letturine del mese:
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La scomparsa di
Majorana
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ferraresi
Giuseppe
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trivigante
2006 |
|
Talvolta la
democrazia e la libera espressione generano mostri:
parte cinque.
Le altre quattro aberranti puntate
del viaggio
all'interno del corpo elettorale sono più
sotto oppure nel costruttivo indice
nella colonna di sinistra, in fondo.
cap. 4: dritti alla meta.
Capitolo quattro e quinta
parte, dedicata alle liste che dichiarano un
obbiettivo chiaro e
identificabile. Cioè, piano, voglio dire che,
a differenza delle liste
oscure, se non altro in questi casi si
identifica uno scopo, una direzione, una finalità.
Ovviamente il tutto resta un poco fumoso, essendo
sintetizzato in uno slogan, nulla è detto sugli
strumenti per raggiungere la meta e ancor meno è
detto riguardo il pensiero retrostante. Ciò fa sì
che le liste di questa categoria assumano un tono un
filino oltranzista: voglio la variante di Mestre,
la voglio, la voglio, la voglio. Per fare un
esempio. Procedo.
Voglio.
Perché cazzo devo andare a Senvensànt o a
Venezia tutte le volte che ho voglia di giocare alla
roulette non russa? Perché non posso avere un
casinò sotto casa mia, a Prato? Domande
legittime, in effetti. E pressanti. Io ho un'idea
piuttosto laconica dei casinò, più che altro mutuata
da Fantozzi: impiegati
frustrati la cui ambizione massima è diventare
audaci come l'audace Calboni
che vanno al casinò in una botta di emancipazione
sociale. Immaginaria, visto che anche Montecarlo è
un posto orrendo.
Ma i casinò sono un investimento lucroso, si sa.
Portano la morte nel territorio ma rendono.
Disapprovo ma il tondo a mezza fiche o
roulette non è tra le cose peggiori viste
finora.
Difendo.
Questi sono i City Angels
della famiglia, girano in squadroni
organizzati e laddove qualcuno attenti alla
famiglia, per esempio spargendo polvere di divorzio
negli acquedotti, loro intervengono. Qualcuno ha
messo in discussione l'onorabilità della vostra
mamma? Chiamateli. I
Corleonesi sono minacciati dalle forze di
Polizia? Loro intervengono e difendono
la famiglia corleonese.
Utili.
Dimenticavo: vista l'immagine di sfondo nel simbolo,
vorrei segnalare che Giuseppe non è il vero
padre.
Non voglio.
Devo dirvi una cosa: i
PACS non esistono. E
non sono nemmeno in calendario né in programma di
nessuna forza politica. Vista la situazione attuale,
le possibilità che un disegno di legge di questo
tipo arrivi all'approvazione sono pressoché a zero.
Per cui, presentare una lista di questo genere è una
specie di puntiglio, testardo e rompiballe. E
allora, perché non fare una lista "No
ai meteoriti", piuttosto che "No
all'avvento di Satana"? Le probabilità sono
le stesse, l'utilità pure.
Non in Campania.
Questa lista è l'equivalente
elettorale dei personaggi del presepe in vendita a
Napoli in via san Gregorio Armeno. Voglio dire,
niente come l'attualità colpisce l'immaginario
napoletano, in un misto di libera fantasia e
opportunità di lucro. Barak Obama si candida? Eccolo
subito tra i personaggi del presepe. In Campania
sono sommersi dalla monnezza? Ecco la lista.
Naturalmente non si capisce nulla sulle soluzioni
proposte, vien quasi il dubbio - visto il nome della
lista - che abbiano intenzione di portare la
monnezza in Basilicata o in Calabria...
50.000.
Tanto per chiarire:
cinquantamila è il numero di firme necessarie
per presentare una legge di
iniziativa popolare. Suppongo, dunque, che "50.000noi"
significhi cinquantamila cittadini (noi).
Ma se noi (cioè,
voi) vi candidate in
Parlamento e, fosse mai, venite eletti, allora
noi diventa
voi. Cioè,
noi restiamo noi, ma
noi-voi diventate
voi. E, quindi, non
siete più parte dei
cinquantamila noi. Giusto?
Boh.
Diceva Pasolini negli
Scritti corsari: "Ci sono due
parole (...) chiave dei nostri discorsi. Queste due
parole sono «sviluppo»
e «progresso». Sono due
sinonimi? (...) Il «progresso»
è dunque una nozione ideale (sociale e politica): là
dove lo «sviluppo» è un
fatto pragmatico ed economico. (...) La Destra vuole
lo «sviluppo» (per la
semplice ragione che lo fa); la Sinistra vuole il «progresso»".
Dunque?
Chi ci ama ci segua.
I dipendenti pubblici,
giustamente o ingiustamente, stanno sulle balle a
tutti coloro che non lo sono.
Luogo comune o meno, è un fatto, inutile negarlo. Il
passo successivo del ragionamento è che se una lista
di dipendenti pubblici
si presenta alle elezioni, riceverà il voto dei soli
dipendenti pubblici,
senza possibilità di pescare in altri bacini
elettorali.
Però, momento: secondo l'Eurispes
nel 2004 i dipendenti pubblici
erano 3.377.918.
Se votassero in massa compatti, lanciati verso la
vittoria di categoria, con il furore che
contraddistingue un impiegato delle
Poste, vorrebbe dire
un bel 7,16%, su base
47.160.244, cioè gli
aventi diritto alle politiche
2006 (Camera). Percentualona. Non so perché
ma immagino non succederà, la flemma dell'impiegato
statale avrà la meglio sulla corsa elettorale di
categoria (luogo comune).
Uff,
trentasette liste finora, meno di un quarto
del totale. Ma non le farò tutte, anzi, siamo quasi
alla fine.
Per il resto, alla prossima: "Talvolta la democrazia
e la libera espressione generano mostri: parte
sei". |
Intervallo:
"Donne" per l'Italia.
Non
posso lasciar cadere un articolo strepitoso di
cronaca politica di Concita De
Gregorio su Repubblica
di oggi. L'eroica inviata si è dovuta sorbire le
deliranti scemenze di
Berlusconi di ieri, tutte indirizzate alle
donne (fallisce la replica al commento della
Santanché "Berlusconi
vede le donne solo orizzontali, mai verticali")
e ha scritto un articolo eccellente, commentando
affermazione per affermazione. Anzi, "donne".
Povera, ha tutta la mia comprensione, a doversi
sorbire una camionata di cretinate offensive, tratte
dalla più grande raccolta di stereotipi sulle donne,
depositata nel cervello del settantenne suonato.
L'articolo è notevole, scritto davvero
bene, lo riporto integrale, evidenziando le frasi
del mona.
Un repertorio anni
Cinquanta: le donne sono splendide
madri, mogli capaci di aspettare e
perdonare. Intuitive, diligenti,
affidabili. Supporti preziosi.
Soprattutto cuoche eccellenti e difatti:
«Signore, per i
giorni del voto ho una missione speciale
per voi: cucinate». Portate dolci
agli scrutatori ai seggi. «Cose
dolci e squisite, mi raccomando».
Crostate, per esempio. Le più ardite
possono osare uno strudel. Le più
esperte un profiterol. Ovazione in sala:
con sguardi indulgenti per la debolezza
del capo (si sa che gli uomini vanno
presi per la gola, del resto) le signore
applaudono intenerite. Cucineranno, se è
questo che Silvio vuole. Sono pronte.
Toglieranno i bracciali pesanti e gli
anelli per impastare. Si comporteranno
per quello che sono: regine del
focolare.
"Le nostre
padrone: tra le mura domestiche le
padrone siete voi. Fini ed io lo
sappiamo bene". Urla di "bravo
Silvio", sguardi di tenera comprensione
e complicità. Ah, gli uomini: che
bambinoni. Del tutto incuranti dell'ora
e mezza di ritardo con cui Berlusconi si
presenta all'appuntamento, niente per la
"leggendaria
pazienza femminile", le donne del
Popolo della libertà accolgono con
sventolio di bandiere (solo una della
Lega) le consegne che il leader è venuto
ad assegnare loro per gli ultimi
quindici giorni di campagna elettorale.
La missione è chiarissima: convincere le
casalinghe d'Italia a votare per lui
giacché, come mostrano i sondaggi-totem,
un'alta percentuale di indecisi si
annida proprio fra le donne, in specie
fra quelle che per amore o per forza
lavorano in casa. Il ragionamento che ne
consegue è elementare: se dalle donne
dipende il risultato è sulle donne che
bisogna puntare.
"Rassicurarle,
tranquillizzarle", tutti verbi
così, consolatori e docili. Alcuni
consigli pratici: convincete tutte
quelle che potete a non votare i piccoli
partiti e specialmente Udc "che
tanto sono voti regalati alla sinistra,
al Senato sono proprio voti persi perché
tanto nessuno raggiungerà l'otto per
cento".
"Ma non voglio
stancarvi con questioni tecniche",
si premura paterno Berlusconi.
Piuttosto: andate a vigilare ai seggi "perché
il pericolo di brogli è altissimo, sono
un'antica professionalità della sinistra".
Voi dovete procacciare il cibo agli
scrutatori. "Noi
allestiremo un servizio catering ma voi
potete fare di meglio". Forza
quindi: cucinate.
Si dipana da qui un fenomenale estratto
in pillole del pensiero di Berlusconi
sul senso della presenza femminile in
politica, nella società e nella vita.
Premette che gli hanno "raccomandato
di non far battute sulle donne"
(persino Bossi: "meglio che di donne
Silvio non parli"). Uno sforzo vistoso,
la tentazione della battuta è
irresistibile: "Vedo
che c'è una delegazione dell'Alitalia.
Scusate ma preferisco le donne".
Pazienza, andiamo avanti.
Si parte dalle inspiegabili virgolette
messe nel titolo della manifestazione:
"Donne" per l'Italia. Solo la
parola donne è fra apici. "Le
virgolette sono mie", proclama
orgoglioso il leader.
E dunque? Che significa? "Donna,
come voi sapete, deriva dal latino
domina: padrona. Dunque donne come
padrone: padrone per l'Italia".
Brusio di confusa approvazione. "Quando
voi entrate nel vostro dominio, nella
casa, noi uomini diventiamo sudditi".
Il vostro dominio: la casa.
"Voi siete le
nostre padrone, fra le mura domestiche".
Che soddisfazione. "Vi
assicuro che quando torno a casa sono le
mie donne a comandare". Risate,
qualche "esagerato". Ma no, dice sul
serio.
Ecco un elenco di pregi femminili: "Voi
arrivate alle soluzioni per istinto".
Ecco, le donne sono l'istinto gli uomini
la ragione. "Voi
siete più brave a scuola",
precise nello svolgere i compiti, "siete
più affidabili in ufficio",
efficienti ad eseguire. "Siete
più coraggiose nella vita",
sempre per via dell'istinto
evidentemente e della naturale
inclinazione a difendere la prole. "Sapete
dare un apporto di concretezza e
sensibilità". Un apporto. Per
tutti questi motivi "ho
deciso che nel nuovo governo quattro
ministri su dodici saranno donne".
Un terzo: non un grande avanzamento.
Nessun cenno alle attività individuate
come idonee per le ministre. Cucinare al
governo non serve.
In prima fila proprio sotto il palco
Mara Carfagna maestra di cerimonie.
Berlusconi le si rivolge soave: "Sono
venuto qui ad eseguire il compito che
Mara mi ha assegnato, è lei la padrona.
Mi ha chiesto di spiegarvi che cosa
dovete dire per convincere gli indecisi".
Un capolavoro: obbedisco all'ordine di
dirvi cosa dovete dire. Segue breve
spiegazione semplificata del
funzionamento del sistema elettorale.
Esecrazione dell'"idiota
legge sulla par condicio" che
impedisce alla politica di fare il suo
corso naturale, qui illustrato come
quello della Coca Cola: "La
Coca Cola ha il 35 per cento di mercato
delle bevande gassate e investe il 35
per cento in pubblicità. Un aumento di 5
punti di pubblicità - share of voice
- per tre mesi porta un punto in più di
vendite. Con la propaganda politica è
uguale, purtroppo ci impediscono di
farlo". Share of voice
suscita in platea un momento di
smarrimento ma il senso della missione è
lampante: "Chi sa
far la spesa meglio di voi? Chi sa
meglio di una casalinga quanto conti un
consiglio di consumo dato a voce?".
Andate, dunque, e siate operose. Valido
supporto. Diligenti cuoche sopraffine. |
|
Talvolta la
democrazia e la libera espressione generano mostri:
parte quattro.
Le altre tre mortali puntate
del meraviglioso viaggio
all'interno del corpo elettorale sono più
sotto oppure nel comodo indice
nella colonna di sinistra.
cap. 3/b: il significato è
irrilevante (il lato oscuro).
Seconda parte della carrellata delle
liste oscure, categoria
inquietante che getta il mio animo nelle segrete del
vivere comune.
Opportunità politica? Incapacità di qualunque grado
di comunicazione? Scemenza congenita?
Sottovalutazione del concetto di "elezione
democratica"? Forze oscure che si nascondono dietro
un simbolo elettorale? Tutto può essere, agli
elettori la misera sentenza. Proseguo.
Please.
Lo sconcerto regna in me sovrano. Iperproduzione di
slogans programmatici in questo caso: si
spazia vorticosamente dal nome
della lista, motto della repubblica francese,
che all'interno del simbolo è addirittura riportato
in ordine diverso (!!) all'incredibile "yankee go
home please"
(sarcasmo malriuscito? PLEASE?) a
rivendicazioni bizzarre sul T.F.R. E lo slogan in
alto? Che sono, agenti di recupero crediti?
Se non sono massone,
lo sembro.
Ho cercato e ho trovato la spiegazione. Nelle
intenzioni dell'autore, tale
Battista Mazzetta «dilettante podista»,
il significato del simbolo e del nome sarebbe il
siffatto: "III M", alla
latina. Sempre secondo l'autore, l'indicazione
numerica significherebbe "terzo
millennio", perché lui è proiettato nel
futuro. Peccato che "III M"
significhi "tremila",
così tanto per riportarlo al presente.
E nucleo rimanda a infelici esperienze
terroristiche, devo dire.
Complimenti al grafico che
è con evidenza lo stesso del
Grande Oriente d'Italia.
Premio font. Pane,
amore e fantasia? No, PPL:
pane, pace, lavoro. E c'è anche la zatterina che ci
salverà.
Siamo tutti molto ma molto più tranquilli.
Flipper porta il
Galak. Questo è palesemente
berlusconiano o finiano, direi. Scartando l'ipotesi
(è una speranza) che il candidato si chiami
Delfino (e che, di
conseguenza, sia l'ex generale fascistoide),
immagino che il programma della lista sia eleggere
il primo portaborse del Re Nano.
Gli altri siamo noi.
Dopo l'Altroconsumo, l'Altromartedì, l'altroieri, l'altroscontro,
ecco finalmente anche l'alternativa a noi stessi:
Tautologia.
In logica, una tautologia
(dal greco ταυτολογία, composto di ταυτό lo stesso —
τα lo e αυτό stesso — e λογία per λόγος discorso) è
un'affermazione vera per definizione,
quindi fondamentalmente priva
di valore informativo. Le tautologie logiche
ragionano circolarmente attorno agli argomenti o
alle affermazioni.
Il bene.
Almeno qui c'è una parvenza di senso del vivere
collettivo, di comunità, di condivisione.
Certo, il problema è che quello che è bene comune
per te, non sempre lo è per me, il che è un aspetto
irrisolto del vivere democratico. Per esempio, a mio
parere, lo sfondo arcobaleno per indicare
l'appartenenza alla vita sociale dei movimenti e la
distanza da quella dei partiti non è bene.
Alvaro Lissa.
Prima ho pensato che, solitamente, la
qualifica di poeta mal
si concilia con l'azione,
anche se il poeta è
giovane. Sia per la
ricerca e la contemplazione, sia per il luogo comune
che vuole il poeta un poco privo delle vitamine
fondamentali. Poi mi sono chiesto chi siano questi "Giovani
poeti d'azione", così sono andato sul loro
sito. Alla terza riga mi conquistano così: "Averci
raggiunto per te è una fortuna e un privilegio
perché visitare ed esplorare questo sito è
un'esperienza che ricorderai e ti farà crescere
(...) divieni sempre più curioso e interessato a
conoscere e comprendere le Verità che abbiamo da
offrirti".
Allora ho pensato: ma andate a cagare.
Soprattutto tu, D'Agostini,
poeta di cui segnalo l'imbarazzante "Ode
al lampione". Ma per favore.
I vincitori.
E l'ambito trofeo di migliore
lista del giorno, va alla lista di Carlo
Magno, Francesco Giuseppe, Ottone I il grande, Carlo
V e Francesco II. E io che mi pensavo che il tutto
fosse tramontato nel 1806...
E invece no: come suggerisce il
sito, finissima la scelta musicale, il
Sacro Romano Impero è
tra noi e ha sede a
Casalpalocco. E ha la sua alfiera in
Mirella Cece, che faceva la ragioniera
alla FIAT.
Ah, come sono lontani i tempi di
Vienna e di
Schönbrunn...
E anche oggi mi son stremato i didimi
a sufficienza, mancavano solo i ragionieri del Sacro
Romano Impero.
Mi apparto alla ricerca di cantucci di tranquillità
e gentilezza nei quali la campagna elettorale non
arrivi, pigliando pausa fino alla prossima
iperfatica: "Talvolta la democrazia e la libera
espressione generano mostri: parte
cinque". Se prima non me moro. |
Talvolta la
democrazia e la libera espressione generano mostri:
parte tre.
Le avvincenti parti uno e due
del meraviglioso viaggio
all'interno del corpo elettorale sono più
sotto.
cap. 3/a: il significato è
irrilevante (il lato oscuro).
Terza ammorbante puntata della speculazione immane
tra le 177 liste candidate
alle prossime politiche e terzo capitolo della saga
elettorale cretina, che si apre oggi - dopo gli
uomini-lista e i
nomi balenghi - con
le liste dal significato a dir
poco oscuro.
Intendo dire, tutte le liste candidate delle quali
non solo non si intuisce la collocazione politica ma
non si comprendono nemmeno la missione, lo scopo
predominante (non dico il programma), gli obbiettivi
piuttosto che il leader, il motivo della nascita e
così via. L'incomunicabilità più completa, vuoi per
incapacità manifesta dei titolari vuoi per calcolo
politico. Avanti, dunque, con il trionfo di simboli.
Intero è meglio.
Più che integri, questi sono interi. Son talmente
interi che il loro
programma è: "Permettere ad ogni persona e
comunità presente e futura, e ad ogni altra realtà
esistente nel raggio di azione umano, di sviluppare
a pieno, e di esprimere a pieno, ogni sua propria
capacità e potenzialità reale, quali che siano le
fedi-leggi-culture-istituzioni di ciascun popolo e
Paese".
Universalistico 100% e simbolo formato discount.
Dio,
l'aggettivo... Il fantomatico gruppo
San Francesco si
inventa un
partito che punta a unire, finalmente, "milioni
di volonta’ coese nel seno
della GRANDE MADRE, la RETE". 'Azzo,
figli della rete? E' anche peggio che essere figli
della serva o di gran baldracca...
Ah, dimenticavo: hanno un sito che fa cag... ehm, un
sito basilare, brutto quasi quanto il mio.
Attenzione,
trivigante! Prima di
mettermi a sbertucciare la prossima lista, sono
andato a vedere il sito del partitello (che non ha
nemmeno un sito ma un
blog). Ho scoperto che Non
Remare Contro, oltre che filo-berlusconiano,
gode del supporto dell’Associazione
Poliziotti Italiani e
del sindacato di Polizia COISP. Oh, oh, mi
sono detto, qui bisogna andarci coi piedi di piombo,
caro mio, son pulotti.
Ecco, dunque, il mio savio commento:
lo slogan è l'ulteriore
semplificazione di un elementare pensiero di
Berlusconi, il che rasenta lo zero quoto di senso e
profondità; il simbolo,
con tanto di onda per esplicitare, fa schifo a
chiunque abbia vista multicromatica e il labirinto
in ordine. Fatto.
Abbiamo visto
Cocoon tredici volte. Noi
chi? La strumpallazza luminosa ci salverà e ci
guiderà nelle notti oscure della politica. Oppure è
il partito dei detentori del superpotere
Dragon Ball di sparare
palle di fuoco nel ventitreesimo torneo
Tenkaichi. Comunque
sia, il potere è nelle loro mani.
Chi è contro chi?
Questi sono una casta contro chiunque, a
prescindere?
Sono forse una casta italiana contro l'Europa? Forse
Laetitia Casta si
nasconde dietro questa lista?
Se il messaggio è, indovino, che siete contro la
casta dei politici perché avete letto Stella,
allora non si capisce tanto, l'ordine
soggetto-verbo-predicato un suo senso - di solito -
ce l'ha.
Getta l'ancora.
La pacifica rivoluzione dei rimorchiatori e dei
pescherecci invaderà democraticamente tutte le
piazze d'Italia, purché siano dotate di almeno un
metro d'acqua o di piscine gonfiabili.
Anche nella vasca di casa tua, se la tieni piena.
Dice il
saggio Ten.
Questa stlada va cambiata / o
succede una flittata! Oppure:
chi va in gilo a folleggiale /
la sua mamma fa stal male! Ancora:
se si talda nel flenale, / ci
si va a spiaccicale! E, infine:
qua noi ci disidlatiamo, / se
qua l'acqua non tloviamo!
Ho letto Dante.
E verrà il veltro che scaccerà
la lupa.
Nel partito che al mercato mio padre comprò.
Sapevo che il terzo capitolo sarebbe
stato il più arduo, per consistenza e materiale.
Mi tocca spiaccicarlo in più parti, altrimenti il
gusto si perde, per chi ha ancora la forza di
seguitare a leggere. Nemmeno io ho letto tutto
quello che ho scritto, quindi capisco benissimo.
Questo paese continua a essere al di sopra delle mie
capacità. Devo frapporre anch'io qualche momento di
svago a questo rovescio di
allegria elettorale o rischio di non uscirne
vivo.
Esco, dunque, a schernire vescovi e continuerò ne
la prossima
avvincente puntata del dramma elettorale,
"Talvolta la democrazia e la libera espressione
generano mostri: parte quattro".
Certo che, vista la mole, potrei anche togliere il "talvolta"
dal titolo. |
Talvolta la
democrazia e la libera espressione generano mostri:
parte due.
L'avvincente prima parte
del meraviglioso viaggio
all'interno del corpo elettorale sta nel post
di ieri.
cap. 1: Un uomo, una lista,
un voto.
Proseguendo l'amena rassegna delle liste candidate,
è evidente che non tutte le liste si presentano alla
Camera e al Senato, come è evidente che non tutte le
liste si presentano in tutte le regioni e,
altrettanto, che spesso vale la bizzarra equivalenza
una lista=una persona.
Ecco, dunque, il primo punto interessante: cosa
spinge una persona singola a
costituire una lista che, di fatto, è
mono-rappresentata?
Alcune ipotesi: desiderio di solitudine; voto di
scambio; ego ipertrofico; tradimento degli amici al
momento della sottoscrizione; modulo consegnato
all'ufficio sbagliato; rivincita sui dispetti
ricevuti dai compagni alle medie; pene
sottodimensionato; desiderio frustrato di
superpoteri; delirio da notorietà, ancorché minima;
demenza precoce; incapacità di aprire un blog.
A dimostrazione di quanto teorizzato,
i due pietosi casi di Mario
Zarlenga e di Giuseppe
Quaranta.
Il primo, balengo da competizione, mette dei
palloncini da calcio (suppongo, eh, ma è dura!)
su alcune circoscrizioni elettorali estere, azzecca la
peggiore combinazione cromatica possibile e conia
uno slogan che nemmeno Cincinnato. Il secondo sfonda
il muro del colore e, con il suo cognome, offre un
giochino che non si è visto nemmeno sui
diari delle medie e sbrodola slogan a ripetizione.
Sud libero da che? Si spieghi, 40.
Più particolare il caso di
Stefania Ariosto, la
teste Omega nel
processo a Previti, che ha svernato per anni nei
salottini berlusconiani finché non si è offesa (o
stufata, non so) e li ha trascinati a processo.
Interessante il simbolo, come dice lei: "una rosa
e sotto la rosa una V rappresentante il simbolo
sessuale femminile". Una V? Anvedi, che
contessa. Non che io corra il rischio, ma spero
ardentemente di non guardare mai nelle mutande della
signora. Buffo che una che si è fatta costantemente
umiliare per anni da Berlusconi e dai suoi
compagnucci fascisti,
i quali non hanno certo una gran considerazione del
cervello femminile, ora si atteggi a post-femminista
battagliera alla riscossa.
Suppongo leggesse Eco, quando
ha deciso di presentare la lista "Nel
nome della donna" con una rosa.
cap. 2: Inventarsi
un nome.
Scegliere il nome della lista è il primo passo e non
è dei più semplici. L'unica analogia calzante che mi
viene in mente è con la scelta del nome di un gruppo
musicale, tant'è che esistono un sacco di band
con nomi imbarazzanti. Qui è lo stesso: lunghi
pomeriggi e serate nelle quali gruppi di
intelligenze accecanti cosano di cervello fino a
farselo fumare nello sforzo dell'uso, finché uno
salta su gridando eureka e gli altri,
entusiasti, sono tutti una pacca sulle spalle e
sorrisi di ammirazione per il genio.
Il problema sorge quando i
risultati di cotanto sforzo sono a dir poco
imbarazzanti. Il che la dice lunga lunga
sulla qualità dei cervelli sottoposti a improvvido
utilizzo. Ma benedetti ragassi, non è che
potete tutto di un botto ripescare il cervello dalla
cantina e tirarlo a mille giri, se sono anni che
stava raffermo. Dovete fare le cose in modo
graduale: prima colorare qualche illustrazione, poi
provare a memorizzare una filastrocca, poi giocare
con le costruzioni e così via, insomma, con calma.
Vi fate male, altrimenti.
Che dire, dunque, dei genii della
L.I.R.A. che in un
colpo solo boicottano l'euro e sostengono
l'amore rispettoso nella
libertà indipendente? O che dire dei lealisti
de LeAli?
Se il nome non viene, la soluzione
migliore è copiare.
Basta un plurale al posto di un singolare, qualche
piccolo dettaglio e vualà, il gioco è fatto. Mi resta il sospetto della
malafede per raccattare
i voti di qualche elettore disattento che non fa
troppo caso al simbolo. Il sorrisetto tricolore
sotto il simbolo di destra mi pare un indizio
piuttosto lampante.
Oppure, ma qui non c'è malafede, le
idee scarseggiano davvero ed è meglio copiare di
brutto il nome (il simbolo no, complimenti al
grafico depresso):
Un caso particolare di nome: la
Rosa Bianca di
Tabacci.
Chiunque abbia letto un minimo di storia, sa che la
Rosa Bianca (Die
Weiße Rose) è stato un
movimento di opposizione nonviolenta al
nazismo: cinque
studenti dell'Università di
Monaco (Hans Scholl,
sua sorella Sophie Scholl,
Christoph Probst,
Alexander Schmorell e
Willi Graf) e un
professore (Kurt Huber),
tra il 1942 e il 1943 si opposero a Hitler
distribuendo opuscoli e volantini che sostenevano
un'Europa federale fondata sui principi cristiani di
tolleranza e giustizia. I sei
furono catturati dalla Gestapo e decapitati nel 1943.
La Rosa Bianca divenne
il simbolo di una delle forme più pure di
opposizione alla tirannia.
Ora, vorrei sapere: cosa c'entra
Tabacci con tutto
questo? Come si permette di appropriarsi di un nome
che è del tutto indegno anche solo di pronunciare? A
quale tirannia si oppone? Non prova vergogna?
Tabacci
è uno stronzo conclamato e io lo odio, presuntuoso
idiota senza rispetto per chi ha pagato di persona
per inseguire un'idea di libertà. Che schifo, mi
viene da vomitare.
Su questa nota sgradevole, purtroppo,
si chiude la seconda parte dell'avventuroso viaggio.
Fanculo a Tabacci e rimando alla prossima
avvincente puntata del dramma elettorale,
"Talvolta la democrazia e la libera espressione
generano mostri: parte tre". |
Talvolta la
democrazia e la libera espressione generano mostri: parte uno.
Finora ho tergiversato, lo ammetto, cercando di
evitare l'argomento elezioni, ché ho già i didimi
fluttuanti al solo pensiero. Allo stesso tempo mi
rimorde la coscienza, però, di sprecare una simile
occasione per incazzarmi ancora di più con questo
splendido paese e con la meravigliosa gente che lo
abita.
Perché, dunque, gettare al vento luminose occasioni
di sfogo e rancore? Infatti non c'è ragione, visto
che prendersela con gli idioti costa meno di un
analista, o di pasticchine colorate, piuttosto che della marjuana, ed è efficace come una seduta giornaliera
in una palestra di ti-spacco-la-faccia.
Forse è meno bello, divertente e rilassante,
concordo, ma questo ci tocca, vivendo in cotesto
paese.
Con l'aiuto del sempre utile
Ministero dell'Interno
(son spiritoso!), vado dunque a iniziare un viaggio periglioso e lungo
nei meandri delle liste candidate alle prossime
elezioni.
Solo dati ufficiali, dunque, perché carta, per una
volta, canti davvero. Via, allora.
Ecco un elenco di categorie politiche:
seconda repubblica,
maggioritario,
bipolarismo,
rinnovamento,
voto utile e inutile,
partito unico,
coalizione,
raggruppamento. Se dal
1992 in poi, vi siete bevuti come reale almeno una
di queste categorie, non avete la minima idea del
paese in cui vivete e, presumibilmente, non siete
pronti per andare a votare. Forse non dovreste,
chissà.
Se, al contrario, siete più o meno consci di cosa vi
aspetta, non rimarrete sorpresi alla notizia che,
alle prossime elezioni
politiche del 13 e 14 aprile 2008, sono
candidate 177 liste.
Centosettantasette sono le liste ammesse alla
competizione elettorale, purtroppo non è dato sapere
quante se ne siano presentate, forse dieci volte
tanto, forse centosettantotto, chissà, resta un
mistero.
Prima di qualunque altra
considerazione, però, voglio
procedere all'assegnazione di alcuni premi, fuori
categoria. Sono quindi onorato di presentare
la vincitrice assoluta tra
tutte le liste, per meriti incontestabili di
incoerenza, assurdità intrinseca, beotaggine e
balorderia:
Presentarsi
alle elezioni con una lista che invita a non votare
o è un colpo di genio clamoroso, che farebbe
l'invidia di Breton,
Max Aub e di qualunque
altro surrealista, oppure è un'incongruenza
colossale e ridicola.
Non so perché ma propendo per la seconda che ho
detto. Se la lista raggiungesse il suo scopo,
evidentemente non prenderebbe nemmeno un voto. Vale
a dire, se vi sono dei militanti, di certo non
andranno a votare per la propria lista. No?
Complimentoni vivissimi, comunque.
Il premio furbizia, invece, all'UDEUR:
Infatti, come è noto finora,
Mastella
non si candida. A
questo punto, su un simbolo elettorale ci si può
scrivere, che so, "Power
Rangers" o "Vendo Panda
Blu", l'effetto è garantito comunque. Un po'
stronzi, direi.
Un altro premio, ma non so bene di
che categoria, è invece per il
Partito Impotenti Esistenziali:
Il dottor
Giuseppe Cirillo è senza dubbio uno
spiritosone. Se le racconta e poi si capotta dalle
matte risate. Io non capisco bene cosa significhi
essere impotente esistenziale,
ci penso e non trovo soluzione. Per fortuna il suo
leader, nonché fondatore, nonché finanziatore,
nonché candidato premier, dottor
Giuseppe Cirillo,
spiega: "sono impotenti esistenziali i cittadini
che non hanno forza e coraggio di esternare le
proprie insoddisfazioni esistenziali e i propri
malumori". E lui farà da megafono. Ci mancava,
proprio.
E poi, chi cavolo voterà una lista che ha scritto "impotenti"
grosso come una casa? Io no, ah no.
L'ambitissimo e ultimo premio, la
coppa "Rientro dal cesso
mentre non guardate", va a
Emanuele Filiberto che,
zitto zitto, si candida all'estero, in qualche
circoscrizione di emigrati che pensa ci sia ancora
il Re:
Non voglio nemmeno lontanamente
pensare alla possibilità che il figlio della
biscottaia e dello sparatore possa venire eletto.
Non posso, non posso, sono già stremato da
Pallaro l'ultima volta,
qualcuno faccia qualcosa, qualcuno dica
qualcosa, per favore. Va ben pur tutto, ma
Emanuelefiliberto no, per carità!
Ora che ho assegnato i premi
honoris causa (avrebbero potuto essere molti
molti di più), mi predispongo spiritualmente e
corporalmente al vaniloquio sugli altri simboli e
liste candidate.
Per questo, però, avendo già dato pacchi di simpatia
con questo post e avendo sudato anche sulla camicia
del dottor Cirillo,
rimando alla prossima
avvincente puntata del dramma elettorale,
"Talvolta la democrazia e la libera espressione
generano mostri: parte due".
Sto seriamente pensando, però, di cambiare nome a
questo spazio, magari "Io non
scrivo" o "Io non leggo",
insomma qualcosa del genere... Forte, no? |
Sessantaquattro.
Sessantaquattro
anni fa, l'attacco partigiano di
via Rasella a Roma. Il giorno dopo,
24 marzo 1944, la
rappresaglia: dieci uomini rastrellati a Roma per
ogni soldato tedesco morto, senza badare alla
precisione del conto, condotti in una cava delle
Fosse Ardeatine,
fuciliati e umiliati con le mine. Furono 335, tra
detenuti politici, civili di religione ebraica,
detenuti in via Tasso, parenti rastrellati con
furore spietato.
Un esempio per tutti: Mosè Di
Consiglio fu ucciso alle fosse e con lui suo
padre Salomone, i suoi
tre figli, Marco,
Santoro e
Franco e suo fratello
Cesare.
Non esistono parole per spiegare.
I tre maggiori responsabili dell'eccidio alle
Ardeatine ebbero sorte
molto più felice di quello che avrebbero meritato:
Albert Kesselring
scampò alla condanna a morte, si fece sì e no tre
anni di carcere in Germania e poi ebbe l'impudenza
di associarsi a un'organizzazione di reduci
neonazisti, liberamente, fino alla morte;
Herbert Kappler si fece alcuni anni di
carcere in Italia, ricevendo una pensione dal
governo tedesco e dedicandosi all'allevamento di
pesci ornamentali e suonando il violino, finché il
15 agosto del 1977 fu lasciato fuggire dal carcere
del Celio e finì i suoi giorni da uomo libero in
Germania;
Erich Priebke,
si sa, fino allo scorso novembre scorrazzava
tranquillo in libertà vigilata per le strade di
Roma, con la scusa di recarsi al lavoro (anni
novantacinque, giova ricordarlo), libertà poi
revocata in favore degli arresti domiciliari, la
cosa era troppo sfacciata perfino per noi italiani.
Come se fosse differente.
Due film: Rappresaglia
(1973), di George Pan Cosmatos
con Marcello Mastroianni
e Richard Burton;
Dieci italiani per un tedesco
(1962), di Filippo Walter
Ratti con Gino Cervi. |
I monumenti (ai) caduti.
I
caduti del lavoro di Montichiari.
Un'altra tappa nella
catalogazione dei
monumenti ai
caduti
che hanno sorpassato la soglia di
guardia.
I monumenti in onore dei caduti sul lavoro son
sempre cosa complessa,
perché in via teorica si esula dalla retorica
patria
ma -
nonostante l'altissimo numero di caduti sul lavoro -
per fortuna non esiste ancora una retorica e
un'iconografia apposita.
Ovvero, se l'amministrazione opta per il monumento e
non per la comoda lapide descrittiva, si chiama un
artista locale, possibilmente rinomato, e si sfanga
l'ostacolo in nome della creazione artistica.
In questo caso, faccione alieno con occhio chiuso e,
presumo, dolente e sdegnato, sormonta basamento
cuboidale con targa avvitata, che dà il senso a
tutta la cosa. Altra targa, altro senso. In
generale, meglio farli che non farli, i monumenti ai
caduti del lavoro, anche se il significato è
sfuggente. |
G8 2001: la
relazione di maggioranza.
Il 2 agosto 2001, Camera e Senato stabilirono
l'istituzione di una
Commissione paritetica (18 deputati e 18
senatori) con l'incarico di svolgere indagini e
redigere una relazione in merito ai fatti di
Genova di pochi giorni
prima. Carlo Giuliani, Bolzaneto, Diaz, Pertini, via
Tolemaide e così via, era il momento giusto per
raccogliere più elementi possibile. Fu nominato
presidente
Donato Bruno, di Forza Italia, avvocato, in
parlamento dal 1996 (lo è tuttora), qui a destra
(metto la foto per vedere che faccia ha uno così).
La Commissione, in poco
tempo, produsse
due
relazioni, una di
maggioranza e una di
minoranza (in realtà, furono tre,
Rifondazione ne produsse una propria, in disaccordo
con le altre due).
Ora: a oggi, la relazione di
maggioranza resta
l'unico documento politico del Governo italiano in
merito ai fatti del G8. Sono disponibili i
documenti giudiziari, certo, i verbali, le
trasmissioni radiofoniche e le riprese video, i
documenti delle organizzazioni e di alcuni partiti,
i resoconti dei giornali, le fotografie, i racconti
delle persone, certamente.
Ma nessuno di questi è un documento ufficiale del
Governo.
E, poiché la Commissione di
inchiesta del Governo Prodi, come da
programma, è stata affossata nel modo che sappiamo
e, inoltre, sarà difficile che con il prossimo
Governo, quale che sia, ne venga istituita una
apposita, nonostante gli sbraiti di qualche furbetto
in campagna elettorale (Amato,
l'ultimo), ho pensato di riportare qui il documento
ufficiale, di metterlo a disposizione.
Infatti i documenti spariscono, o vengono
dimenticati, o mutilati; sebbene
questa relazione non contenga
alcuna informazione utile, anzi piuttosto
brilli
per servilismo e per
opportunità politica, resta un documento
ufficiale agli atti del Governo e della nostra
storia.
Ed è perfettamente in linea
con i fatti successivi, anche di questi
giorni, come l'insulsa richiesta di pene per gli
imputati del massacro a Bolzaneto, la mancata
codifica del reato di tortura nella giurisprudenza
italiana, la prescrizione per i reati ascritti, le
promozioni sistematiche degli ufficiali coinvolti
nelle operazioni di quei giorni, gli esiti del
processo Giuliani, la mancanza della volontà
politica di giungere all'accertamento definitivo,
storico e giuridico, dei fatti. Siamo sempre
italiani, in questo genere di cose.
Per citare alcuni passaggi salienti (le
evidenziature sono mie), la relazione si apre con
una constatazione sconcertante
sulla positiva riuscita del vertice sotto
tutti gli aspetti e, spudoratamente, addossa alcune
responsabilità al Governo precedente (Amato,
ancora):
Il capitolo su Bolzaneto è a dir poco imbarazzante:
E le conclusioni lo sono
altrettanto:
In definitiva, mi spiace
constatarlo, non ci si poteva aspettare
null'altro di diverso, perché l'osservazione
obbiettiva e ragionata dei fatti non fa parte
del costume nazionale. La rilevanza di questo
documento, però, sta appunto nel suo essere
unico, vale a dire il solo
documento ufficiale agli atti delle Camere del
Parlamento in qualità di inchiesta governativa.
Se non è stato prodotto altro, in questi sette
anni, non c'è stata alcuna spinta politica, per
quale motivo la magistratura, i movimenti
d'opinione, le associazioni, le persone, i
giornali, i testimoni dovrebbero da soli e con
le proprie forze, non coordinate, riuscire a
stabilire una verità duratura e condivisa?
Amato, ancora lui e
ora in veste di Ministro dell'Interno,
interrogato oggi sul "silenzio della
politica sui fatti di Genova", risponde: "Non
parlerei di silenzio. Parlerei di indifferenza,
o meglio di ritrosia". Ministro
dell'Interno, bravo, davvero. Su, non fate i
timidi e andate pure a quel paese.
Ecco il documento originale e integrale:
|
Case, non
lifestyle.
Tra le professioni attualmente di moda, secondo i
dati
Isfol 2006, vince su tutte l'agente
immobiliare, perché il mattone tira più del
materasso, specie nei momenti di crisi finanziaria e
di basse rendite.
Sarebbe a dire, secondo definizione, "un
mediatore specializzato nella conclusione di affari
aventi per oggetto lo scambio di beni immobili o
aziende", che è una cosa differente dall'immobiliarista,
altra professione molto in voga almeno fino a
qualche mese fa, che è un tizio che utilizza
l'acquisto di immobili come leva finanziaria per
altre operazioni. Gli
immobiliaristi, che io ricordi, sono tutti
molto belli, hanno dei capelli stupendi e, prima o
poi, scappano da qualche parte.
Molti agenti immobiliari
tendono alla bellezza ma non sempre la
raggiungono, anzi, più che altro raggiungono una
super-tinta fintamente rilassata, esibiscono un fare
disinvolto e grandi macchine, battute spiritosissime
e uffici con signorine dalle gonne molto corte.
Tutto questo perché non vendono case ma modi di
stare al mondo, vendono estensioni delle nostre
meravigliose e irripetibili personalità. Hanno
riviste specializzate, si intendono nei minimi
dettagli di moda e costume, sanno esattamente cosa è
adatto a ogni individuo che incontrano, sono dei
fini interpreti delle tipologie umane. E, di solito,
hanno anche un gergo segreto, fatto di
real estate,
retail,
due diligence,
disintermediazione
e così via. Ci dev'essere anche una parola per "parcella
in nero" ma io non la conosco.
Una volta era più semplice. L'agente
immobiliare conosceva quasi tutti nel
quartiere o in città, metteva in contatto le persone
tra di loro, consigliava l'acquirente e trattava in
modo da raggiungere un accordo soddisfacente per le
parti, garantiva con la propria presenza l'onestà
della transazione e i termini del contratto,
suggellava come valido quanto detto. Insomma, un
professionista rispettabile e autorevole che
svolgeva una funzione importante. Pochi si sognavano
di atteggiarsi a stilisti dell'esistenza. Mediavano
e trattavano le case per quello che sono: case. Ecco
com'era e come dovrebbe essere anche ora:
Io vi voglio bene,
agenti immobiliari,
abbandonate il lato oscuro e perverso dell'house-lifestyle,
smettetela di armonizzare ciò che non dialoga,
lasciate perdere gli eventi e i
monolocali in Costa Azzurra, false illusioni,
dimenticate gli aggettivi "esclusivo", "raffinatissimo"
e "prestigioso" e gli anni Ottanta tutti
interi, tornate a fare quello che sapete fare:
trattare case. Che la forza sia con voi.
|
Breve ma intenso
viaggio tra qualche Re danese dal bel nome
(901-1137).
In principio fu Olof lo
Sfacciato, il condottiero svedese che
conquistò la Danimarca
in principio del secolo X. Egli ebbe due figli,
Gyrd e
Gnupa, che regnarono
con lui come era costume sulla Danimarca;
Asfrid la
gravida
diede un figlio a Gnupa,
il valente Sigtrygg,
che fu a sua volta re. Il valente
Sigtrygg lasciò il
regno al lieve figlio
Harthacnut, che lo lasciò a sua volta al
venerando figlio Gorm il
Vecchio, che anche da piccolo fu macilento.
Il suo erede, Aroldo I Dente
Blu (Blåtand, oggi lo chiameremmo
Bluetooth), fu re e fu ucciso da suo figlio
Sweyn Barbaforcuta, che
volle essere re prima del tempo. Egli si scontrò
molte volte con Ethelred
l'Irresoluto, lo sconfisse e divenne re d'Inghilterra.
Alla morte di Sweyn
Barbaforcuta, divenne re di Danimarca e
Inghilterra suo figlio, Canuto
il Grande, che fu sconfitto da
Ethelred l'Impreparato
(che tanto impreparato non era).
Canuto il Grande non si
perse d'animo e cercò l'alleanza con
Thorkell l'Alto, il
forte condottiero, e insieme riconquistarono
l'Inghilterra, sconfiggendo
Edmund il Coraggioso.
Canuto l'Ardito, figlio di
Canuto il Grande,
diventò re di Danimarca dopo di lui. Egli non volle
moglie e figli e alla sua morte divenne re di
Danimarca Magnus I Bellachioma
di Norvegia, detto il
Nobile. Egli lasciò il regno a
Sweyn II Estridsson Ulfsson,
che ebbe 19 figli tutti illegittimi: furono re
Harald III Hen, poi
Canuto IV il Santo, poi
Oluf I detto "Fame"
per la grande carestia che colpì il suo regno, poi
Eric il Semprebuono e,
infine, Niels di Danimarca,
tutti figli di Sweyn II
Estridsson Ulfsson.
Niels di Danimarca fu sconfitto dal nipote
Erik il Memorabile, che
a sua volta fu ucciso da suo nipote
Erik III l'Inetto. Era
il 1137. Così si conclude, per ora, la meravigliosa
cronaca di Trivigante il
Pelabroccoli, che osò ridere dei nomi di Re. |
Vocali, vocali,
vocali.
Questa
fine settimana sono stato a un
seminario internazionale
di studio a Trieste,
nel quale ho imparato una cosa importante: "a,
e, i, o, u" in italiano sono dette "vocali",
tutte le altre lettere "consonanti".
L'informazione, di cui non ero in possesso prima, fa
sì che la frase del post qui sotto, "Oslo
ha un bel nome, di solo quattro lettere, che
comincia e finisce con la stessa consonante",
diventi - molto più opportunamente - "Oslo
ha un bel nome, di solo quattro lettere, che
comincia e finisce con la stessa
vocale".
Imparare cose è entusiasmante e io, ora, sento la
conoscenza che scorre forte dentro di me.
A? Vocale. T? Consonante. Z?
Consonante. Le so tutte, ora.
Tornando dal seminario, riflettevo sul concetto di
errore, che può essere di natura varia, tra cui
anche di tipo creativo. Il mio preferito. Per
esempio, mentre guardavo fuori la stazione di
Cervignano, ho pensato ancora alla
Norvegia e mi son
detto: "ma non dovrebbe chiamarsi
Nordvegia?". Promuoverò
un movimento di opinione al riguardo, più avanti,
nel frattempo pensavo che a dire stupidate talvolta
non si va lontani dal vero.
Nordvegia, appunto. E in questo mio cosare di
cervello mi è venuto in aiuto
Gianni Rodari.
Nella sua Grammatica della
fantasia (Einaudi, 1973) parla anche
dell'"errore creativo", che balza fuori
inaspettato e fa partire per tangenti insospettabili
le menti fantasiose. Rodari,
per esempio, spazia anche lui nelle lande del nord
estremo e immagina che meraviglioso paese sarebbe la
Lamponia, se esistesse,
terra di ghiacci che san di frutti di bosco. Che
meraviglia quando le cose appaiono al momento
giusto.
E ora, il migliore esempio di errore creativo di cui
io sia mai venuto a conoscenza (lo racconta
Thompson in
La fiaba nella tradizione
popolare): Perrault,
scrivendo Cenerentola,
arrivò al punto cruciale del ballo, quando la
protagonista inseguendo la zucca perse la scarpetta
e il principe rintronato la trovò, dando inizio alla
grande selezione di Miss Principessa. Bene,
ecco il colpo di scena:
Perrault scrisse che la scarpetta era di "vaire",
che sarebbe una specie di pelliccetta pregiata, ma
il caso era in agguato e un tipografo maldestro
stampò "verre",
di vetro. Mooooolto più evocativo e suggestivo, no?
Da allora, la scarpetta è di cristallo e non di
pelliccetta un po' cafona, per fortuna. Viva gli
errori, dunque, se producono idee migliori e
proseguimenti inaspettati. Viva le deviazioni
improvvise e viva tutto ciò che non è in agenda. |
Le allegre nonché inutili
guide di trivigante.it: cinque pro e cinque contro.
Oslo.
Secondo quello snob di
Enzensberger, lo scopo del turismo è in
sostanza andare a vedere di persona se le piramidi
sono davvero come appaiono nelle cartoline. La
deduzione logica di quello snob di
trivigante, in vena di
turismo, è stata di andare a vedere di persona se il
legno norvegese è davvero buono come si dice ("So
I lit a fire isn't it good, Norwegian wood?").
O, più precisamente, il legno oslota (oslico?
osliano? oslonitico?), visto che sono
stato solo a Oslo. Ne
consegue che questa è una guida sulla sola
Oslo ed è, come al
solito, una guida parziale e tendenziosa, dato che
per il resto oggettivo c'è la
lonliplanet.
Poiché, a due giorni dal rientro, sono ancora preda
di sentimenti contrastanti su
Oslo, ho deciso di sbrodolare questa guida in
dieci punti, cinque pro e cinque contro, così da
essere abbastanza al sicuro da rappresaglie manesche
dell'ente
turistico oslota (oslianico?) e dei
norvegiani tutti.
Pro uno.
Oslo ha un bel
nome, di solo quattro lettere, che comincia
e finisce con la stessa consonante e che,
opportunamente anagrammato, può dare anche "Loos",
"Solo", "Sloo", "Ools" e così via.
Contro uno. Esiste
un indice internazionale per stabilire con
buona approssimazione il grado di benessere
di ogni singolo paese e si chiama
Indice di Prodotto
Interno Lordo pro capite per Parità dei
Poteri di Acquisto (PIL-PPA).
Quello della Norvegia (43.574
dollari nel 2006) è il terzo del mondo,
quello italiano (30.732)
è il ventunesimo. Ne consegue, dati
finanziari alla mano e testati in loco,
che in Norvegia: l'indice
CCS (caffè-cornetto-spremuta,
significativa foto a lato) si attesta sui
dodici euri secchi, quando va bene; il
parametro BSN (birretta-senza-niente)
sui 7,64 euri per una birra bionda pisciazza;
l'indicatore BAVUO
(biglietto-autobus-valido-un'-ora) è a 2,80
euri; il fondamentale indice turistico
CDF (calamita-da-frigo)
si schianta a 6,24 euri; il titolo
PUCPSB (piatto-unico-carne-o-pesce-senza-bevanda)
si flette tra i 17,83 e i 28,01 euri in
ristorante medio; infine, l'indicatore
CDLN (cappello-di-lana-normale),
fondamentale per la sopravvivenza, si
attesta a 26,74 euri. Tutto ciò ha fatto sì
che Oslo, dal
2006 a oggi, abbia fregato a
Tokio la palma
di
città più cara dell'universo. Ora
capisco perché non vogliono l'euro.
Sono davvero molto lieto di averlo scoperto
anche io.
Pro
due. A Oslo ci
sono, insieme, il mare e la montagna,
gamberetti e funghi (foto a lato con
trampolone). Ma la mari-e-monti non l'hanno
inventata loro. E poi non fa freddissimo
perché, come si sa dalle elementari, c'è la
corrente del Golfo.
Contro due. Gli
orari. Questo sarebbe un pro per i
norvegiani ma è un contro per me.
Qualunque luogo, pubblico o privato, museo o
ufficio, chiosco o show room, negozio
di lanterne o di orologi, parcheggio,
chiesa, fruttivendolo, lanificio, armaiolo,
apre alle dieci-undici del mattino e chiude
alle tre o alle quattro del pomeriggio. Non
esiste deroga, tranne qualche centro
commerciale grosso grosso, e il sabato è
anche peggio. La domenica? Non se ne parla,
il luteranesimo della
Chiesa di Norvegia lo proibisce
seccamente. Unica possibilità dall'ora della
merenda in poi: rinchiudersi a bere da
qualche parte, pub o bar, per qualche ora
ancora, oppure andare a mangiare qualcosa
prima che le cucine chiudano (alle nove, in
orario infrasettimanale). Spero d'estate sia
diverso...
Pro-Contro tre. La
Galleria Nazionale di Oslo. Non ho
annotato sindromi di Stendhal alla vista
della pittura autoctona, che pare peraltro
esista da due soli secoli (l'Ottocento tutta
natura e scoperta del Nord, il Novecento -
un poco più interessante - a tratti
espressionista e decadente); le tre sale di
arte non-norvegese, invece, hanno l'aria di
ospitare ciò che sono riusciti a raccattare
tra gli scarti avanzati dagli altri musei
europei (e così, probabilmente, è). E così,
se volete vedere il
Monet più brutto del mondo, un
Van Gogh
dipinto dall'artista a sei anni, un
Dal Piombo
cascato accidentalmente nel fuoco, siete nel
posto giusto. A onor del vero, un
El Greco e un
Modigliani sono
piuttosto belli. E fin qui sarebbe un punto
contro, se non fosse per una
Madonna di
Munch che
riporta il tutto in parità, tanto è laica e
sensuale (a lato). Pari, dunque.
Pro
quattro. Le
navi. Facevano
navi bellissime, dai vichinghi in poi, e ci
andavano dappertutto, come dimostra anche
Amundsen in
tempi recenti. Senza preoccuparsi troppo se
fossero scoperte o troppo piccole,
pigliavano e partivano. Una navona vichinga
a lato, a dimostrazione di questo luminoso
pro.
Contro quattro. Le
statue e i monumenti. Sono pazzi i
norvegiani. Ci sono sculture a ogni angolo
di strada e in ogni parco, tutte
incredibilmente assurde dai significati per
nulla metafisici, anzi. Per documentare
quanto vado dicendo, ho predisposto una
mini-galleria fotografica qui a fianco: un
gigantesco pugno
che esce dal porfido con una
rosa, monumento
che farebbe la gioia della
Bonino; un luminoso monumento alla
tarchiataggine delle
signore avanti d'età (e ho pure il
sospetto che sia una presa per il culo di
tutte le mamme meridionali di fianco largo);
tutto il parco
Vigeland, che contiene 192 statue che
rappresentano tutte le
umane passioni (ne riporto una, in
cui - credo - sia rappresentata la passione
che |
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lui vuole uscire e che lei non
vuole che lui esce con gli amici per una birretta a
dir cazzate); infine, non contenti,
i monumenti se li fanno anche
regalare (l'omino di sassi in fondo è dono
del Canada in nome della reciproca amicizia). Lo
ammetto, questo non è un vero contro, almeno
non del tutto. Meglio Garibaldi o la vecchia
inquartata? Meglio il monumento ai caduti della
Grande Guerra o l'omino di sassi che vive
nell'onestà? In effetti, la questione è aperta.
Pro-Contro cinque. Gli
osliani sembrano tutti buoni e sono, sul serio,
piuttosto gentili, cordiali e molto rispettosi. Sono
anche discretamente belli, le donne molto più degli
uomini. E fin qui il pro. Il contro è
che non parlano molto. Cioè, sono socievoli quanto
un alce nei boschi: da lontano tutto va bene, a
primavera sorridono nei prati, da vicino non c'è
verso di scambiare più di due parole di circostanza.
Enzensberger, sempre
lui, quando andò a vivere in Norvegia, vi rimase
alcuni mesi e furono mesi terribili, dato che
racconta di non essere riuscito a stabilire nessun
tipo di colloquio permanente con un abitante del
luogo (credo ne parlasse in "Ah
Europa!", a memoria). Nel dubbio che
fossi io a stare sui maroni ai norvegiani, decreto
un altro pareggio, si sa mai. Però non ho mai visto
due osliani parlare per strada o un manifesto di una
conferenza o un seminario qualunque. Comunque, l'Urlo
l'han dipinto loro, mica io. Forse è la poca luce.
Ora, in conclusione di questa guida,
l'unica informazione utile:
l'indirizzo di una
affittacamere che, con il senno di poi, si è
rivelata economicissima e veramente gentile, perfin
ciarliera per gli standards.
Fatene buon uso, come delle mie foto e, magari, se
proprio proprio, andate d'estate. |
Io tengo per
Meucci.
In
breve: quei cretinetti di
Google ieri hanno messo
la faccina di
Bell sulla homepage, celebrandolo quale
inventore del telefono. Non è così, ovviamente,
perché il telefono l'ha inventato
Meucci, il quale, vivendo in estrema indigenza,
non poté depositare il brevetto, perché gli toccava
prima mangiare. Dopo un secolo, è un
fatto.
Bell ebbe onori e
trionfi, il povero Meucci
se ne andò anche a Cuba, pur di lavorare, e perse
anche la causa che intentò a
Bell, per mancanza di soldi e di un'adeguata
difesa. Ora, la domanda retorica: a chi tra i due va
la preferenza di trivigante? A
Meucci, manco a dirlo, e mica per ragioni di
campanilismo. Viva Meucci.
Infatti, si dovrebbe dire "please ring the meucci"
e non "please ring the bell", ingiustizia
canaglia. E se la storia avesse un senso della
giustizia, Mike Olfield
avrebbe suonato "Tubular
meuccis", mica quell'altra
roba.
Di tutta questa faccenda se ne è accorto
gimmi che ha lanciato l'idea del "Meucci
blog day": il 13
aprile, domenicaccia di elezioni, si
celebrerà la festa di Meucci
e chi ha un blog aderirà postando parole d'onore per
l'inventore dell'ET-telefono-casa. E a
Bell nemmeno una fetta
di torta, che ne ha già avute tante. |
Due enti pubblici
interessanti del Ministero della Difesa: una
proposta.
Arturo Parisi, ministro della Difesa del defunto
governo Prodi, al momento della stesura dell'ultima
finanziaria, quando gli venne chiesto - come a tutti
i ministri - di dare un corposo taglio alle spese
pubbliche per gli enti inutili,
fece il diavolo a quattro non solo per mantenere
intatta la spesa del suo (?) ministero ma, anche,
per mantenere vivi e vegeti alcuni enti pubblici
interessanti.
La ragione di tale squisita sensibilità è forse da
ricercarsi nel suo cursus studiorum, che lo
vede diplomato alla Scuola
Militare Nunziatella di Napoli (peraltro
fondata da un suo parente) oppure, forse, per le sue
vicende familiari, non saprei, fatto sta che fece un
gran casino pur di non sopprimere, per esempio,
l'O.N.F.A.,
che sarebbe l'Opera Nazionale
per i figli degli Aviatori; gli orfani in
questione, ne dichiarano circa 350, vengono
fatti studiare e, cito, "dimostrano amore per la
divisa azzurra e un notevole spirito di corpo; sono
molto benvoluti e seguiti con particolare simpatia
nell’ambiente scolastico di La Spezia". Stesso
attaccamento per l'U.I.T.S.,
Unione Italiana Tiro a Segno,
ente fondato nel 1861 per "coordinare
l'addestramento all'uso delle armi da fuoco dei
giovani delle nuove regioni
annesse
al Regno d'Italia". Sono esempi, naturalmente,
la lista degli enti pubblici ridicoli è molto lunga,
qualche sibilla mormora siano trecento (cito per
bellezza intrinseca l'"Opera
Pia per la Cura Balneare Marina" di Milano e
il "Consorzio Idraulico di
Terza Categoria per i Corsi d'Acqua" di
Bergamo); gli è che oggi mi andava di sbuffettare
Parisi ed eleggerlo a
emblema di uno stato di cose. E non dico nulla sul
fatto che sia membro del
Comitato nazionale per il PD...
La cosa buffa è che esiste un ufficio apposito per
gli enti pubblici inutili, disciolti e cadaveri
putrescenti: l'I.G.E.D.,
Ispettorato Generale per gli
Affari e per la Gestione del Patrimonio degli Enti
Disciolti, poi confluito nell'ufficio V dell'I.G.I.C.S.,
Ispettorato Generale per
l’Informatizzazione della Contabilità di Stato,
dipendente dalla Ragioneria di
Stato. Costume italico permanente: costituire
uffici per la risoluzione dei problemi secolari i
quali, invece che sbrogliare, cristallizzano e
sanciscono a tempo indeterminato la situazione di
emergenza. Rimando per questo a una sostanziosa
puntata di Report.
La situazione ha aspetti paradossali, esempio:
quanti dipendenti ha l'I.G.E.D.?
Trecento. Quasi un dipendente per ente inutile, vien
quasi da immaginarli come pubbliche badanti
premurose per enti che paiono morire ma non
schiattano mai, anzi. E Parisi
uguale, tanto premuroso anche lui.
Lancio una proposta per la riduzione di uno tra
O.N.F.A. e
U.I.T.S.:
che ne direbbe, signor Parisi,
se ai tiratori dell'U.I.T.S.
facessimo sparare agli orfani dell'O.N.F.A.?
I classici due piccioni-piattelli con una
fava-proiettile. Ma non se ne farà nulla. Putroppo,
si sa, quando sono al governo diventano
irragionevoli e sordi alle buone proposte, anche
quando ne hanno una davanti al naso... |
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