'Indice,
l'OD si fece
immediatamente carico di mantenerlo e aggiornarlo,
sotto la forma di una guida bibliografica.
La
Guida raccoglie, al
2003, 60.541 titoli di libri,
a ognuno dei quali è associato un punteggio
da 1 a 6. La scala di
giudizio funziona in questo modo:
1 per i testi che
possono essere letti liberamente con profitto
spirituale; 6 per i
testi "pericolosi", giudicati conflittuali
verso l'insegnamento impartito dall'OD;
questi ultimi possono essere consultati
solo con l'esplicito consenso
della Prelatura, vale a dire il vertice
dell'organizzazione. I testi che hanno una
valutazione di 3 o
4 o 5 devono
essere sottoposti al consenso dei Direttori, prima
di essere letti. Dal mio punto di vista, la cosa non
sta né in cielo né in terra.
Comunque: secondo l'OD,
la Guida sarebbe un
elenco di letture consigliate e sconsigliate e la
libertà di decisione
ricadrebbe sempre e comunque sull'individuo
(libero arbitrio, ah ah!). Naturalmente così
non è, dato che "se un fedele della prelatura
leggesse pubblicazioni erronee o fuorvianti senza
aver richiesto consiglio e orientamento ai
Direttori, si esporrebbe facilmente ad un pericolo
per la sua anima. Per questo (...) si informerà
immediatamente la Commissione Regionale; non
rispettare la disposizione di chiedere consiglio è
motivo di non ammissione all'Opera, o per chi è già
incorporato, per consigliare l'uscita dalla
prelatura", come recita il
Vademecum dell'OD spagnola.
E ora, qualche mio rigurgito in merito, dopo
faticosissima consultazione della
Guida, provvisto di
boccaglio e scafandro anti-teodem: il criterio che
sembra guidare l'assegnazione dei punteggi mi pare
sia più attinente alla lotta al marxismo che al
vaglio dei contenuti intrinseci dei testi,
altrimenti non si spiega la scelta idiota di dare
6 alla
Storia della Filosofia
di Nicola Abbagnano,
per esempio, o a Le radici
storiche
dei racconti di fiabe di
Vladimir Propp o,
ancora, Marcuse o
Althusser o
Pavese; poi ci sono i
6 dati secondo logiche
misteriose (cretineria?), ne cito alcuni:
Woody Allen,
Mario Puzo,
Andrea Camilleri,
Manuel Puig, Tommaso
Landolfi, Isaac Asimov,
Milan Kundera,
Doris Lessing,
Jack Kerouac... insomma, il concetto è
chiaro.
Poi ci sono i 6 con cui
io sono d'accordo, sebbene con motivazioni diverse:
I miei primi quarant'anni
di Marina Ripa di Meana,
per esempio, oppure l'opera omnia di
Carmen Llera e di
Jackie Collins, che andrebbero banditi
dall'universo mica perché pericolosi ma perché fan
schifo.
Della Recherche di
Proust, dovreste
leggere fino al terzo volume e poi saltare al sesto,
per piacere; per fortuna si becca
6 anche
Mein Kampf, meno
male, ma è in sostanza il solo, a destra.
Sono circa quattordicimila i libri con valutazione
6, ragione per cui
posso stare certo che di quelli la
Binetti non ne ha letto
nemmeno uno. Complimenti, sono tutti bellissimi,
tranne Hitler e
Ripa di Meana.
A dimostrazione della potenza dell'OD,
l'allora cardinale Joseph
Ratzinger porta a casa un bel po' di
tre e di
quattro, il che
significa che ci vuole l'autorizzazione. E che mai
avrà scritto? Robe smutandate? Maddai...
In definitiva, questa Guida,
come tutte le prescrizioni tassative, rientra
nell'ambito della repressione, ancor più odiosa se
colpisce la memoria, il racconto, l'esperienza,
l'intelligenza e la conoscenza. E ancor più
avvilente è il fatto che ci siano persone che si
privano volontariamente di tale conoscenza, che si
mettono il cilicio all'immaginazione, affidandosi
ciecamente al volere altrui. Volere altrui che,
spesso, è guidato dall'idiozia sfrenata: ma guarda
te se il povero Ugo Foscolo
si deve pigliare un 6
per il suo Jacopo Ortis,
dico io!, manco fosse Satana alla scrivania...
Incomprensibile, orresco.
Per chi volesse scartabellare nella "Guida
bibliografica dell'Opus Dei", per farsi
un'idea, due risate, un pianto, qualunque cosa, la
metto a disposizione
qui, in foglio excel (1,7mb, file .rar).
Così sapete tutto quello che la
Binetti non ha letto e
non leggerà mai, oppure avete una comoda e pronta
bibliografia di testi da leggere di corsa. |
Forse non tutti
sanno che: la pietra dello scandalo.
Amenità a sbrega su
trivigante.it, anche
oggi. Pare che l'uso dell'espressione risalga alla
Roma imperiale, nella quale un debitore che si fosse
reso colpevole di scandalo finanziario
causando
turbamento della sensibilità morale pubblica veniva
condannato a sedere su una pietra nel Foro e a
pronunciare la fatidica frase "cedo bona",
vale a dire rinunciava a tutti i propri beni. A quel
punto, non poteva più essere perseguito per lo
scandalo.
Culturona a mestolate, oggi.
Nella Firenze del XVI secolo, invece, il costume era
leggermente diverso: il debitore veniva incatenato
e, a brache calate, veniva fatto sbattere di terga
varie volte contro una pietra nella Loggia del
Porcellino, o del Mercato Nuovo. La pietra esiste
ancora ed è ancora oggi chiamata la pietra dello
scandalo, qui a destra.
Da tale usanza potrebbe derivare l'espressione "essere
con il culo per terra", ma la cosa non è affatto
certa. |
Un esempio di
scandalo.
Era il 17 marzo 1986
quando la Procura di Milano scoprì che
Ciravegna,
Baroncini,
Fusco e altri, tutti
proprietari di grosse aziende vitivinicole,
producevano vino
alterandolo con il metanolo,
più precisamente alcol metilico sintetico, di solito
utilizzato per vernici e lacche. Il fatto fu
gravissimo, morirono almeno 22
persone e molte persero la vista o rimasero
menomate. Il principale imputato, il piemontese
Giovanni Ciravegna, fu
condannato a 14 anni per omicidio colposo plurimo.
Gliene furono condonati quattro, si fece il resto e
poi vualà, oggi - se non è morto nel
frattempo - è a Narzole
e fa ancora il vino con il nome di suo figlio.
Quando Report fece una
puntata su di lui, aggredì l'inviato. L'Italia è un
paese bellissimo, offre sempre l'opportunità di
ricominciare, esattamente come prima. Due mesi fa,
uno degli imputati nello scandalo del "vino
al metanolo", a Veronella (VR), è stato
beccato a farlo di nuovo, alterava il mosto con
acido cloridrico e solforico. Paese bellissimo, il
nostro, pieno di bella gente. |
Aggiornamento: Titoli onorifici
meravigliosi o del delirio demente da superpotere.
Secondo alcuni eminenti
studiosi, il titolo onorifico che Joseph-Désiré
Mobutu si attribuì
in
virtù della sua carica di dittatore balengo dello Zaire,
"Mobutu Sese
Seko Koko Ngbendu Wa Zabanga", non
significherebbe solo "Mobutu il
guerriero che va di vittoria in vittoria senza che
alcuno possa fermarlo", bensì "Mobutu
l'onnipotente guerriero che, con la sua resistenza e
l'inflessibile volontà di vincere, andrà di
conquista in conquista lasciandosi fuoco alle sue
spalle". Ora, se così fosse, pare evidente
che - come minimo - Mobutu
raggiunga il primo posto ex aequo con
Idi Amin Dada
nella speciale classifica dei titoli onorifici più
idioti e fragorosi, in virtù anche del fuoco che si
lascia dietro. Complimenti vivissimi. |
Titoli onorifici
meravigliosi o del delirio demente da superpotere.
Dittatori, imperatori,
colonnelli e marescialli, più sono grassoni e
sanguinari e più tendono ad attribuirsi titoli
onorifici imbarazzanti una volta preso il potere, in
una perenne rincorsa demenziale, titoli che
attestino non solo la legittimità della carica,
acquisita per derivazione divina o per necessaria
logica delle cose, ma anche la propria, somma,
immensità personale. E io mi diverto moltissimo.
Per
esempio, Hongli, quarto
figlio dell'imperatore Yongzheng, Imperatore manciù
della Cina dal 18 ottobre 1735 al 9 febbraio 1796,
fu noto con il titolo di "Qianlong"
(乾隆), che potrebbe essere tradotto con "Grandiosità
Cosmica", mica bazzeccole. Ma gli Imperatori
cinesi, si sa, avevano un che di grandioso in sé,
dato che soggiornavano nel
Palazzo della Purezza Celeste e, quando
potevano, si ritiravano nella
Sala della Coltivazione Mentale nella Città
Proibita. A suo merito, bisogna dire che fu fine
letterato, poeta, e che portò il Celeste Impero in
un'era di prosperità piuttosto durevole.
Naturalmente,
Hongli è decisamente un
piccolo dilettante - in quanto a titoli onorifici -
rispetto a certi pingui dittatori dell'Africa
centrale. Joseph-Désiré
Mobutu, cleptocratico dittatore della
Repubblica Democratica del Congo, nel 1971 cambiò il
nome del paese in Zaire
e il proprio in "Mobutu Sese
Seko Koko Ngbendu Wa Zabanga", che significa,
grossomodo, "Mobutu il
guerriero che va di vittoria in vittoria senza che
alcuno possa fermarlo". Complimenti
vivissimi, per il sobrio nomignolo e per la serie di
vittorie, non troppo lunga, a onor del vero, e
conclusasi con l'ignominiosa fuga. Nessuno lo ferma.
Degno
di stare alla pari con Mobutu,
Jean-Bédel Bokassa fu dal 1966 dittatore
militare della Repubblica
Centro Africana e dal 1976 imperatore dell'Impero
Centro Africano fino al 1979. Il titolo di
Imperatore, dal 1976, era così composto: il titolo
ufficiale "Empereur de
Centrafrique par la volonté du peuple Centrafricain,
uni au sein du parti politique national, le MESAN"
era accompagnato dal più informale "Imperatore
del Centrafrica, apostolo della pace e servitore di
Cristo", dovuto a una delle sue numerevoli
conversioni. Anche in questo caso, il titolo
signorile non lo protesse dallo schianto rovinoso.
Altro
sobrio e modesto compare è l'abominevole
Idi Amin Dada,
presidente dell'Uganda
dal 1971 al 1979. Non solo può tranquillamente stare
alla pari dei suoi colleghi qui sopra ma lo decreto
senza porre indugio il grande indiscutibile
vincitore della competizione per il titolo onorifico
più struggente e sensazionale. Nel 1971 si
autoproclamò "Sua
Eccellenza il Presidente a vita, Feldmaresciallo Al
Hadji Dottor Idi Amin, VC, DSO, MC, Signore di Tutte
le Bestie della Terra e dei Pesci del Mare e
Conquistatore dell'Impero britannico in Africa in
Generale e dell'Uganda in Particolare".
Ossignur, la dicitura finale "Conqueror
of the British Empire in Africa in General and
Uganda in Particular"
è davvero strepitosa e chissà cosa accidenti vuol
dire. Povere bestie, poveri pesci e, soprattutto,
poveri ugandesi. Dottore...
La
lista dei potenti-dementi è lunghissima, proseguo.
Buon amico personale di Mobutu,
oltre che pazzo criminale, era
Nicolae Ceauşescu, sanguinario dittatore
rumeno,
che non solo si fece costruire un enorme scettro
simile a quello del Re di Romania, ma si attribuì i
titoli di "Conducător",
cioè "Leader", poca
cosa in verità, e l'inquietante "Geniul
din Carpaţi", vale a dire "Genio
dei Carpazi". Genio nel senso di nume
tutelare, principio vitale o genio intelligente
tout court? Certo, è dura da comprendere in
entrambi i casi, vista la caratura del personaggio.
Procedendo, bisognerebbe citare
Lij Tafari Makonnen,
meglio conosciuto come Haile
Selassie I, che significa "Potenza
della Trinità" o "Ras
Tafari", che in amarico intendesi "Capo
da temere"; oppure
Didier Ratsiraka, dittatore malgascio che non
cambiò il suo nome ma quello del suo partito, che
chiamò "Andry sy Riana
Enti-Manavotra an'i Madagasikara" (AREMA),
che significa "Pilastro e
struttura della salvazione del Madagascar",
niente di meno; oppure, ancora,
Hastings Kamuzu Banda,
presidente-dittatore del
Malawi, il cui titolo ufficiale fu "Sua
Eccellenza il Presidente a Vita della Repubblica del
Malawi, Ngwazi Dr. Hastings Kamuzu Banda", e
si noti il "Dr.", che
fa tanto dittatore frustrato. Il titolo di "Ngwazi"
significa "grande leone"
o, secondo qualcuno, "conquistatore"
in chichewa.
Potrei andare avanti a lungo, probabilmente varrà la
pena tornare sull'argomento, non resisto. A mo' di
chiusa, non posso non citare il nano
Kim Il-sung,
che assunse il titolo di "Grande
Leader" (!) e, più che altro, il figliolo,
l'ancor più nano Kim Jong Il,
il quale assunse - per emulazione - il titolo di "Caro
Leader".
Il che viene molto comodo quando gli si scrive una
lettera. |
Ondina Peteani.
A quindici anni, nel 1940, andava in treno da Udine
a Padova per portare copie de
L'Unità in Friuli e lavorava come operaia nei
cantieri navali di Monfalcone. Operaia comunista. A
diciotto si unì alle formazioni partigiane in
Carso e fu la prima
staffetta partigiana italiana, "Natalia".
La prima.
Infatti, nel 1943, grazie alla collaborazione tra il
PCI e l’Osvoboldilna
Fronta (il Fronte di Liberazione
sloveno), era nato il
Distaccamento Garibaldi, il primo
distaccamento partigiano italiano, poi parzialmente
confluito nella Brigata
Proletaria e nel
Battaglione Triestino.
Arrestata
due volte, riuscì a fuggire in modo rocambolesco,
finché nel febbraio 1944 fu arrestata dalla polizia
politica e in seguito portata al
Coroneo di Trieste. Erano i giorni della
rappresaglia tedesca per l'attentato dei
G.A.P. di
via Ghega a Trieste,
giorni tremendi.
Il 31 maggio 1944 fu deportata ad
Auschwitz, "non dal
solito binario (la gente non doveva vedere queste
cose!) ma sul binario dei silos da dove partivano i
treni merci". Vide
Auschwitz ("di Auschwitz ho un ricordo
stupido se si vuole... - una sera sono andata sulla
soglia della porta della baracca e c'era
una lunona grande.
Pensavo - la vedono anche a casa mia. Mi ha preso
un'angoscia, un male fisico, una nostalgia così
dolorosa della mia gente, della mia terra, di
casa... Avevo il terrore di non farcela"), fu
trasferita nel campo di concentramento di
Ravensbruck e poi,
perché era capace di stare al tornio, fu spostata in
una fabbrica di Eberswalde,
vicino a Berlino. Ondina era tenace e resistente. In
fabbrica mise in atto un sabotaggio sistematico, di
fatto bloccando la produzione con la scusa di
continui controlli e verifiche ai torni e ai pezzi
prodotti, tanto che da quella fabbrica per alcune
settimane non uscì nemmeno un pezzo. Non fu mai
rassegnata.
Nell'aprile del 1945, durante una marcia forzata,
riuscì a fuggire e, in tre mesi, tornò a Trieste: "Emozionante
è stato tornare a casa. Avevo avuto il tempo di
recuperare la sensibilità, l'umanità perduta. Sono
stata fra le prime a rientrare, erano i primi di
luglio, tre mesi incredibili per attraversare 1300
chilometri circa, in un'Europa in ginocchio, senza
più ponti, strade e ferrovie integre".
Tutto questo e aveva solo vent'anni.
Una volta tornata non si fermò mai, nonostante i
polmoni devastati dal freddo di Auschwitz: fece l'ostetrica,
aprì la prima delle Librerie
Riunite del Triveneto, organizzò le attività
dei Pionieri d'Italia,
fondò la sezione locale
SPI-CGIL, lavorò nel
PCI, divenne dirigente dell'Unione
Donne Italiane, lottò per il referendum sul
divorzio, allestì la tendopoli di
Majano nel 1976, dopo
il terremoto, tutto questo sempre sdrammatizzando i
suoi racconti; diceva sempre: "Ah,
poveri noi che abbiamo tanto soffritto!".
Però diceva anche: "Non so cosa sia il sogno. Dal
1944 so benissimo cosa sia un incubo".
Non amava parlare di sé, le poche cose scritte che
ci rimangono di lei sono interviste e racconti di
persone che l'hanno conosciuta. Una sua lunga
intervista si trova in
Racconti dal Lager, a cura di
Marco Coslovich, Mursia,
1997. E' mancata nel 2003. Tra le cose che ci ha
lasciato, un discorso (20 Aprile 1990):
"Ero sopravvissuta ad Auschwitz e Ravensbruck. Ma
irrimediabilmente provata nel fisico e brutalizzata
nella mente. Né più né meno di tutti i reduci da
quell’orrore d’Inferno.
Spesso mi chiedo come personalmente ne sia uscita
viva. La ragione puntualmente mi porta l’unica
risposta possibile: Resistenza!
Resistenza contro l’aggressore nazifascista.
Resistenza in Cantiere e in Fabbrica. Resistenza di
casa in casa. Resistenza mentre le pallottole
fischiavano sopra la testa. Resistenza sotto
interrogatorio. Resistenza in Carcere. Resistenza a
davanti ai miei aguzzini al comando SS di Piazza
Oberdan a Trieste dove venni segregata. Resistenza
mentre mi si tatuava il numero 81672 sul braccio.
Resistenza contro la perdita di dignità e
l’annientamento di umanità. Resistenza contro una
fame demoniaca. Resistenza al latrare di cani
aizzatici contro. Resistenza al sottile desiderio di
lanciarsi contro il filo spinato ad alta tensione
per farla finita. Resistenza contro le bastonate e
le frustate inferte dai nostri carnefici. Resistenza
contro uomini fregiati dalla svastica che di umano
non avevano ormai nulla. Resistenza per Resistere ad
AUSCHWITZ stesso. Contro ogni forma di razzismo,
contro qualsiasi discriminazione e prevaricazione
razziale, sociale, culturale e religiosa,
OSTINATAMENTE, ORA E SEMPRE Resistenza!". |
Ora mi metto un cappello per potermelo togliere, di
fronte a Ondina Peteani.
rif.: http://www.olokaustos.org/saggi/saggi/peteani/
http://www.geocities.com/ondinapeteani/Ondina-Peteani.html
http://www.atuttascuola.it/ondina/una_testimonianza_da_auschwitz.htm
http://wreckage.altervista.org/article.php3?id_article=18 |
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