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2006 |
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Trentaquattro.
Ancora una volta il
28 maggio,
ancora Brescia,
ancora Piazza
della Loggia, ancora le stesse persone,
quelle morte e quelle vive. Purtroppo per le prime,
per fortuna le seconde non abbandonano.
Ma oggi no, oggi è un pochino diverso, perché a
Brescia, per la prima volta dal 1948, c'è un sindaco
di destra, pidiellino forzitaliota che passa per
scemo persino negli ambienti locali della sua
corrente di partito, cioè tra gli amici, suppongo.
Inoltre, la maggioranza amministrativa gode della
protezione della maggioranza politica, per cui la
domanda che si pone il neosindaco è:
a Roma dicono che
devo andare sul palco? Sì, caro, dai, sali
sul palco, tanto si tratta di dire le solite due
cose, non importa a nessuno.
C'è
un altro fatto nuovo, però: a novembre, il 25,
nuovo processo
per la strage di piazza della Loggia. Sepolti tutti
gli altri processi sulle grandi stragi, le inchieste
(2) e i processi (8) bresciani hanno seguito la
stessa medesima strada, nulla di nulla con una bella
scia di morti strane o annunciate. Ora, però, si
allarga il parco degli imputati, su tutti Zorzi,
Maggi, Rauti e il generale Delfino. Massone, quest'ultimo,
vicino ad Avanguardia Nazionale, coinvolto in modo
anomalo in parecchi sequestri, se lo stomaco tiene
ecco
un buon profilo del sinistro figuro.
In piazza, devo dire, si respira una qualche nuova
speranza, si tiene duro e ci si fa coraggio piu' del
solito, si spera nella verità giudiziaria, ancora,
che è un po' l'unica cosa che resta, a meno che non
si decida di andare a prendere gli imputati a
sprangate, tanto per seguire l'andazzo
fai-da-te.
Ci si stringe un po' di piu', come sempre accade
quando vince Berlusconi, e le facce sono speranzose,
un processo che si spera sia davvero un processo.
Nessuno si fa illusioni, nessuno crede alla favola
del giudice buono che sconfigge i poteri maligni,
per quello c'è la
fiction su raiuno, di fatto però ci si crede,
almeno un pochino, si nega ma sotto sotto si prova a
sperare, davvero, che una volta,
una, le cose
prendano il verso giusto e seguano logica e
rispetto, almeno per strappare il minimo, una verità
giudiziaria inconfutabile, quindi storica.
Sarà che nessuno ci credeva più, sarà che ci si
attacca a tutto e che ci mancano i compagni, le
facce sono più solidali, i morti delle stragi sono,
oggi, più importanti di qualunque governo, si
respira un'aria buona, migliore dell'aria degli
ultimi trentatre anni, in questa piazza. Si prova
anche a sorridere, oggi.
Non succederà l'impossibile, ma se non ci si fa
vedere e non ci si stringe forte, allora è già
finita.
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D'amor e di goder
vi si ragioni.
Ben venga maggio, dice il poeta,
e vi si ragioni d'amor e di goder: cosa che, nel mio
minimo, ho fatto, facilitato dalla lunga
peregrinazione in luoghi belli cui è stato facile
voler bene.
Ora son tornato, la coda di maggio porta con sé la
vita che ha rifatto capolino vigliacca, niente
pause, proponendomi in rapida sequenza una visita
dal dentista, che odio essendo lui un sadico
nazista, e la dichiarazione dei redditi, è la fine
di maggio. Buffa cosa quest'ultima, non avendo
attualmente un reddito, dover rendere conto di un
capitolo lavorativo che ho fatto una certa fatica a
chiudere e che ora mi torna fastidioso tra i piedi.
In ogni caso, dovendo come ogni anno procedere alla
selezione dei meno peggio, anche quest'anno l'ottopermille
va agli adoratori della grande Pastiglia, che son
più simpatici e umili di tutti gli altri. Se non si
sceglie, novanta su cento che se li becca la Romana
Chiesa, famelica come sempre di elemosine e
donazioni.
Mi è stato fatto divieto assoluto da parte dei miei
congiunti di procedere a lamentazione di qualsiasi
genere, ben sapendo che io sarei sceso dall'ultimo
treno con un bell'elenco di rimostranze da
indirizzare - letteralmente - a destra e a manca,
forte del commento di qualche giorno fa della
Presidenza del Parlamento Europeo all'indirizzo di
La Russa, fratello parlamentare: "Non siamo al
Parlamento italiano, qui". Stava cercando la
rissa, La Russa.
Comprendo, non procederò, anche se un po' mi viene.
Come posso non dire che l'unico treno tutto bello
lurido con i vetri opachi cosparsi di caramello è
stato il Monaco-Brennero-Verona, ovviamente FS e non
DB? Son quisquilie, lo so, non mi lamento.
Sarebbe anche ingiusto nei confronti di tutti coloro
che son rimasti qui e che mi hanno seguito passo
passo, mi hanno sostenuto, consigliato, commentato
in questo mio breve girolo, e che hanno dovuto
sostenere, nel contempo, anche le meravigliose
espressioni creative di questo paese.
Vi ringrazio di cuore, davvero, è stato molto
gratificante per me avere la vostra costante
compagnia, giorno per giorno, grazie.
Non so cosa riuscirò a fare di questo spazio, se
tornerà quello che era, di certo un fatto: da quando
sono tornato, sarà la stabilità, sarà l'afa, sarà il
mangiare, le parole mi si sono un pochino seccate,
non ho più la grande fortuna di poter camminare dal
mattino alla sera pensando ai fatti del giorno,
osservando senza pensieri, potendomi preoccupare dei
soli mangiare, dormire, scribacchiare,
internet-point verso sera, eventualmente. Dobbiamo
rifarlo, a breve. Chissà quante copie non ancora
scoperte di libri della Tamaro o chissà quanti
commenti improvvidi nei musei del mondo, chissà
quanto sole e cielo azzurro mi sto perdendo in
questo esatto momento, chissà quei tramontisti
fortunelli che si stanno guardando il sole che cala
sulla Duna du Pyla...
Pensieri che non aiutano, adesso, meglio
concentrarsi sul presente: vado subito a comprarmi
il diario erotico e spettegolo di Rita Rusic,
Jet Sex, per ripigliare il punto.
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La tecnica al
servizio di io.
Osservo un
depliant in cui
l'ultraprincipessina
Gloria di
cognome Thurn
und Taxis mi invita nella sua modesta magione
di Regensburg
(Dieta) ad ammirare la sua collezione di
sbrillocchi grandi come cocomeri e a respirare un
po' d'aria nobiliare come si deve. Non che la cosa
non mi si addica, ho anche fruito di una doccia
piuttosto di recente e, modestamente, ecco e' vero,
avrei anche un certo savuarfer a tavola
finche' si sta al di sotto delle otto forchette,
pero' gira e rigira cotesti aristocratici mi vengono
un po' a noia, a forza di limoncelli in veranda.
Peraltro, sua ultraltezza non si nasconda, la
famiglia fece gran fortuna con il servizio postale -
e questo e' un merito, mi sdilinquisco per la posta
- ma ebbe le sue origini professionali nella
riscossione delle tasse (Tassi, Taxis nomina
sunt...). Il che potrebbe anche andarmi bene,
cara Gloria, se non fosse che lo facevate a Bergamo
e io, come dire, avrei una qualche riserva al
riguardo, oltre al fatto che il potenziale
aristocratico un poco va in diminuzione.
La ringrazio dell'invito e mi dileguo, anche perche',
la ragione sostanziale, ho un treno per
Monaco.
Baviera, ovviamente. Vorrei portare un omaggio a
Sophie Scholl
e a tutta la Die Weiße Rose, un poco di
fretta, perche' domani torno a casa.
Se l'idea di questo viaggio era scorrazzare libero,
ebbene l'ho fatto. Se l'idea era rimettere insieme
qualche pezzettino dopo la disgraziata conclusione
lavorativa, direi che qualche passo in avanti l'ho
fatto. Se lo scopo era mangiare ogni cosa mi
trovassi davanti, missione compiuta con onore,
gnam. Se lo scopo era ricominciare ad arrivare
a sera devastato fisicamente cosi' da non lasciare
spazio a pensieri inconcludenti, direi che ci sono
abbastanza riuscito. Se lo scopo era ammirare cose
belle, ebbene questo e' stato fin troppo facile. Ora
credo sia di nuovo tempo di cambiare e di affrontare
due o tre cosine.
Questo non e' un
epilogo, gli epiloghi - varii - ci saranno
poi, come le grandiose sintesi di pensiero e i
ventiquattro volumi dell'opera omnia in
edicola a uneuroenovanta. E' una specie di
comunicazione di servizio, cosi' come ho documentato
fin dall'inizio ogni tappa. Anche per i
ringraziamenti, che devo e che urgono, ci sara'
tempo. Anche per consegnare i sottocoppa in peltro
che ho acquistato per ognuno di voi ci sara' tempo e
luogo.
Piuttosto, approfitto di oggi per affrontare una
questione di una certa rilevanza cui ho pensato fin
quasi dall'inizio e che si e' strutturata pian piano
nel corso del viaggio, spiegomi: l'epoca dei miei
grandi viaggi scapestrati risale a sette-diciotto
anni fa, piu' o meno, dopo di che ho fatto altri
viaggi ma in modo abbastanza diverso, l'eta' avanza
impassibile e poi dal Berlusconi II io non sono
stato piu' lo stesso. Fino a questo viaggio. Siccome
sono un ragazzo perspicace, da allora ho notato la
comparsa di
mezzi e strumenti, piu' che altro di tipo
tecnologico ovviamente, che hanno cambiato un po' la
vita ai viaggiatori con zaino. Non sempre
migliorato, cambiato.
Modeste considerazioni, neh, che vorrei
condividere qui. Procedo.
Vacua
classifica delle cose per viaggiatori che prima non
c'erano e ora ci sono.
1) vincitrice assoluta e indiscussa della
competizione e'
la lavanderia automatica. Non solo non devo
piu' farmi la doccia vestito per fare il bucato ma,
con due-tre euri spesi che meglio non saprei, posso
gettare lo zaino intero senza aprirlo in una vorace
lavatrice, bearmi per qualche decina di minuti,
ripetere con l'asciugatore e vuala', come
fossi appena partito. Grazie, o inventore della
lavanderia automatica, la luce splenda su di te per
sempre.
2) ovviamente
internet,
posta elettronica,
blog,
internet points
etc. Le ragioni sono ovvie; oltre a quelle, senza la
rete per far funzionare questo blog avrei dovuto
scrivere una lettera identica a ognuno di voi, poi
aspettare fermo gli eventuali commenti in risposta,
ognuno dei quali avrei dovuto fotocopiarlo e
reinviarlo in copia a ognuno di voi, in attesa di
ulteriori comunicazioni. Non impossibile, ma cosi'
e' stato un pochino piu' comodo.
3) le
macchinette automatiche per i biglietti ferroviari.
Un'altra grande invenzione, ho passato dei
bellissimi momenti a giocare con le macchinette
nelle stazioni, immaginando ogni tipo di connessione
ferroviaria, inventando combinazioni di orari ai
confini del reale, ho comodamente verificato la
possibilita' di spostamenti e acquistato di
conseguenza biglietti di mio gusto, senza sfiancare
gentili venditori di biglietti allo sportello e
viaggiatori alle mie spalle. Qualche distinguo: le
migliori? In Germania, si possono anche acquistare i
biglietti di bus e metro delle citta' di
destinazione, insieme al biglietto del treno,
prodigioso. In Francia, le macchinette prendono solo
le carte di credito ma non tutte, solo quelle con il
cacchiochip maledetto, quindi mi sono state
precluse, la tessera sanitaria non la accettano.
Utili, comunque, per tutte le altre procedure che
non siano l'acquisto materiale, funzionano bene. In
Cechia meglio lasciar perdere, sono solo in lingua
locale e funzionano con i loro soldi, almeno fino al
2012.
4) bancomat
e carte di
credito (variante lusso): non che dieci anni
fa non esistessero, ero io che non avevo il conto
corrente, quindi inserisco comunque in classifica.
Che godimento non dover partire con piccole mazzette
di soldi contati distribuite tra calze, mutande e
ridicole finte cinture con la zip, oppure
con carnets di travellers' cheques
da proteggere piu' della propria stessa vita.
Peraltro, i travellers' cheques non li
piglia proprio piu' nessuno, a volte le banche
nemmeno li emettono, non puntate su quelli. Certo,
questo quarto punto non e' esente da
controindicazioni, e' vero, ma in sostanza e' un
cambiamento notevole.
5) le macchine
fotografiche digitali. Tranquilli, non vi
invitero' a vedere le diapositive una sera a casa
mia, quello che c'e' nel blog e' sufficiente. Si
puo' anche fare a meno delle fotografie, evidente,
ma nel suo genere la macchina digitale e' una
comodita' mica male. Quante volte sono partito con
zaini ripieni di rullini, disperatamente da 36 pose,
compresi i maledetti scatolini con tappino di
plastica, un disastro, e poi vogliamo mettere il
salasso dall'omino delle fotografie al ritorno per
acquisire documentazione scadente al novantacinque
per cento?
6) gli avvisi
del capotreno in treno. Ormai anche sui
locali, finche' non e' la mia fermata sono una gran
rottura di balle ma, ooooh, quando e' la
mia grazie di esistere, amico capotreno, iu ar
de sainsciain ov mai laif. Mi sono evitato
numerose spalmature sul vetro cercando di leggere
cartelli in decelerazione, pronto a zompare al volo
giu' dal treno. Esiste anche una versione ulteriore
e migliore, in Germania su tutti i treni, vale a
dire il pannello elettronico che devi solo leggere e
confrontare le parole. Non potrei desiderare di piu'.
7) le Poste.
Non che non esistessero prima, chiaro, ma ora sono
davvero un'altra cosa: spedire pacchi a poco costo,
ricevere pacchi o altro, servizi vari, vaglia,
davvero comodissime. Io in questo viaggio ho
raccattato parecchie e cose e, con spese modeste, ho
man mano spedito a casa, liberandomi non poco. Onori
e trionfi sulle poste, anche ceche, stavolta.
8) delle
audioguide ho gia' detto in precedenza,
pollice verso.
9) ultimo viene il
telefonino.
Il maggior pregio? Avere la sveglia, fatto da non
sottovalutare quando si vive praticamente in treno e
in bus. Certo, poi comunicare con la morosa e far
sapere di essere vivi, chiaro, ma la sveglia vince.
Non necessario, comunque, calcolare anche il
caricabatterie in piu'.
Inoltre il telefonino degli altri scassa.
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Ho perso il rumeno.
Da
Bamberga
la direzione e' quasi obbligata per
Regensburg,
Ratisbona
in lingua non germanica, per chi come me si e'
piacevolmente sorbito qualche esame di storia
moderna. Un'eredita' indissolubile di quegli esami
sono alcune reazioni pavloviane che
portero' sempre con me: a sentire la parola "Ratisbona"
io senza pensare dico: "Dieta". Non che
vada molto oltre, si tratta di un riflesso indotto.
Concilio? Worms o Trento.
Dieta? Ratisbona, non posso piu'
farci nulla, e' cosi'. Alessandro VI?
Borgia.
Comunque, mi aggrego ai passeggeri del locale
espresso per
Ratisbona (Dieta) via Norimberga e
cerco di non pensare alla parola "Ratisbona".
Dieta. Dopo un'ora, causa non so cosa, ci fanno
scendere in un ameno paesino della provincia
francone di cui non so nemmeno il nome, forse
Eggolsheim, boschi bellissimi, e in qualche modo mi
fanno capire che devo prendere un autobus.
Eh no, care le mie
DB, questo non e' da voi, non siamo
mica in Italia, qui. Prendo l'autobus che ovviamente
non va a Ratisbona (Dieta) ma ferma prima,
in altro ameno paesino ignoto.
Mentre attendo il secondo autobus, pare quello
risolutivo, faccio due chiacchiere con
Kostel,
rumeno ciacolone che viene da
Costanza,
sul mar Nero, e fa un lavoro interessante, poiche'
ha una piccola chiatta e fa la spola tra Costanza e
Rotterdam, duemila chilometri, portando merci.
Io a Costanza ci sono stato, volevo vedere dove
avessero spedito il povero Ovidio, glielo dico, lui
e' tutto contento, parliamo della Romania, di
Cluj-Napoca, di
Sibiu, la citta' piu' tedesca tra le citta'...
romene, parliamo dell'Italia e, lo sapevo, degli
Europei di calcio, venerdi' 13 Italia-Romania. E'
una compagnia piacevole, anche lui va a Regensburg (Dieta).
Carichiamo le borse sul pullman e confrontiamo le
nostre diverse posizioni: la mia, egocentrica,
prevede che io non paghi ulteriori biglietti, avendo
gia' pagato quello del treno da cui mi hanno fatto
scendere; la sua, legalista, prevede comunque di
pagare il biglietto del pullman (un rumeno
legalista, questa e' per Maroni). Cosi' scende per
fare il biglietto alla macchinetta, moralmente
vincitore su di me.
Ovvio, a questo punto, che succeda cio' che non deve
succedere: il pullman parte, lo vedo al di la' del
vetro sbracciarsi ma l'autista germanico non fa una
piega ai miei richiami. Ooops.
Senza alcuna mia richiesta, vengo improvvisamente
nominato custode
morale delle valigie del rumeno disperso
nella campagna germanica. Una valigia, un sacchetto
pieno di roba, una borsa che ha tutta l'aria di
essere un portatile.
Sono molto orgoglioso di me, penso. Io non solo non
perdo i miei bagagli, ma ne acquisisco di nuovi.
Bravo me. Mmm, chissa' se il portatile ha la scheda
wireless...
Occhei, ci vuole una strategia: devo pensare
come un rumeno. Tolgo la cera, metto la cera,
penso come un rumeno del mar Nero. Penso. Penso, la
mia mente sta mutando, ho quasi voglia di Ciorbă...
Non e' vero, non riesco nemmeno a pensare come un
veneto, figuriamoci come un rumeno. Pero', posso
pensare come un viaggiatore e c'e' una soluzione
sola: la
stazione dei treni.
La stazione dei treni per chiunque non viaggi in
macchina e' il fulcro di tutto, il centro del cibo,
delle informazioni, della sopravvivenza tout
court, a volte ci si dorme pure, si fanno
incontri, ci sono gli internet point, i bagni
soprattutto, si vedono piu' stazioni che chiese
gotiche, a girare con lo zaino. Bisognerebbe fare
una guida turistica alle stazioni ferroviarie, sul
serio.
Con
il mio fardello morale di sacro custode e con il
fardello materiale del doppio bagaglio, approdo a
Regensburg (Dieta), mi piazzo alla stazione
e aspetto. Se il rumeno pensa come un italiano in
gita, mi trovera' di sicuro. La stazione ha anche un
altro, poderoso, vantaggio: alla peggio, dovrebbe
avere un ufficio oggetti smarriti. Le ho proprio
pensate tutte.
Non serve, dopo un paio d'ore appare
Kostel,
raggiante, ha pensato come un
italiano-che-non-riesce-a-pensare-come-un-rumeno e
mi ha trovato, non smette di stringermi la mano e di
ringraziarmi. Per sdebitarsi, mi invita a salire
sulla sua chiatta, che si trova qui a Regensburg (Dieta),
e andare con lui fino a Costanza, percorrendo tutto
il Danubio fino al Mar Nero.
Amico, tu mi vuoi ingolosire.
Non accetto, io ormai sono sulla via di casa e una
lieve deviazione per il mar Nero non e' nei miei
piani attuali, anche se avrebbe potuto essere
divertente. Lo saluto, insiste per scambiarci i
numeri, dice che non si sa mai, e io me ne vado,
tutto tronfio per la versatilita' del mio
rumeno-pensiero, perche' io i rumeni li
aiuto, un vero eroe. Italia salva Romania, si dica
domani sui giornali.
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La sintesi, dopo
l'analisi.
Ci sono giorni nei quali le gambe
viaggiano da sole, potrei camminare all'infinito, lo
zaino non pesa, anzi; altri giorni, invece, per un
qualche motivo inspiegabile, fin dal mattino le
gambe son di legno e il cuore di stagno, burattino,
e faccio piu' fatica a camminare, sento dolorini qua
e la' dovuti ai chilometri percorsi, ho la netta
sensazione che qualche burlone mi abbia introdotto
delle pietre nello zaino, le strade hanno una
pendenza costante a mio sfavore.
Oggi e' una giornata di quelle, un po' perche'
piove, un po' perche' ho commesso un errore fatale,
abbandonandomi alla lussuria, ieri sera, dell'enorme
coscia di maiale bollita con crauti e
kartoffelnsalad. Errore madornale, aggravato
anche dalle due birrone necessarie a far scendere il
maiale nelle mie fauci. Gia' stanotte ho
sperimentato il vero significato della parola
arsura, il mio regno e anche i regni degli
altri per dell'acqua, molta acqua, presto. Oggi,
bonjour finesse, diciamo che piu' di una volta
ho dovuto cimentarmi in complicate divisioni a tre
cifre che hanno richiesto tutto il mio impegno e
concentrazione in luogo riparato. Quale
eleganza, conte, il cognac e' servito nella sala
della biblioteca...
Un
poco instabile giungo a
Bamberga,
piccola citta' ma non bastardo posto, ricca di
canali e ponti, richiama in qualche modo Bassano del
Grappa, come suggeriscono anche alcune fotografie
nei caffe'. L'acqua permea e lambisce quasi tutta la
citta', un quartiere sul canale e' detto Piccola
Venezia, al punto che in
Neumarkt
troneggia una fontana di
Nettuno,
con un bel forcone tutto d'oro, prima volta che vedo
una cosa cosi' in Germania. Compio le mia visite di
ordinanza con diligenza, porto i miei saluti a
E.T.A. Hoffmann,
i miei rispetti all'Imperatore e alla sua consorte,
Cunegonda,
poi santa, niente a che vedere con Voltaire.
Dopo di che, vista la pioggia e la mia opacita'
evidente, testo ancora una libreria,
Görres,
in
Grunermarkt. Tagliamo la testa al toro
fin da subito, meglio: la
Tamaro
c'e', due copie della solita sbrodolata, inutile
farsi illusioni, mi rassegno. Stessa cosa per
Eco e
Baricco,
si confermano i risultati del test di
Dresda.
Una novita' interessantissima, rispetto al catalogo
di autori italiani visto finora:
Familienlexicon di
Natalia Ginzburg,
e questo mi fa felice. Siccome ogni medaglia ha il
suo rovescio, trovo in scaffale anche
Uberleben in
Italien di
Severgnini,
con mio dispiacere.
Attaccati al filone,
Milena Agus
con Die frau
im Mond e tale
Luigi Brogna
con Spätzle
al dente, amena storia della sua
famiglia di origine siciliana. Immagino come ne
usciamo bene, 135 pagine di luoghi comuni. I luoghi
comuni sugli italiani vanno bene, a patto che siamo
noi a proporli e questo Brogna mi sa di tedesco
figlio di italiani. Quindi, non va bene, augh,
ho detto.
Ma non e' finita qui, visto che di fronte vedo
Hübscher,
altro libraio altro giro: sono travolto,
letteralmente, da sedici titoli diversi di
Camilleri,
sono annichilito, tutti in economica, due copie di
Tomasi di
Lampedusa e la solita, maledetta, infamona,
Tamaro,
una copia. La odio piu' di prima, che era gia'
parecchio. Infine, due titoli di autori dal nome
decisamente italiano:
Ein tag in der
Toskana di
Dario Castagno
e Ciao ciao,
Amore (sic) di
Alessandra
Appiano.
La mia analisi scientifica del fenomeno letterario
italiano in Germania giunge dunque a una
considerazione praticamente definitiva, anzi due:
produciamo letteratura di scarto da almeno
venticinque anni, e questo lo sapevo gia', in Italia
e all'estero, cio' nonostante - e questa e' la
seconda - i germanici non capiscono un accidente di
letteratura italiana.
E' quasi una petizione di principio, lo so, ma
perdio, almeno un volume del sommo Ugo Iginio
Tarchetti o, in alternativa, dell'immortale Ippolito
Nievo, lo vogliamo tenere in queste benedette
librerie?
|
|
Il processo.
Sono qui, emozionato, per vedere
l'aula, volevo essere fisicamente qui.
Non e' possibile ora, perche' la corte e' riunita,
bisogna aspettare. Mi siedo fuori e fantastico un
po', non mi aspettavo che la utilizzassero ancora,
chissa' perche' immagino sempre che certi luoghi
simbolici debbano per forza diventare dei mausolei
dedicati al ricordo. Non e' cosi', non e' stato
cosi' nemmeno per Reichsparteitagsgelände,
non lo e' in Italia, non lo e' qui.
E allora mi immagino che effetto faccia finire sul
banco degli imputati, su quel banco degli
imputati, magari per furto d'auto o di galline,
verra' per un momento - mi dico - il pensiero che il
giudice stia per emettere una sentenza di condanna a
morte... no, forse non fa alcun effetto, chissa',
non credo rubero' una gallina per saperlo.
Poi mi fanno entrare,
aula 600,
secondo piano, l'aula del
tribunale penale
di Norimberga. L'aula del processo.
Ventiquattro imputati, tra cui
Bormann,
Göring,
Rudolf Heß,
von Ribbentrop,
Dönitz,
von Papen,
Speer,
Streicher
e, fatto inusuale fino ad allora, furono messe sotto
accusa anche le principali organizzazioni del
Terzo Reich,
come SS e
SA. La
corte era una corte militare, per la prima volta
internazionale, i capi di imputazione quattro.
E'
qui, ci sono, fortunosamente sono solo, ecco il
banco degli imputati, il banco
fotografato mille volte, lo fotografo
anche io, ecco la mia foto, poi il banco della
corte, l'aula e' piu' piccola di come me la
immaginassi, hanno spostato l'orologio e ricostruito
la parete di fronte alla corte, che abbatterono
durante il processo per ammettere i giornalisti.
Mi fa davvero effetto essere qui, fu un processo
difficile e coraggioso, per molti versi, che mise
alcuni punti fermi del diritto penale internazionale
e stabili' verita' processuali indiscutibili, da
allora. I russi spinsero moltissimo perche' il
processo si svolgesse a Berlino, inglesi e americani
ottennero di organizzarlo a
Norimberga
per varie ragioni: il palazzo di giustizia non era
stato toccato dai bombardamenti, era molto capace e
aveva una prigione interna; inoltre, Norimberga
ricadeva nell'area controllata dagli Stati Uniti.
Ultimo fatto, non indifferente, si processava lo
stato maggiore nazista proprio nella citta' di
elezione, la Norimberga dei Reichsparteitag,
la piu' tedesca delle citta'.
Dal 20 novembre
1945 al 1
ottobre 1946 furono sentiti migliaia di testi
e furono esaminati centinaia di migliaia di
affidavit e di documenti, furono interrogati
gli imputati in contradditorio, piu' di mille
persone
furono
coinvolte nell'organizzazione e svolgimento del
processo. E' bellissima la fotografia della sala
delle stenografe, tutta coperta di fogli.
Dopo gli interrogatori e alla fine del processo, con
la chiarezza e la semplicita' che contraddistingue
gli avvocati anglosassoni, il procuratore capo
Robert Jackson,
al momento della richiesta delle condanne, riassunse
la struttura del
Terzo Reich
secondo quanto aveva sentito dagli imputati,
sintetizzo: il numero due del partito non era a
conoscenza dell'esistenza di un piano di sterminio e
della sua messa in atto, pur avendo firmato almeno
venti provedimenti in merito; il Ministro
dell'Interno del governo Hitler, pur avendo
promulgato le leggi razziali non le aveva lette; il
Segretario del partito nazista svolgeva funzioni di
postino, trasmettendo comunicazioni che non leggeva;
il Plenipotenziario del programma di sfruttamento
del lavoro dei prigionieri pensava che li mandassero
a lavorare in fabbriche come operai qualunque.
Un Terzo
Reich gestito da idioti, stando alle
testimonianze degli imputati, la cosa era
evidentemente senza senso e dodici imputati furono
condannati a morte, tre all'ergastolo, altri a pene
minori, le organizzazioni riconosciute come
criminali, fondando i presupposti per i processi
successivi. Non si era ancora giunti ai processi
alle seconde linee, quelli che scelsero la linea di
difesa "obbedivo a ordini superiori", in
questo caso erano i capi, non obbedivano agli ordini
di nessuno se non di Hitler, finsero di non sapere,
vigliacchi fino alla fine.
Un imputato interessante, che rappresentava la
categoria degli industriali che trassero enormi
profitti grazie al nazismo:
Gustav Krupp von
Bohlen und Halbach, industrie pesanti
Krupp,
metallurgia e cannoni, rimanda direttamente a
Luchino Visconti e a fatti italiani piu' recenti.
Non fu giudicato per ragioni di salute, il figlio fu
condannato a dodici anni e al sequestro di tutti i
beni, il fatto mi fa pensare, ancora.
Non tutto ando' come avrebbe dovuto, il suicidio di
Göring in
carcere per esempio, alcuni aspetti sostanziali sono
ancora in discussione oggi, non potrebbe essere
diversamente, data la portata e le conseguenze del
processo; nonostante tutto cio', sono contento di
essere qui, oggi.
|
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Questo non è
delirio.
Oggi la giornata e' interamente
dedicata al primo motivo per cui sono venuto a
Norimberga:
Reichsparteitagsgelände. La parola
iper-multisillabica indica una zona a sud-est di
Norimberga
che venne utilizzata dal partito nazista per i
propri raduni dal
1927 al
1938.
A questo punto, la premessina storica e' d'obbligo,
avendo io seguito attentamente per quattro ore le
didascalie del Dokumentationszentrum, posso
offrire una sintesi minima.
La scelta di Norimberga aveva motivi di ordine
pratico, la Franconia era un feudo
nazionalsocialista e gli amministratori locali
guardavano con simpatia all'ascesa del partito,
disinteressandosi del divieto imposto a Hitler di
parlare in pubblico e della sua condanna a seguito
del putsch di Monaco; inoltre, sfilare a
Norimberga suggeriva una certa continuita' con il
Sacro Romano
Impero, il primo
Reich,
che riuniva qui le sue Diete e aveva nel castello
della citta', costruito da Barbarossa, la sede
amministrativa e giuridica dell'Impero.
Gia' nel 1927 e nel 1929 le SS organizzarono due
raduni a Norimberga in una zona chiamata
Luitpoldhain,
una grande arena in cui Hitler mise in scena il
culto dei martiri caduti a Monaco e il culto della
propria personalita'. Fu sostenuto da un giornale
locale, Der
Stürmer, dai toni violenti e antisemiti,
e dal capo della polizia locale. Dal 1933 i raduni
diventarono annuali e dal 1934, anno in cui - con la
morte di Hindenburg - Hitler assunse le tre cariche
piu' importanti (presidente, cancelliere e capo del
partito di stato), fu affidato a
Speer un
progetto faraonico per la costruzione di una
struttura complessiva capace di contenere i raduni
oceanici del partito nazista.
"Il trionfo
della volonta'" di Leni Riefenstahl,
film girato durante il raduno del 1934, trasmette
esattamente cio' per cui era stato progettato il
Reichsparteitagsgelände.
Ora, cio' che ho visto io, il resto e' reperibile
facilmente.
L'area e' immensa, mi ci e' voluta una giornata
intera per girarla quasi tutta o, meglio, cio' che
ne resta. L'area dei primi raduni,
Luitpoldhain,
non esiste piu', fu bombardata e poi distrutta, oggi
resta solo il memoriale ai caduti ma si intuiscono
perfettamente le dimensioni dell'arena e della sala
congressi.
L'area
piu' grande, adibita ai raduni successivi, non fu
mai ultimata a causa dell'inizio della guerra e
delle dimensioni abnormi del progetto. Oggi e'
visibile la nuova
sala Congressi,
alta solo 39 metri perche' ne furono
costruiti solo i primi quattro piani e che richiama
evidentemente il colosseo, nella quale tutto era
funzionale a rivolgere lo sguardo dei presenti verso
il palco, ovviamente occupato dal Führer.
Oltre il lago, l'unica costruzione che fu realmente
ultimata, lo
Zeppelinfeld che, si intuisce dal
nome, poteva fungere da campo di atterraggio per i
dirigibili e per grandi raduni, avendo un grande
palco e spalti tutt'attorno, sul modello dell'altare
di Pergamo. A fianco dello Zeppelinfeld,
uno stadio
da quarantamila posti che doveva servire a ospitare
la gioventu' hitleriana. Oltre a questi,
l'impressionante
Große Straße,
un viale largo sessanta metri e lungo piu' di due
chilometri circondato da spalti, utilizzato per le
parate, perfettamente orientato in modo che da un'estremita'
si veda come sfondo il castello imperiale. In fondo
alla Große Straße, il
Märzfeld,
il campo di Marte, gigantesco, con la stessa
identica funzione che hanno da sempre i campi di
Marte e, ancora piu' in la', un enorme campo con
baracche in legno che ospitava i partecipanti ai
raduni, a volte piu' di mezzo milione. Fin qui
quello che fu costruito, oltre ovviamente a una
serie di strutture, stazione ferroviaria, centrali
elettriche, caserme etc., che servivano per la
mastodontica organizzazione. Il progetto di Speer
prevedeva la costruzione, inoltre, del
Deutsches
Stadion, un mostro da quattrocentomila
posti piu' uno sul palco, la cui costruzione fu
interrotta; per dare un'idea delle dimensioni, lo
scavo per le fondamenta oggi contiene un lago
piuttosto grosso. A sinistra una foto del plastico
del progetto.
Oggi la Große Straße e' una strada percorsa
dalle auto in otto delle venti corsie, con ancora
gli spalti a lato, lo stadio e' utilizzato dal
Norimberga FC, il Märzfeld e' un bosco in
cui si intravede solo qualche fondamenta qua e la',
lo Zeppelinfeld e' utilizzato come impianto
sportivo, pur rimanendo sostanzialmente intatto,
nella sala Congressi suona la filarmonica di
Norimberga e un'ala contiene il
Dokumentationszentrum, il campo di baracche per
i partecipanti ai raduni e' oggi un quartiere di
Norimberga.
Nonostante questo, voglio dire le trasformazioni,
assicuro che l'effetto e' ancora oggi pazzesco, le
dimensioni del complesso sono impressionanti, le
dimensioni stesse delle strutture sono difficilmente
immaginabili, percorrere la Große Straße,
ci ho messo diciannove minuti da capo a capo, da' un
senso di straniamento, dovuto al senso di
diminuzione personale e di potenza collettiva.
E qui si pone la domanda fondamentale o, almeno, la
domanda piu' importante che mi sono posto io: di
fronte a tutto questo, un apparato gigantesco
costruito con il solo scopo di formare e accrescere
il culto personale di Hitler e collettivo del popolo
tedesco, nonche' di identificarli in maniera
indissolubile, di fronte alle parate oceaniche, di
fronte agli spazi sterminati, davanti a costruzioni
immani sovrastanti, di fronte a fari puntati in ogni
dove e verso il cielo, di fronte a cavalcate
wagneriane e marce militari, di fronte a
discorsi dai toni trionfalistici e celebrativi del
popolo e della razza, di fronte a spiegamenti di
forze senza precedenti, chi, mi domando, chi in
buona fede potrebbe dire di essere in grado di
distinguere perfettamente la retorica di regime dai
fatti, chi - in sostanza - potrebbe dirsi del tutto
immune a tutto questo?
Non dico che non si possa esserlo, gli
esempi sono numerosi per fortuna, mi chiedo chi
a priori possa dirsi immune, chi abbia una
cosi' alta opinione di se' da sapere con certezza di
non subire una qualche forma di fascinazione da
manifestazioni esasperate di questo tipo (non solo
nazista, ovviamente). La risposta e' una,
ovviamente, nessuno puo' essere sicuro di essere
immune a un tale spiegamento propagandistico,
nessuno puo' chiamarsi fuori con certezza.
C'e' un ulteriore aspetto di quanto ho visto che mi
pare importante e, forse, collegato con il primo:
concepire uno spazio del genere, immaginandolo senza
precedenti per dimensioni e struttura, e poi
realizzarlo, e' la diretta conseguenza di un potere
assoluto, di un potere che non ha piu' nessun
contraltare e che non deve discutere di nulla con
nessuno, mai. Trova forza in se' stesso.
Cio' che mi ha impressionato maggiormente e' proprio
questo, l'immaginazione nazista che non conosce piu'
alcun freno, il Reich che durera' mille
anni, nessun nemico in grado di sostenere l'urto,
uno stadio grande il doppio del piu' grande stadio
mai realizzato, in barba alla statica, un Führer
infallibile, la Russia sottomessa, forza lavoro,
mezzi, uomini e possibilita' illimitate o, almeno,
percepite come illimitate, senza mai un fondo.
Liquidare un potere che immagina se' stesso senza
limiti come pura follia, smania di grandezza,
ossessione patologica di uno o piu' pazzi, e'
secondo me il modo peggiore di comprendere il
nazionasocialismo, e' una semplificazione che non
porta alcunche' al ragionamento e
all'approfondimento del fenomeno, probabilmente e'
anche un pessimo modo di contrastare e combattere il
nazismo.
Questo e' cio' che ho pensato in questa giornata.
Hitler, Speer, Goebbels, Riefenstahl e cosi' via non
furono menti raffinatissime che concepirono tutti i
dettagli di un piano infernale, furono, piuttosto, i
punti nevralgici di comando di una struttura che
pensava se' stessa come infinita per spazio, tempo e
luogo, capace di mettere in moto cio' che finora
nessuno era stato in grado di mettere in moto.
Pensare a se' stessi senza limiti e' una cosa che
nessuno di noi e' abituato a fare e che nessuno fa,
io per primo immagino di fare cose alla mia portata
e non mi spingo oltre. Se, per educazione o
influenza, fossi in grado di allargare
spaventosamente la percezione delle mie possibilita',
vedrei il mondo piu' accessibile e malleabile e mi
comporterei di conseguenza. Lo possiederei.
Per fare un esempio stupido, Riefenstahl fece i film
che fece non perche' fosse particolarmente capace o
avesse sviluppato chissa' quali riflessioni
teorico-tecniche su nuovi modi di fare
cinematografia, bensi' perche' per la prima volta
nella storia ebbe a sua disposizione i migliori
cameramen d'Europa, troupes costituite
da migliaia di uomini, fondi illimitati e
possibilita' di accesso a qualunque struttura. Speer
non fu la mente raffinatissima che congegno' tutto
l'apparato scenografico del Reich in modo
univoco e geniale, cosi' da conquistare consenso in
modo quasi subliminale e magnetico (non che fosse
cretino, sia chiaro), fu piu' che altro uno dei
pochissimi architetti della storia che poterono
progettare sulla carta senza avere alcun limite di
immaginazione, anzi, il gigantismo era condizione
richiesta e necessaria. Aveva, letteralmente,
carta bianca, come non succedeva, forse, dai
tempi dei faraoni.
Forse, e' una possibile chiave di comprensione.
Ho finito, vostro onore, e mi scuso per la
psicologia da supermarket sparnegata qua e
la', sia clemente.
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La più tedesca tra
le città tedesche.
Decido di liberare Praga dalla
mia presenza, sia per ragioni di ordine pratico,
devo muovermi verso mete lontane, sia perche' odio
le persone che si fanno le fotografie facendo con le
dita il segno della vittoria. A meno che non si sia
Churchill, e' un gesto che non capisco e che
disapprovo. Ed essendo Praga il secondo centro
mondiale di fotografati con dita a segno di
V, fuggo.
A proposito di Churchill, continuo a divertirmi
parecchio passando in
piazza Winston
Churchill che, grazie al genitivo della
lingua boema e delle lingue slave in generale, alle
consonanti palatalizzate in fondo e al fatto di
essere un soggetto animato, diventa altresi' in
boemo
Namesti Winstona Churchilla. Mi fa pensare
all'italianizzazione fascista dei nomi stranieri da
un lato e dall'altro me lo immagino con il sigaro,
grande e grosso, che diventa
Churchilla.
Eh, lo so, ho quattordici anni appena compiuti, lo
so.
Comunque, essendo in partenza, mi si pone l'ardua
scelta tra i treni F454 "Franz
Kafka", F452 "Jan
Hus" e F456 "Albert
Einstein" (spiegazione: quest'ultimo visse
parecchio a Praga, giocando molto a scacchi, pare).
Opto per Kafka,
sia per ragioni affettive che, molto
secondariamente, per ragioni di orario di partenza.
Ed ecco, ancora una volta, un mio tratto idiota che
ricompare: agire e compiere scelte sotto spinte poco
razionali per poi accorgermi che se ci avessi
pensato un attimo sarebbe stato meglio.
Molto meglio.
Infatti, scelgo
Kafka da una macchinetta automatica per
biglietti della quale non capisco un accidenti e mi
trovo nella seguente situazione: dopo due ore e un
minuto di viaggio, devo scendere per cambiare treno
a Kozolupy,
con un fantastico minuto, uno!, per scendere dal
primo e salire sul secondo; ci riesco, salgo su un
localone terribile e ventidue minuti dopo devo
scendere a
Stříbro per, ancora in un minuto,
stronzi, mica sono
Flash Gordon!, prendere un altro locale per
Cheb,
che arriva dopo diciassette minuti. A Cheb ho una
larga pausa di dieci minuti e riesco tranquillamente
a prendere l'ennesimo localone in direzione
Marktredwitz,
un controllore ceco controlla i documenti alla
frontiera (e qui l'ironia si fa facile), arrivo dopo
mezz'ora; nuovo cambio, altro locale, un'ora e piu'
e sono a
Norimberga.
Totale: 357 chilometri, sei ore e un minuto, cinque
treni di cui quattro ultralocali. Alla stazione di
Norimberga guardo il tabellone e mi rendo conto che
sta arrivando da Praga l'F452
"Jan
Hus",
che e' un bel diretto. Complimenti a me, ottima
scelta, molto bravo, continua cosi'.
Un breve aspetto
folkloristico del viaggio: piove a dirotto,
ne consegue che le persone, me compreso, che
riempiono all'inverosimile ogni treno che ho preso,
sanno di acqua di Gange mista a formaggio
scoreggione; sommato al fatto che e' previsto dai
regolamenti delle ferrovie ceche, nonche' mi pare
sia obbligatorio, togliersi le scarpe appena saliti
in carrozza, grazie ai miei cinque nuovi amici di
scompartimento e' gia' molto che io sia riuscito a
scendere dal treno, narcotizzato ma vivo.
Ci
sono due motivi per cui sono venuto a Norimberga, di
cui parlero' piu' avanti, a fatti acquisiti. Per
ora, visito
Norimberga, la citta' dell'Impero
in cui aveva sede la Dieta, la citta' di
Dürer
(come da testimonianza tombarola a lato), medievale
e rinascimentale, appoggiata su una collina rocciosa
e divisa da un fiume, e' davvero bellissima. Fu
anche la citta' prediletta dal
Führer, la piu' tedesca tra le citta'
tedesche, ma questo fa parte dei due motivi per cui
sono qui. La citta' e' per la maggior parte
ricostruita e intarsiata di edifici moderni, causa
bombardamenti immani, ma e' davvero molto
affascinante.
E' anche, mi accorgo, la citta' dei buffi musei che
non vedro', vado a esporli in un crescendo
rossiniano: il museo del giocattolo, il museo
dell'ospedale, il museo dei vigili del fuoco, il
museo delle comunicazioni nel museo dei trasporti
(testuale), il museo degli orologi, il museo della
guarnigione, il museo dei cappelli, il museo della
croce rossa, il museo della cultura industriale, il
museo della fabbrica bavarese di metalli, il museo
dei bicchieri per birra di frumento, il museo dei
vecchi tram, il museo dei pergolati (eccolo,
malfidati, non mento mai), il museo dei piccioni (mi
trattengo a malapena dal correre li', ben
ottantamila pezzi in esposizione), il museo dei
bambini (e anche qui l'ironia vien da sola), per
finire con l'evanescente e un po' ingenuo museo
della pace.
Visito, piuttosto, il museo nella casa di
Dürer:
secondo un andazzo piuttosto diffuso nei piccoli
musei, l'apparecchio per l'audiovisita viene
sostituito da un attore che, in costume, spiega
quanto c'e' da spiegare con molto piu'
pathos del
necessario. E i turisti tutti li' a fare si' si' con
la testa mentre pensano se devono dare la mancia o
la cosa e' compresa nel prezzo del biglietto.
In questo caso, sono da solo, un'attrice impersona
la moglie di
Dürer e mi conduce per la casa, come se io
fossi un ospite e
Dürer
fosse appena uscito per una birretta. Il bello e'
che usa la prima persona mentre parla,
io vivo qui, io
faccio questo, il mio Albrecht e cosi' via. A
me vien da ridere ma la tengo ed evito di dire alla
fine di salutarmelo appena torna. Lei pero' e brava,
ci mette davvero impegno. Poi mi capita di vedere
un'autoritratto di
Dürer,
non l'avevo mai visto in volto (qui,
per chi e' come me). Orpo, davvero una specie di
cristo, un ganzo niente male, e io che lo pensavo un
po' stortignaccolo, riconsidero un po' la bravura
dell'attrice, facile far la moglie innamorata di uno
cosi'...
Essendo nella patria del
bratwurst,
approdo in serata in quella che si spaccia
verosimilmente come la birreria prediletta di
Dürer,
ove mi viene proposto un unico nonche' trino
menu: 6
oppure 12 o 18
bratwurst con gli immancabili crauti e
patate, birra ovvia. Non so, sei mi sembrano
abbastanza, sei, ne voglio sei, costano pure poco.
Me li portano e scopro che in
Franconia
i bratwurst
sono piccoli, tipo sigarilli, e tutti attorno
a me ne mangiano almeno dodici. Anche le femmine ne
mangiano almeno dodici, maledizione, solo i bambini
quando sono molto piccoli ne mangiano sei. Merda, ne
ordino subito altri dodici per tornare in classifica
e uscire dalla zona bambini, me li portano, sono
salvo, nessuno mi scherzera' piu'. Io? Diciotto, che
domande!
E anche un'altra birra,
garson, che
io sono un vero uomo, ah ah. Vita difficilissima.
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|
Esplorazioni: che
fa la Tamarova?
Solo ed esclusivamente per
gettare benzina sul fuoco, entro in una caverna
letteraria (Literarni
kavarna), la libreria
Knihkupectví Academia di Piazza San Venceslao a
Praga, e aggiorno l'indice
librario in merito alla
Repubblica Ceca.
A differenza di Francia e Germania, mi sono
auto-esentato dalla trascrizione dei nomi degli
autori e dei titoli dei dieci libri piu' venduti nel
paese attualmente, per non passare ore e ore della
serata a trascrivere lettera per lettera come uno
scimmione ubriaco con la penna, spero mi scuserete.
Posso dire, in sintesi, che l'unico autore
conosciuto e'
Michel Houellebecq, sesto in classifica, gli
altri non sono noti. Ignoti
a me,
chiaro, quindi ignoti
punto.
Nessun italiano.
Vengo, piuttosto, alla parte piu' interessante del
post che, come sempre, appassiona di piu' tutti noi:
autori italiani
nella libreria ceca. E, per estensione, la
risposta alla seguente domanda: ci vogliono bene i
cechi? E ancor piu' per estensione: i cechi
capiscono qualcosa di letteratura?
Non
ci amano tantissimo, devo dire: due titoli diversi
di Camilleri,
un'assurda copia della
Vita Nuova di
Dante (sic!,
qualcuno da qualche parte avra' fatto un corso
monografico, immagino),
Se non ora, quando? di
Primo Levi
e sei-dico-sei titoli differenti del sempre presente
Umberto Eco,
compreso
Foucaltovo Kyvadlo.
E qui finisce la raccolta degli autori italiani. O
no?
Ecco, di nuovo, la domanda impellente: ce l'hanno la
Tamaro?
(attimo di suspans...)
E si' che c'e', con
Udatny michele a kamaradka led anche stavolta
non ci delude e si piazza anche in Repubblica Ceca,
per loro cu... fortuna.
Un titolo solo, purtroppo, non saprei definire il
corrispondente romanzo italiano.
A questo punto, direi che si puo' chiamare l'Economist
e suggerire loro di sostituire l'indice
Big Mac con l'indice
Tamaro, per stabilire l'effettivo potere di
acquisto di un paese. Immagino esistano ancora paesi
senza Mc Donald ma non posso proprio immaginare, a
questo punto, paesi che non abbiano almeno una copia
tradotta di un libro della Tamaro. Non posso, non
posso, ho davvero tanto bisogno di certezze.
(a latere:
va a finire che l'unico elemento costante di tutto
il mio viaggio potrebbe diventare la presenza della
Tamaro, il che assume una prospettiva lievemente
inquietante).
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Viaggi last minute.
Nell'ambito di un'esplorazione a
tutto tondo, approfondisco le
offerte
last minute
dell'agenzia di viaggi in Revoluční, 12 - Praha 1
per un gioioso ed economico soggiorno in
Italia
dal 24/5
al 31/5.
Una
settimana in appartamento, volo escluso, costo
minimo 800 e massimo 1200 soldi (32/48 euri) al
giorno/persona, per le seguenti destinazioni
(trascrivo fedelmente):
Bibione,
Rosolina Mare,
Marcelli di
Numana,
Gargano,
Kalabrie.
E' l'occasione per imparare qualcosa:
Rosolina Mare
appare essere un luogo turistico in provincia
di Rovigo,
Marcelli di Numana probabilmente e' in
provincia di Ancona,
Bibione,
la perla dell'Adriatico (mah) conta sei-dico-sei
milioni di turisti l'anno.
Suppongo di andare a
Bibione:
CSA, cioe'
Czech Airlines, mi propone un
Praga-Benátky
(che sarebbe Venezia) nelle date richieste a 6.067
soldi, il che significa 240 euri soldo piu' soldo
meno. Sommati ai 224/336 euri per l'appartamento,
potrei passare una settimana al mare in Italia con
464/576 euri.
Uhm, vediamo, ho pochi indici a disposizione: una
notte in albergo a quattro stelle, camera singola,
in centro a Praga costa 174 euro (l'ho di fronte a
me in questo momento e sono andato a chiedere,
magari...), un Big Mac costa la meta' di quello che
costa in Italia, un pc portatile medio costa piu' o
meno 350/400 euro, una camicia di seconda mano circa
otto euri, qui. Fatta la proporzione a spanne e con
l'accetta, a me pare che una vacanza del genere non
e' che te la tirino dietro, a occhio. |
Tre test
alimentari.
Oggi, ardita nonche' del tutto
inutile corrispondenza di argomento alimentare:
1. L'ultrabuono.
E'
Crikssimo
che la mattina mi da' la carica, una
supercrema di cocco,
kremem kokosowym,
estratta da uno
shampoo parimenti al cocco, con tre strati di
morbido compensato naturale estratto dagli scarti
delle seggiole impagliate slovacche. E' cosi' che la
mia giornata si riempie di energia, cosi' che il
buonumore non mi abbandona mai e cosi' che mi
mantengo anche in forma. Grazie,
Crikssimo,
tu sai cosa ci vuole per me. Unica controindicazione
conosciuta: la mattina dopo ci si sveglia
scarafaggi.
2. L'ejs italiano.
(Quanto sto per dire vale allo stesso modo per la
tedeschia). Gelaterie ovunque, tutte di gelato
italiano,
il principe dei gelati. Devo provarlo,
assolutamente, per la riuscita di questo
reportage
alimentare.
Gelateria Venezia in
Václavské
náměstí. Per testare al meglio il prodotto,
scelgo i gusti piu' difficili, per cui non possono
ingannarmi: agrumi,
arancia
e limone.
Risultati del test: il gusto arancia
frizza,
indubitabilmente trattasi di citrosodina
sapientemente mescolata a fluimucil, il che da' un
sapore sbarazzino alla cosa; per avere un'idea
precisa del gusto limone, andate al ristorante a
mangiare pesce: alla fine,
dopo aver
utilizzato la salviettina umidificata al limone per
pulirvi le mani, mettetela in bocca.
Vuala'.
3. Tradičný.
Un piatto di carne tradizionale, la cui dicitura
corretta e': "hovězí
svíčková na smetaně houskovými knedlíky a brusinkami".
Trattasi di un pezzo di carne di manzo bollito
immerso in una salsa di funghi, accompagnato ai
fianchi da fette di pane lievemente bagnato e
sormontato da panna leggermente acida e composta di
lamponi, per la modica cifra di 155 soldi, 6 euri.
Molto molto buono, un classico imperdibile
dell'accostamento dolce-salato che contraddistingue
l'est tra Varsavia e Sofia. Ottimo. |
L'orloj di Praga
fa tic tac.
Ecco
cosa succede quando l'orologio
astronomico di Praga rintocca e la morte tira
la cordicella, la vanita' si specchia, l'avarizia
muove il sacchetto pieno di soldi e il turco agita
il turbante.
E i turisti fanno i turisti.
|
A sorpresa.
Abbandono Dresda per seguire la
valle dell'Elba,
direzione sud-est, perche' voglio vedere il
Loschwitzer
Brücke, il ponte piu' famoso della citta'. La
particolarita' del ponte, oltre agli aspetti
tecnici, sta nel fatto che venne dipinto di verde
ma, sara' l'acqua sara' l'aria sara' magia, divento'
blu. Da allora, tutti lo chiamano "Blaue
Wunder", la meraviglia blu, al punto che - mi
dicono - in tedesco per indicare in generale
qualcosa di strepitoso si dice, appunto, "blaue
wunder". Attendo bacchettate.
Passata l'ora dell'almanacco del giorno dopo, vengo
al punto: la
segnalazione.
Risalendo
la riva sinistra del fiume, prima a piedi e poi -
finalmente ce l'ho fatta - con una gran chiatta che
abbassa la fumarola ogni ponte che incontriamo,
arrivo fino a
Bad Schandau. Tutto questo per dire che la
valle che ho risalito e' bellissima, davvero un
posto eccezionale: il fiume Elba in mezzo, placido e
largo, bello maron
a essere onesti fino in fondo, e ai lati, ci
stanno appena, da una parte una piccola strada,
dall'altra la ferrovia. Attorno, colline ricoperte
di boschi verdissimi e rossi, aceri, e qualche rupe
qua e la', sembra un plastico ferroviario per esteti
finissimi, rimango a bocca aperta.
Lungo la strada, piu' ci si allontana da Dresda piu'
sono rarefatte, case e palazzi di villeggiatura
della nobilta' dresdense (?), uno piu' bello
dell'altro, con qualche castelletto qua e la' a
dominare la scena. Io volevo vedere un ponte e
invece mi ritrovo davanti a una meraviglia continua.
La valle e' molto lunga e vale davvero un viaggio,
se si e' alla ricerca di tranquillita' o di
buontempo, davvero una scoperta notevole. Leggo dopo
che l'Unesco mi ha preceduto anche qui, forse aveva
ragione quel viaggiatore che si organizzava
consultandone prima gli elenchi.
A Bad Schandau
passa la ferrovia, due direzioni: Dresda o
Praga,
che e' al di la' delle colline, in pianura. Ovvio
che salgo il predellino in direzione Děčín, Ústí nad
Labem, Lovosice, Litoměřice, Roudnice nad Labem,
Melník, Neratovice, Stará Boleslav, Brandýs nad
Labem, Praha. Il fiume in ceco diventa l'anagramma
del tedesco,
Labe, io passo la terza frontiera senza che
mi chiedano documenti (l'unica rimane quella tra
Italia e Francia, ridicolo) e proseguo.
Seduta davanti a me una signora, va anche lei a
Praga, utilizza un abbonamento ferroviario: un
carnet nel
quale segna a penna i suoi viaggi in treno fino al
raggiungimento della quota chilometrica per cui ha
pagato. Il carnet
si chiama
Kilometricka Banka e io un po' me la rido. |
Una mappa musicale.
Difficile dire qualcosa di
intelligente su
Praga, piu' facile trovare qualcuno che
l'abbia gia' fatto.
Io, dal basso e di lato, constato fin da subito la
presenza di tre copie della
Gazzetta dello
Sport nell'edicola alla stazione
Praha-Holesovice, il mio rilevatore dell'Indice
Gazzetta e' fuori scala e lampeggia
impazzito. Secondo quanto detto in precedenza
sull'Indice, presenza di Gazzetta uguale presenza
proporzionale di turisti molesti in gran parte
italioti, cio' dovrebbe farmi desistere dalla visita
alla citta': naturalmente non desisto, so cosa mi
aspetta. Ho allertato i tecnici in Italia affinche'
trovino un coefficiente univoco da applicare
all'Indice in caso di citta' superiori al mezzo
milione di abitanti. Tre copie?
Defcon due.
Sei copie? Defcon
cinque. Detto questo, l'Indice comunque non
sbaglia: turisti ovunque, accatastati in comitive
bovine o bradi con scarpe da trekking, sono palline
da flipper vaganti all'interno della citta' vecchia.
Lo sono anche io, in effetti, contribuisco
all'entropia in modo imbarazzante.
Quando
mi insinuo in una citta' nuova cerco, se possibile,
di non prendere mezzi pubblici, la metropolitana
peggio di tutti, per il semplice fatto che
camminando riesco meglio a costruirmi una specie di
idea topografica della citta', pongo dei punti fermi
attorno ai quali viro in continuazione, tipo boe.
Quando le stazioni di arrivo, ed e' il caso di
Praga, sono distanti dal centro, la disciplina del
movimento a piedi e' dannatamente piu' faticosa ma
molto piu' redditizia: infatti, si vedono i
quartieri periferici o, direi, i quartieri senza
attrattive particolari. Altrimenti si rischia
davvero la visita all'americana,
aereo-taxi-piazza-foto-piazza-taxi-aereo.
I quartieri di Praga al di fuori della citta'
vecchia mi parlano di una citta' cresciuta
enormemente negli anni Venti, Trenta e Cinquanta e
ferma da allora, un po' scassata, in cui tenere i
ritmi economici del centro e' piu' difficile, piu'
Repubblica Ceca
che Praga
centro. Infatti, se il PIL
pro capite
di Praga e' piu' di novecentomila soldi annui,
trentaseimila euro, dubito che qui si percepisca.
Per certi versi, siccome vengo dalla Germania
avverto piu' forte il contrasto, in quanto a
immobilita' pare un poco l'Italia: si vede che ci si
arrangia, strategie di sviluppo o pianificazioni
urbane non danno segno di se', le periferie sono
lasciate a se' stesse e non importa se la
tangenziale ti passa tra lavello e salottino tv, i
parchi pubblici non esistono o sono inutilizzabili,
nessuna struttura sociale o collettiva, traffico in
mano alla libera inventiva personale.
Diverso il discorso per il centro di Praga: a
prescindere dalla bellezza intrinseca,
indiscutibile, la citta' e' prospera, ormai quasi
del tutto europea per tenore, finiture, design,
prodotti e, ci siamo quasi, prezzi. Una banana o una
schnitzel
costano meno che da noi, una stanza uguale, un'ora
di internet cento soldi (quattro euri), la birra
costa niente. Vabbe', pare sia il surrogato del
latte in eta' adulta.
L'aspetto interessante della citta' e' poterla
attraversare in molti modi, tracciando dei fili
logici diversi a seconda di cio' che si cerca: il
liberty, i luoghi dell'Impero, la decadenza
asburgica per i nostalgici, il teatro contemporaneo,
Kafka, Ian Palach, il Golem e le sinagoghe, le
boutiques e i negozi di ninnoli, il cristallo di
Boemia e cosi' via. La restituzione e' un'altra
faccenda, del tutto personale.
Tuttavia, in mezzo a questo irresistibile affanno di
meraviglie e scemenze, due cose mi hanno
incuriosito. La prima e' la presenza costante di
troupes
cinematografiche, in media ne incrocio una ogni
quattro ore: ovvio, costa meno e offre scenografie
perfette per film in costume, piuttosto che quel
fascino europeo
uanderful che sempre funziona nelle
imbecillate americane. Tutte le volte che vedete
Londra medievale in un film, e' Praga. Tutte le
volte che vedete Praga medievale in un film, e'
Cracovia.
La seconda cosa, migliore della prima, visto che mi
ha trascinato come il pifferaio di Hamelin, e' la
presenza della musica in ogni dove, musica di ogni
tipo e a ogni ora. Per esempio, all'ufficio vendita
biglietti ho contato piu' di trenta concerti di
musica classica in programma questa sera, tra
chiese, teatri, opera e varia. Poi si sente per
strada, suonata sul selciato o uscire dalle finestre
o dai negozi, e' come avere in testa una radiolina
che continua a cambiare stazione. La cosa,
ovviamente, mi manda in solluchero, sono estasiato,
mai vista una citta' cosi' musicale. Anzi, mai
sentita.
E cosi' ho cominciato a farmi una
mappa musicale
per un po' di tempo, questo pomeriggio, segnandomi
tutto quello che mi capitava di ascoltare, per
vedere l'effetto che fa.
Ve la propongo:
- ore 16.30:
inizio della mappa, in mezzo al
Karluv most
la Prague
Syncopated Orchestra sta suonando classici
dello swing, tipo Ellington e Basie;
- ore 16.36:
al Rudolfinum
fanno le prove per il concerto di stasera,
suonano Dvořák,
e la musica esce dalle finestre;
- ore 16.42:
alla sinagoga
Staronová suonano
Gershwin,
Porgy and Bess, entro;
- ore 17.01:
la prima bancarella all'uscita della sinagoga spara
a tutto volume
musica klezmer;
- ore 17.02:
la seconda Bob
Marley;
- ore 17.09:
entro nell'ufficio postale in
Kaprova,
devo spedire un pacchetto, e diffondono allegri
musica classica, mi pare un quartetto d'archi, non
so cosa suonino;
- ore 17.26:
nella chiesa hussita
Sv. Mikulase
in Franz Kafky si sta svolgendo un concerto per
organo e mezzosoprano, il programma prevede la
Choral Ouverture di
Bach e
il
Domine Deus di
Vivaldi;
- ore 18.15:
il caffe'
Italia, nella piazza principale, spara
Love of my life dei Queen, via;
- ore 18.18:
in via Zelezna
un trio, due violini e una voce, suona
musiche di
Bedřich Smetana, compositore ceco (c'e'
scritto, altrimenti col cavolo);
- ore 18.26:
appoggiato a un muro del
Karolinum,
un violinista thailandese/vietnamita/filippino suona
(euf.)
Que Sera, Sera Whatever Will Be, Will Be,
contando piu' sull'effetto comico o epilettico che
sulla classe non cristallina (vorrei avere una
cinepresa);
- ore 18.39:
al Stavovské
divadlo, il Teatro degli Stati Generali,
diffondono dagli altoparlanti il
Don Giovanni di
Mozart a
tutte le ore, perche' fu rappresentato qui per la
prima volta, appena ultimato a Praga;
- ore 18.50:
piove a dirotto, entro nel
Fellows Bar
di Senovazna,
sparano a tutto volume
dance ceca, tutti belli in movimento e io un
po' affranto (ho sbagliato bar);
- ore 19.35:
smette di piovere a carrettate, grazie 'ignore, in
Námestí
Republicky la
filarmonica di
Brno sta scaricando gli strumenti dal
pullmann e un trombettista suona a suo piacimento
sul marciapiede;
- ore 19.50:
il telefonino della ragazza che gestisce l'internet
point da cui sto scrivendo suona i
Beatles,
nemmeno troppo male.
Dopo tre ore di musica senza andarla a cercare,
termino la mia registrazione, mi pare ne venga fuori
una buona mappa musicale. Irripetibile e non
utilizzabile, ovviamente, spero renda un minimo
l'atmosfera.
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Signora, lei non
legge il b.site...
Uno dei luoghi imprescindibili di
Dresda e' la
Gemäldegalerie Alte Meister, la galleria che
raccoglie la collezione di quadri dei duchi di
Sassonia. Non posso esimermi e prontamente vado.
E' uno di quei musei che richiedono allenamento,
resistenza, fiato, buone gambe, vista sopraffina per
leggere le targhette fino a due metri di altezza,
senso di orientamento infallibile, capacita' di
sopravvivere in condizioni estreme, visita stimata
in tre/quattro ore senza integratori alimentari,
probabile interazione continua con comitive
assatanate. E cosi' e'.
Il
pezzo piu' pregiato della Galleria e' la
Madonna sistina
di Raffaello, celebrata da tutti i poeti
tedeschi di Sette e Ottocento, chiamata
semplicemente "La
Madonna". E' detta
sistina
perche' fu dipinta per la chiesa di San Sisto a
Piacenza. La cosa assurda di questo quadro e' che
l'orbe terracqueo ne conosce la parte inferiore,
quella con i due puttini alla balconata e
praticamente nessuno, rari, lo hanno mai visto
intero.
Riporto comoda immagine a lato, per spiegare.
A questo punto avviene la prima delle mie due
interazioni con signore italiane. La prima signora,
accento lombardo bello grosso, si illumina di
incanto, si stranisce, si avvicina al quadro e fa
agli astanti: "ma
e' quella di Fiorucci", sottintende la
madonna ma parla dei putti. Certo, signora, proprio
quella, in fin dei conti sa come sono gli artisti,
che un po' si copiano tutti tra di loro, no?
Fotografo mentalmente la signora per poi
frantumarle, accidentalmente, un femore all'uscita.
Fotografo anche tre suoi amici che fanno: "e'
vero, e' vero", devo ricordarmeli.
Seconda interazione con signora italiana, stavolta
emiliana, mi sembra. La seconda e' molto ma molto
piu' sveglia della prima, penso che non le rompero'
il femore. Si e' infatti accorta che i quadri di
autori italiani sono la grande maggioranza della
collezione e sono tutti di nomi strepitosi tra
Trecento e Seicento, nomi importanti del centro-nord
(a eccezione di uno strepitoso
San Sebastiano
di Antonello da
Messina), e non riesce a spiegarsi come tutti
quei capolavori siano finiti li'. Interagisco.
Signora, lei non mi legge il bsite, altrimenti lo
saprebbe. Centodieci quadri facevano parte della
collezione dei
Gonzaga e furono acquistati in blocco dai
duchi di
Sassonia nella prima meta' del Seicento per
un paio di piatti di lenticchie, svendita per
cessazione di attivita'. La signora mi guarda come
se la stessi gabbando, "E
perche'?" mi chiede. Beh, difficolta'
finanziarie enormi, immagini che la dinastia dei
Gonzaga si esauri' poco tempo dopo.
Lei resta meditabonda, mi guarda, la guardo facendo
si' col capino, lei si guarda attorno e fa: "Beh,
non dovevamo darglieli".
Dovevamo.
La signora dev'essere una Gonzaga residua, si
spiegherebbe anche l'accento. Oppure e' una
potenziale ultras che non ha mai trovato il vero
scopo nella vita. Allargo le braccia e sorrido
rassegnato, signora se ne faccia una ragione, certe
volte le cose non vanno come vorremmo. Me ne vado,
sperando segretamente che la signora vada al
consolato e metta in piedi un bel bordello per
ottenere la restituzione dei nostri quadri, questo
si' renderebbe la giornata davvero spassosa. Ho il
sospetto che non lo fara'. L'amaro sapore
dell'ingiustizia.
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Non chiudete
quella porta.
Oggi sono rimasto chiuso dentro
il cimitero ebraico di
Dresda,
come un mona.
Avevo visto il cancello aperto quel tanto per cui
riuscivo a far passare la testa. Dove passa la testa
passa anche il resto, zaino compreso, e sono
entrato. Son furbaccino, se vedo una porta aperta,
entro. Faccio il mio giro, il sole filtra attraverso
le piante, e' un bel cimitero, ordinato, per nulla
simile a quello di Praga. Quando mi decido a uscire,
trovo il cancello chiuso. Un complotto
pluto-demo-giudaico internazionale ordito nei
miei confronti, non c'e' dubbio. Mentre mi sto
decidendo sul da farsi, scavalcare o aspettare, si
forma un gruppetto, cinque o sei, di germanici al di
la' del cancello, che osserva la mia situazione.
Sono sinceramente preoccupati, uno mi spiega che la
chiave ce l'ha l'antiquario all'angolo della strada
e mi dice che va a vedere. Io scavalcherei il muro
ma non vorrei offendere nessuno con un gesto poco
consono al luogo, allora aspetto. Dopo un quarto
d'ora, il germanico torna e comunica che
l'antiquario e' a pranzo, bisogna aspettare. Io
ringrazio e mi accingo a scavalcare, getto lo zaino
al di la' del muro di cinta. Un germanico, sorpreso,
mi dice "It's
forbidden" con tono preoccupato. Eh, ho
capito, allora vieni dentro tu e io da fuori ti dico
che e' proibito; scavalco lo stesso e con gesto
atletico da olimpiade dei disabili sono fuori. Il
germanico mi guarda come se avessi appena sparato ad
Angela Merkel sotto i suoi occhi. Saluto in fretta e
mi dileguo, vado da Pfund, qui dietro, a vedere la
latteria piu' bella del mondo.
Che avventurona,
ragassi, mi ci vuole un bel bicchierone di
latte per riprendermi.
(variante
plausibile)
Appena giunsi a Dresda, ebbi l'incarico di
incontrare il Rabbino Almekias-Siegl a mezzodi', nel
cimitero ebraico, e di recare con me l'incartamento.
Varcai il cancello che ancora non era rintoccata
l'ora e passeggiai tra i sepolcri, la luce del sole
filtrava tra il fogliame rigoglioso e regnava un
vasto silenzio. Ad un tratto, udii un grido
d'oltretomba giungere alle mie spalle, il terrore
raggelo' le mie membra, percepii d'improvviso una
morsa gelida che mi immobilizzava, una stretta
sovrumana, non poteva appartenere a un essere di
questa terra. Fui preda del terrore, mi voltai e
vidi alle mie spalle la creatura, il Golem, sorta
dalle viscere della terra per ghermirmi con se'. Non
ebbi il coraggio ne' l'ardire di osare avvicinarmi
per tracciare il segno
met sulla
fronte della creatura, cosi' come insegna il Sefer
Yezirah. Ebbi, in uno spasmo supremo, la forza di
divincolarmi dalla stretta della creatura e mi
lanciai in una cieca corsa in direzione della
cancellata del cimitero. La trovai bloccata, serrata
da forze misteriose, provai con disperazione a
tirarne i battenti ma non potei nulla. Non osavo
volgere lo sguardo, immobilizzato come il coniglio
dinanzi all'affamata belva. Con gesto disperato, mi
risolsi a gettare l'incartamento al di la' del muro
di cinta, udivo i lenti passi inesorabili del Golem
giungere da piu' presso. In un ultimo, sconvolto e
tremante afflato di sopravvivenza, riuscii a
sollevarmi oltre il culmine del muro e a lasciarmi
cadere al di la' del recinto, con le membra rotte,
la camicia lacera e in bocca il sapore del mio
stesso sangue. Non ebbi il tempo di riprendermi,
raccolsi le carte e fuggii con quanto fiato avevo in
corpo. Ero salvo, dunque, ma a quale prezzo? La
creatura, ahime, era tornata per portare
devastazione e terrore nel nostro mondo.
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Esplorazioni:
buches.
Indosso il vestitino della fatina
corrispondente dall'estero e, di nuovo, vi tengo
aggiornati sulla situazione libraria. Dopo la
Francia, la
Germania: sono ancora a
Dresda,
la libreria e' la
Haus des Buches di Külz-Ring. Cosa leggono i
germanici quando non sono intenti a farsi
brutalmente di
bratwurst e di enormi qualcosa-kuches?
Ecco le risposte.
Il
libro piu' letto della settimana e'
Paul und Ich di
W. Glatzeder,
seguito da Ken
Follett con
Die Tore der Welt e, terzo posto,
J. Littell
che ha scritto
Die Wohlgesinnten. Uhm, proseguo ma vagolo
nell'ignoto: quarto si piazza un certo
P. Sodann
con
Keine halben Sachen, quinto
A. Franz
con il romanzo
Spiel der Teufel e, sesto,
M. Beyer
con il suo
Kaltenburg. Al settimo, di nuovo
Stieg Larsson,
che il 9 maggio ho appreso essere una brava persona,
con Vergebung,
seguito a ruota da
P.
Durst-Benning che ha scritto
Das Blumenorakel,
e nono arriva
I. Falcones,
Die Katedrale des Meeres. Ultimo della
decina, R.
Gunther con
Der Dieb von Dresden. Mah...
E fin qui, i loro. I nostri, ora.
Premessa indispensabile: la libreria e' molto molto
grande, gli scaffali dei tascabili sono quindici e
li ho scorsi tutti, eroe, dall'inizio alla fine, non
essendo prevista una sezione italiana. E ci credo
che non ci sia, facciamo una figura barbina e magra
con la nostra letteratura, al punto che posso
cadaunarvi libro per libro i testi presenti.
Sono dunque lieto di introdurre l'appassionante
"Inventario completo dei testi di autori italiani
presenti nella piu' grande libreria di Dresda":
- un'improbabile copia, una, delle
Lettere di
Pietro Aretino;
- ben tre copie del
Gattopardo di
Tomasi di
Lampedusa;
- due copie della
Divina Commedia di
Dante in
volume unico;
- ampia disponibilita' di testi di
Umberto Eco,
per un totale di cinque titoli diversi;
- tre copie di
Se questo e' un uomo di
Levi, di
cui non si segnala altro, scandalosi;
- una copia di un testo di
De Carlo;
- quattro titoli differenti di
Tabucchi,
che riscuote successo sia tra i franzosi che i
germanici, per un totale di cinque copie;
- due titoli di
Baricco, due copie in totale;
- una copia di un libro di tal
Federica De
Cesco di Pordenone, che io non conosco, forse
scrive in tedesco, non pare un caso che su wikipedia
italiana non ci sia e su quella tedesca si'.
Questo e' il nostro magro bottino, devo constatare
che non ne usciamo molto bene. Mi stupisce l'assenza
di Calvino, che di solito ha un buon successo, per
dirne uno.
Beh, io andrei... vi saluto, dunque... il mio
compito l'ho svolto...
Non posso, non posso, devo dirvelo, anche se fa
male, ma porc...: numero otto copie di
Geh, wohin din Herz dich tragt, 'azzo e di
nuovo 'azzo, che per chi germanico non e', suona di
nuovo
Va' dove ti porta il cuore. Otto copie. OTTO.
E altri quattro titoli suoi, tutti almeno in duplice
copia. Il che fa della
Tamaro
la scrittrice italiana piu' diffusa in questa
libreria. E, per quanto ne so io attualmente,
potrebbe anche esserlo in tutta la Germania. Beh,
d'altronde impazziscono per Pausini e Albano, tutto
torna...
Ma dico io, benedetti germanici, non si trova
Petrarca,
che so, una biografia di Sofia Loren, un libro di
ricette di Suor Germana, Leopardi, il secondo
Fantozzi, tutti libri imperdibili, e c'e', invece,
la cornucopia della Tamaro, non capisco. E si' che
dovrebbero essere lettori piuttosto avveduti, qui in
cruccolandia. Fatti inspiegabili. Vado a bere tanta
birra alla faccia della Tamaro,
aufidersen.
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La storia con i se
e con i ma.
Se la notte tra il
13 e il 14
febbraio 1945 fosse stata una notte
tranquilla, oggi
Dresda
sarebbe una tra le citta' piu' belle della Germania,
forse la piu' bella. Perche' sorge sull'Elba
in un punto bellissimo della valle, perche' qui
avevano residenza i
Duchi di
Sassonia, principi elettori, che si
tramandavano il titolo di "Augusto"
di padre in figlio, da
Ernesto Augusto
a Carlo Augusto
a Federico
Augusto di acquisizione in acquisizione. E
qui erano ricchi per davvero: se alla corte di
Berlino, quando era di grassa, mangiavano patate e
cavolo, qui avevano i meloni e si inventavano la
porcellana.
Canaletto, uno che di citta' se ne intendeva,
venne qui da Venezia per viverci vent'anni e
fotografo'
la citta' in lungo e in largo.
Barocca e splendida, Dresda fu al culmine nel XVIII
e XIX secolo, aveva terrazze sul fiume, fontane, la
migliore Opera per acustica che si fosse vista fino
ad allora, scuderie, cattedrali, chiese e palazzi
sontuosi, edifici costruiti solo per ospitare le
collezioni di porcellane, nonche' una tra le piu'
grandi raccolte di opere d'arte del mondo.
Ma la notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945 non fu
una notte tranquilla. E il giorno dopo pure.
La RAF e
la US Air Force
sganciarono migliaia di tonnellate di bombe sulla
citta', radendola al suolo, cancellando l'intero
centro storico, il termine piu' appropriato e'
coventrizzandola. Bombe al fosforo, di quelle
che bruciano le persone, come a Fallujah. La citta'
brucio' per una settimana intera. Gli americani la
bombardarono di nuovo in marzo e in aprile, non
erano contenti. Nessuno, ancora oggi, sa quanti
siano stati i morti: le cifre ufficiali dicono
35.000, alcune stime parlano di 130.000, il che
renderebbe la cosa pari o peggiore di
Hiroshima.
Nessuno e' in grado di valutare l'entita' del
massacro, se i corpi bruciano e' difficile contarli.
Dresda era stata dichiarata "zona
demilitarizzata", nessun obbiettivo
strategico o militare, infatti piu' di duecentomila
rifugiati erano accorsi in citta' da tutta la
Germania per mettersi al sicuro. Nessuna
giustificazione, nessuno scopo, nessun significato.
C'e' un romanzo che racconta il bombardamento di
Dresda,
Mattatoio n°5, essendo pero' un romanzo di
Vonnegut
parla anche di tutt'altro, compresi alieni, visioni
mescolate di passato e futuro, eventi immaginari, il
che rende difficile la comprensione del fatto
storico in se'.
Oggi
la citta' e' disarticolata, alcuni edifici sono
stati ricostruiti com'erano, altri sono stati
costruiti ex novo
accanto ai primi, alcune piazze sono state spostate,
ridotte o allargate, i ponti non sono in linea con
le strade, tra gli edifici permangono spazi vuoti,
prati, che sarebbero inspiegabili altrimenti.
E' facile, pero', capire cosa sia rimasto in piedi
di allora e cosa sia stato ricostruito. La citta'
era costruita interamente in arenaria gialla, la
stessa che e' utilizzata largamente anche da noi,
penso a Padova,
per esempio. Diversamente, qui la pietra non si
corrode o consuma, forse e' piu' dura, forse c'e'
meno inquinamento, non so. Comunque, questo tipo di
arenaria utilizzato a Dresda dopo alcuni decenni
annerisce, diventa molto scura, quasi del colore del
basalto. Gli edifici rimasti in piedi, dunque, sono
neri, gli edifici ricostruiti sono gialli. La
Frauenkirche, per esempio, e' stata per
sessant'anni il simbolo della distruzione di Dresda:
uno smozzico della chiesa rimase in piedi, emergendo
dalle rovine della cupola e di tutto l'edificio. La
DDR decise di tenerla cosi', a testimonianza.
L'hanno ricostruita da poco, tre anni, e la parte
originale e' nera, il resto giallo con qua e la'
delle pietre nere, significativamente i pezzi
recuperati. Un
puzzle. La ricostruzione di parte della
citta' avvenne anche grazie ai quadri di Canaletto,
che la dipinse con rigore ossessivo. Per fortuna,
insieme agli edifici non hanno ricostruito anche le
damine settecentesche che passeggiano in
Neumarkt...
Tra qualche settimana a Dresda ci saranno le
elezioni, sono in lizza una signora che si presenta
come "la
mamma sindaco", ci manca, e un altro tizio
che si fa fotografare sui manifesti mentre insegna a
suonare il violino a una bambina. Lotta dura sui
programmi, come si vede. Comunque, la citta' e' un
cantiere ed entrambi i candidati puntano sulla
ricostruzione per farne "un'altra
capitale della Germania", sull'onda della
ricostruzione di Berlino. Quindi, stanno scavando
come matti, per gettare fondamenta e fare parcheggi
interrati.
La
cosa stupefacente e, insieme, agghiacciante, e' che
riemergono le fondamenta della citta' intera, le
cantine, i pavimenti, gli archi, le soglie delle
porte, perfettamente conservati e frettolosamente
sepolti nel dopoguerra per ricominciare a vivere.
Non so cosa ne faranno, probabilmente rimuoveranno
gran parte della vecchia citta' rimasta sotto terra,
mi pare evidente che qui nessuno abbia grande voglia
di ricordare il disastro: per fare un esempio, e'
diventato difficile trovare una cartolina o una
fotografia della
Frauenkirche in macerie, era il simbolo di
Dresda, ora e' piu' importante, collettivamente,
averla ricostruita.
Nel 2005 gli inglesi regalarono agli abitanti di
Dresda una croce d'oro massiccio da porre in cima
alla nuova
Frauenkirche, come simbolo di
riconciliazione. Bella mossa, e' come bruciare la
casa a uno e poi regalargli una gondola illuminata
da mettere sopra il televisore.
Oh, e' il modello
da diciottomila lire, mica quello economico.
Grazie.
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|
Un club di cui
farai parte.
Questa mattina gnaolavo e
sbirignavo in treno, l'ora era presta, guardando
lentamente fuori dal finestrino, contento di avere
tante cose da guardare, quando un signore, il signor
Lautier,
si e' seduto di fronte a me e mi ha raccontato una
storia, una storia di scacchi.
Si', perche' il signor
Lautier
si stava recando a
Karlovy Vary
per un torneo di scacchi e la sua storia si svolse
proprio a
Karlovy Vary, che allora si chiamava
Karlsbad,
nel 1929.
Torneo internazionale dei Grandi Maestri, c'erano
Capablanca,
Nimzovitch,
Tartakower,
insomma i migliori dei migliori. Al torneo, per la
prima volta, era stata invitata anche una donna che,
pur non essendo Grande Maestro, aveva battuto nel
corso dell'anno i migliori scacchisti inglesi, come
Alexander,
Milner-Barry,
Sir Thomas
e il misterioso
Mir Sultan Khan.
Il
suo nome? Vera
Menchik. Ora, gli scacchi non erano e non
sono l'attivita' in cui le donne abbiano raggiunto
un certo qual grado di parita', diciamo che
l'ambiente resta ancora abbastanza maschile, sia per
ragioni di risultati sul campo sia per ragioni di
abitudine al cleb.
E cosi' era allora. Il fatto che
Vera Menchik
fosse stata invitata aveva abbastanza
dell'incredibile, perche' le poche donne giocavano
tra di loro e nessuna di esse era mai stata invitata
a un torneo di Grandi Maestri.
Chiaro che qualcuno facesse dell'ironia.
E cosi', Albert
Becker, Grande Maestro viennese, tra un
cognac e una partita propose di istituire il club "Vera
Menchik", riservato a coloro che avessero
perso contro la giocatrice. Grandi risate, immagino,
al bar e sui tavoli. Detto, fatto.
Ovviamente, immaginate come questa storia si
concluda: il Maestro
Becker
fu il fondatore nonche' il primo membro del club,
avendo perso alla prima partita proprio contro
Vera Menchik,
tra il
divertimento generale.
Poi, mi racconta in coda il signor Lautier,
arrivarono le temibili sorelle Polgár negli anni
Ottanta e Novanta e, da allora, gli scacchi
femminili si dividono in due ere: ante-Polgár e
post-Polgár.
Grazie, signor Lautier,
per la bella storia e buon torneo. |
Jedem das Seine.
Un bosco di faggi enorme,
bellissimo, una foresta, il sole filtra nel
sottobosco, i prati sono gialli per i fiori, si
sentono gli uccellini ovunque, forse anche un
picchio, e io sono seduto lungo una ferrovia.
Una ferrovia che non esiste piu', l'hanno distrutta
cinquant'anni fa, resta qualche pezzo di binario
ogni tanto. Perche' questa e' la ferrovia che porta
a Buchenwald.
Da ore penso che non ho voglia di scrivere nulla,
nel museo del campo ho visto un quadro di un
sopravvissuto, Rune Mields, un corvo sta appollaiato
su un filo spinato e sotto: "Aut
tace aut loquere meliora silentio".
Gia', forse sarebbe meglio tacere.
Ci penso e decido che non posso, devo raccontare di
getto cio' che ho visto, anche solo per fissarlo da
qualche parte, non so come, non ho le parole ne'
conosco i modi, domani potrei gia' avere
dimenticato. Il resto e' nei libri di storia.
Di getto, scrivo, come viene.
La ferrovia portava da Weimar a Buchenwald, otto
chilometri, ferrovia costruita da prigionieri per
portare prigionieri. Al campo, certo, ma anche alle
fabbriche. Perche' Buchenwald non era un campo di
sterminio, non come Auschwitz, almeno, ma un campo
di concentramento e di lavoro, una citta' enorme con
fabbriche vere e proprie, la fabbrica di armi
Gustloff Werke II, dove prigionieri polacchi, russi,
rumeni, italiani, francesi, tedeschi, olandesi,
costruivano armi che sarebbero state usate in
Polonia, Russia, Romania, Italia, Francia, Germania,
Olanda. Lavoravano con le macchine e i torni Siemens
e la ferrovia serviva per le materie prime e per
portare via le armi finite.
Di fronte alle fabbriche, il campo. Un campo di
raccolta, quasi tutti i deportati del sud Europa
venivano tradotti qui, piu' di
duecentocinquantamila, per lavorare e poi essere
deportati in altri campi; e qui piu' di
cinquantamila morirono, perche' non lo chiamavano
campo di sterminio.
All'entrata del campo, la scritta "Jedem
das seine", "A
ciascuno il suo", vigliacchi bastardi, su un
cancelletto piccolissimo in mezzo a una torre di
legno. Da li', ventidue torrette con il filo
elettrificato facevano il recinto, esiste ancora.
Dentro, i blocchi, le baracche in cemento alte tre
piani buone per cinquanta cavalli, non duemila
uomini l'una.
Arrivo' nel 1937 il primo convoglio di prigionieri e
l'ultimo se ne ando' nell'aprile del 1945 quando,
allora, a Buchenwald erano prigioniere
centodiecimila persone, guardate da 6300 SS e da 530
kapo'
donne. Appena al di la' dell'entrata, lo spiazzo per
l'appello quotidiano.
Sono qui, ora, immagino di essere in prima fila.
Vedo vicino a me, saranno cinquanta passi, il bosco,
un prato con i fiori, vedo dei sentieri che
spariscono nel verde, sento gli uccelli e so che al
di la' del bosco, un chilometro al massimo, potrei
vedere tutta la piana di Weimar. E invece no, c'e'
il filo elettrificato in mezzo, e due torrette ai
lati. Comprendo come possa venire il desiderio di
gettarsi sui fili ad alta tensione. E davanti a me
vedo anche lo zoo, il giardino zoologico per lo
svago delle famiglie delle SS, il recinto degli orsi
e' a meno di dieci metri da me, oltre il filo, un
altro recinto e un altro insulto.
Come si doveva sentire un prigioniero a maggio del
trentasette, o del quaranta, o del quarantaquattro?
Il dolore diveniva lancinante alla vista del bosco,
dei fiori, del cielo azzurro al di fuori? Oppure era
il tempo di qualche speranza, ancora, il tempo di
essere contenti perche' si era ancora vivi? Forse
nemmeno.
Il contrasto mi stordisce, ho mal di stomaco, io
sono dentro al recinto di filo spinato ma vedo
fuori, e' tutto li', quasi a portata di mano, vien
voglia di tenderla. E so che Weimar, la Weimar della
cultura e della corte dei principi e' al di la' del
bosco. Tra il blocco 35 e l'edificio per la
disinfestazione c'e' il tronco di una quercia, era
ancora viva nel 1944, i prigionieri la chiamavano
"la quercia di Goethe", sembra quella del famoso
quadro in cui Goethe e' sdraiato. Sembra tutto
irreale, dovrebbe essere tutto grigio, tutto
spoglio, nessun colore, nessuno si dovrebbe
divertire, oggi, qui, mai, nessuno dovrebbe poter
fare cinquanta metri e stare in un bosco al fresco
come se nulla fosse. Gia', io mi sento un idiota
perche' stamattina ho preso un caffe' e mi sono
preparato come se andassi a fare una passeggiata. Ma
non c'e' un modo intelligente o sensibile di venire
in questi posti, ho pensato poi, non si puo' essere
preparati.
E' piu' facile non venirci, questo e' sicuro.
Scendo verso destra ed entro nel locale per la
disinfestazione, in cui si tagliavano i capelli ai
deportati, gli si estraevano i denti e li si
costringeva a immergersi in una vasca di
disinfettante. Era anche il luogo in cui si facevano
gli esperimenti per conto della IG Farben AG,
industria farmaceutica, sai quanti soldi a palate se
riusciamo a trovare il vaccino contro il tifo? E
ineizioni su iniezioni alle cavie, se muoiono il
dosaggio e' troppo alto, basta abbassarlo un po',
riproviamo.
Nel locale, vedo una raccolta di disegni di
deportati, piccoli fazzoletti di carta, angoli di
fogli, qualche foglio a righe passato da un amico al
comando, disegnati con smozzichi di matita, da
nascondere, perche' possedere carta e matita
significava morte, immediatamente. E sono tanti,
sfuggiti per fortuna o per amicizia complice alle
SS. Josef Szajna, polacco di vent'anni, dipinse
addirittura un vaso di fiori in una baracca tra due
finestre, chissa' dove prese quei colori cosi'
sfavillanti, e poi Boris Gontscharon, Karl Schulz,
Fleming Hinsch, Herbert Sandberg, Karol Konieczny,
Henri Pieck, Maria Brzecka, Paul Goyard, Nachim
Bandel, Jose' Fosty, Walter Spitzer, Siegfried
Tschierschky, Fritz Cremer e Boris Lurie, tutti
disegnarono qualcosa che ci e' rimasto, qualcuno per
portare un poco di poesia nel campo (Goyard),
qualcuno perche' voleva testimoniare una giornata
qualunque (Fosty), qualcuno riusciva anche a farci
dell'ironia (Jakob de Ridder), spinti dalla voglia,
a rischio della morte. Sono rimasti i disegni, non
loro.
Piu' su il forno crematorio, premiata ditta Topf &
Söhne di Erfurt, che fecero della cremazione una
scienza, ottimizzarono i costi del carburante,
perfezionarono il locale sottostante, lo scivolo e
il montacarichi per i cadaveri, definirono le prese
d'aria, fecero un sacco di soldi, costruendo forni
per il Reich in tutti i campi, certo, il lavoro e'
lavoro. Le ceneri venivano gettate in una fossa
naturale, lo scoprirono solo nel 1965.
Ecco, un punto: il campo, liberato nel 1945, fu
utilizzato dai russi fino al 1950 come campo di
prigionia, arrestarono un bel po' di nazisti e
regolarono qualche conto con arresti sommarii,
finche' fu poi lasciato alla DDR. La Germania Est
demoli' il campo nel 1952, lasciando in piedi solo
l'entrata, il forno e altri due edifici. In dieci
anni tutto il campo divenne foresta. Fu solo nel
1965 che si decise di farne un museo, di togliere il
bosco e l'erba e riportare almeno le fondamenta
degli edifici alla luce. Ecco, se non fosse per
alcune foto, noi non avremmo idea di come fosse
fatto davvero il campo all'interno del perimetro. E
queste foto, decine, si contano in fretta, sono le
foto scattate dalle SS al loro campo, di cui erano
fierissimi. Foto delle SS. Non fosse per quelle
foto, duecentocinquantamila persone sarebbero
passate in un posto sessant'anni fa e noi non
sapremmo nemmeno
come.
Io, oggi, non avrei visto come erano le residenze,
ville non case, dei comandanti del campo, avrei
visto solo le fondamenta. E non avrei visto la
falconiera per lo svago degli aguzzini, il bordello
del campo, le caserme delle SS, l'edificio dei
prigionieri speciali, il piccolo lager,
l'infermeria, le officine, le fabbriche, i depositi
e cosi' via.
La memoria, talvolta, va via in un soffio.
Ho ancora mal di stomaco, giro un po' inebetito, mi
fermo davanti alla lapide dedicata a tutti i
prigionieri del campo. Fu qui che l'11 aprile 1945 i
sopravvissuti tedeschi, francesi, russi, olandesi,
rumeni fecero il Giuramento di Buchenwald: in ogni
luogo e in ogni tempo, avrebbero combattuto con
tutte le proprie forze qualunque forma di
nazifascismo, sempre.
Ho giurato anche io.
|
|
Siamo tutti qui.
Cranach, Lutero, Bach, Wieland,
Herder, Wagner, Liszt, Strauss, Nietzsche, Mann,
Goethe, Schiller, Heine, Puhskin, Klee, Gropius, i
principi di Turingia, forse Shakespeare, Schweitzer,
sono solo alcuni, quelli che conosco io, di coloro
che vissero o passarono da
Weimar.
E poi la
Repubblica, la fondazione del
Bauhaus,
tutto concentrato qui, in una cittadina che non
farebbe nemmeno provincia, da noi. Sono piu' le
targhe "qui visse"
che le case, grosso modo.
Faccio colazione di fronte alla chiesa in cui
Herder
teneva appassionati discorsi alcuni anni dopo che i
figli di Bach
avevano suonato l'organo ogni domenica
mattina per anni e
Cranach
il giovane aveva dipinto la pala d'altare, con Adamo
in secondo piano che viene scacciato dall'Eden da
uno scheletro con forcone e un
baubau con
grandi mammelle e una clava puntuta.
Weimar e' cosi', un concentrato incredibile di
storia della cultura, tutta condensata qui sulle
rive dell'Ilm,
bellissimo, dal barocco al classicismo fino alle
vergogne del nazionalsocialismo.
Siamo
in tanti turisti, qui, giriamo tutti con una
cartina, la stessa, che e' costellata di puntini
rossi, i luoghi notevoli.
Ehi, ma tu hai
visto il 33? E il 26? Cos'e' il 26? Ah, la
Gartenhaus di Goethe sull'Ilm, si', certo che l'ho
vista. E tu hai visto la casa di Frau Von Stein?
Nooo, dove? E' il 5, laggiu'. Tutti li ho visti io,
tutti. Cos'e' quello? 'azzo...
Ecco, Weimar e' il parco dei divertimenti della
cultura: un luogo piccolo con tutte le migliori
attrazioni del genere. Non mi si fraintenda, non
vorrei passare per sarcastico: non lo sono affatto,
e' un posto da sogno per chi ama questo tipo di
cose. Come io. Ed e' un bel posto in se'.
Io sono in visibilio, quasi rintronato da tanta
grazia e abbondanza.
Schiller
abitava a cento metri da
Goethe,
basta fare una piccola curva; in piazza, davanti
all'Hotel
Elephant, probabilmente ogni sera ci si
incontrava un po' tutti, per fare due chiacchiere e
scambiarsi qualche opinione. Opinioni dei massimi
geni dell'epoca, sia chiaro, chiacchiere da Bar
Sport a livelli inarrivabili.
E il mio essere tombarolo ha ricevuto gran godimento
nella visita congiunta, in un colpo solo, ai sobri
sarcofaghi di Goethe e Schiller, vicini anche nella
sepoltura.
Peregrinando, ho un suggerimento di lavoro per chi
si interessi dell'argomento:
il museo
Bauhaus di Weimar ospita la piu' grande
collezione di oggetti e arte Bauhaus, che fu fondato
qui e, prima che si trasferisse a
Dessau e
poi a Berlino,
causa nazisti e accuse di arte degenerata, ci rimase
per dieci anni. Ora: il museo e' del tutto,
sconsideratamente, scoperto dal punto di vista
merchandising.
Non hanno nemmeno i sacchetti di plastica, per dirne
una banale. Basta venire qui e produrre
merchandising
selvaggio per il Museo o, anche, con un po' di
criterio. Meglio. Gli oggetti da riprodurre a scopo
turistico ci sono gia', il Bauhaus fu una fucina di
oggetti meravigliosi riproducibili, basta copiare.
Tornando a Weimar, per uno di quei casi strani della
storia, anche se la calamita per un bel periodo fu
Goethe, qui si riunirono le migliori persone nel
campo della poesia, pittura, letteratura, filosofia,
teologia, politica, paragonabile forse solo alla
Firenze del Quattrocento o alla Roma del
Cinquecento. Come accade ai posti che catalizzano
l'attenzione e la presenza delle persone, qui
avvennero cose meravigliose, che fanno onore al
nostro essere uomini, e una cosa terrificante, che
ci umilia tutti.
Accadde a otto chilometri da qui, poco fa, vado
domani. |
Il principio di
indeterminazione.
All'improvviso, i campanili a
guglia si fanno a spumiglia, sento le fisarmoniche
dappertutto, spariscono le lettere accentate dalle
tastiere, appaiono grandi zoccoli di legno e sandali
con le calze e grandi
pretzel
desiderano mangiarmi. Tutto logico e sensato, visto
che ho varcato il Reno e sono ad
Heidelberg,
nel Baden-Wurttemberg. Forse un po' oleografico, lo
ammetto, ma non lontano dal vero. In compenso, oggi
applichero' il
Principio di indeterminazione di Heidelberg,
da me codificato, secondo il quale non mi sara'
possibile conoscere simultaneamente la mia posizione
e la mia quantità di moto con precisione arbitraria
mentre girero' per Heidelberg.
Cioe', spiegato per le menti non scientifiche,
girero' un po' alla cazzo.
Ich
hab' mein herz in Heidelberg verloren, faceva
uno studentenlied,
"ho perso il mio cuore ad Heidelberg". Bisogna
essere tedeschi fino in fondo per perderci davvero
il cuore ma non e' difficile, anche per un italiano
senza mandolino, restare abbastanza affascinato. La
citta' sta nella piana del
Neckar,
altro fiumone poderoso che affluisce nel Reno, tra
due colline verdissime. Vanno molto fieri della loro
lunga storia, gli aidelberghesi, perche' subito mi
parlano dell'"homo
heidelbergensis" che e', in buona sostanza,
una mascella di seicentomila (!) anni fa ritrovata
da queste parti. L'Universita' piu' antica e piu'
prestigiosa della Germania sta qui, ci vennero
proprio tutti, prima o poi, da
Goethe,
ancora lui, a
Karl Jaspers, con la sua allieva prediletta,
Hannah Arendt,
a Bunsen,
quello del becco.
Lutero
fu accolto da grandi feste al suo arrivo e le
novantacinque tesi prontamente adottate.
Io sono qui per altre ragioni. Devo prenderla alla
lontana: devo vedere il
grosse grosse
Schloss dei duchi del
Palatinato,
i Principi elettori
Wittelsbach,
coloro che con gli altri sei Grandi Elettori
nominavano l'Imperatore. E' davvero
grosse il
castello, mi rendo conto quando lo attacco dal basso
e, vedo distintamente, anche un po' dirupato lungo i
torrioni a causa di reiterate distruzioni, una prima
volta durante la guerra dei
Trent'anni
e una seconda dai franzosi, a meta' Settecento.
Fu, vedi le analogie, il
barone Charles
de Graimberg, sovrintendente franzoso al
castello, che impedi' che un secolo e mezzo fa fosse
utilizzato come cava di pietre e, dunque demolito.
Esattamente come il castello visconteo di Milano,
storia vera. Un'altra volta,
ih ih.
Nelle
cantine del castello resta, pero',
la grande botte
di Carlo Teodoro, 221.726 litri, alta sette
metri e con sopra una pista da ballo.
Cruccolandia,
benvenuto a me. Fu riempita solo tre volte nella
storia e, giustamente, qualcuno commenta:
chissa' la moglie
ubriaca... Da Tokyo, coincidenza non male,
stamattina il mio amico G. mi comunica di avere
visto da poco la piu' grande
lanterna
del mondo. Ora che ci penso, io una volta vidi il
sandalo
di cuoio piu' grande del mondo, lungo due metri.
Chissa' come mai ci piacciono universalmente le cose
grandi e, piu' sono idiote e giganti, piu'
funzionano... Altri record intelligenti visti
de visu?
Ed ecco il motivo della mia visita qui: in
conseguenza del castello e dei duchi del
Palatinato,
esisteva a Heidelberg, nella chiesa del Santo
Spirito, la famosissima
Biblioteca
Palatina, oggetto di ammirazione del mondo
medievale e rinascimentale. Chiunque abbia avuto a
che fare con manoscritti e incunaboli e' incappato
in un codex
palatinus. I Franzosi, costanti rompimaroni,
rasero al suolo la citta' ed ebbero la bella idea,
forse non sapendo cosa farsene, di regalare la
biblioteca intera al Papa. Oggi, per consultare uno
di quei manoscritti, ci si spara e si attendono mesi
e anni per poter accedere alla Biblioteca Vaticana.
Altro: la lingua si e' fatta per me piu' ostile, la
lettura dei giornali mi e' praticamente preclusa (a
proposito: niente
Gazzetta
da queste parti), intuisco pero' che anche qui, come
da noi e in Francia, il problema vero e' il potere
di acquisto, che nemmeno ristagna ma e' in caduta
libera.
La soglia di
poverta', che qui e' posta a 11.200 euro/anno
(in Francia era piu' bassa, 816 euro/mese, da noi
dev'essere molto ma molto piu' bassa), sta al di
sopra del budget
a disposizione del 25,4% della popolazione;
pare facciano peggio solo Polonia e Ungheria. I
licenziamenti prospettati a breve dalle grandi
industrie (BMW 8.000, Siemens 7.000, Henkel 6.000,
Nokia 8.000 etc.) non fanno sperare bene.
Anche qui le agenzie di lavoro temporaneo spopolano,
esattamente come ho visto in Francia e come da noi;
e, allo stesso modo, sono le agenzie stesse ad
assumere per brevi periodi, anziche' l'azienda, il
che non aiuta. Ovviamente, la forbice si e'
allargata - come ovunque - e i considerati
ricchi,
cioe' chi ha a propria disposizione piu' di 24.000
euro l'anno (attenzione: mica tanti!) sono il 20,5%
rispetto al 18,8% di otto anni fa. E i prezzi,
confermo direttamente, sono alti, piu' che da noi e
piu' o meno in linea con quelli francesi.
Ma
non voglio chiudere, oggi, con note economiche.
Allora, ecco una cosa davvero locale.
Achim von Arnim e
Clemens
Brentano, romantici tedeschi, raccolsero una
serie di canti popolari tedeschi con il titolo
Des Knaben Wunderhorn e le pubblicarono
proprio ad Heidelberg. I canti popolari raccolti
furono poi musicati da
Mahler.
Uno di essi,
Des Antonius von Padua Fischpredigt (La
predica di Sant'Antonio da Padova ai pesci)
racconta appunto la predica di
Sant'Antonio ai
pesci, famosa. Sant'Antonio trova la chiesa
vuota e, allora, se ne va al fiume e comincia a
predicare ai pesci, che arrivano curiosi. Sant'Antonio
si danna per fare una bella predica, li redarguisce
e li ammonisce. Ecco come finisce, strepitosa: "Finita
la predica, ognuno se ne va. I lucci rimangono
ladri, le anguille fanno sempre all'amore, la
predica è piaciuta, tutti restano come prima! I
granchi camminano all'indietro, i merluzzi rimangono
grassi, le carpe mangiano molto, dimenticata la
predica! La predica è piaciuta, tutti restano come
prima!".
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Atticismo militante.
Ricevo da un'amica romana due
vignette di
Disegni sulle ragioni della sconfitta a
Roma.
Siccome un po', da qualche parte ma poco, so di che
parla, pubblico qui.
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Esplorazione: les
livres.
Oggi giornata stanziale, ogni
tanto una mi ci vuole per tirare le fila dell'animo
e ricomporre lo stato dei talloni. Ne approfitto,
allora, per approfondire lo stato di cose locale in
materia di libri.
Segnalo
la pubblicazione dell'opera omnia di
Claude
Lévi-Strauss nella biblioteca de
La Pléiade,
duemila pagine a buon prezzo, salutata da quasi
tutti i giornali con entusiasmo,
Le Figaro
per esempio: "L'ultimo
gigante". Ed è vero, non ne nascono più
cosi'.
In cima alla classifica dei libri più venduti in
Francia (io non ne conosco nemmeno uno ma non vuol
dire), da qualche settimana staziona "La
Consolante" di
Anna Gavalda,
seguita da
Annie Ernaux con "Les
Années". Poi segue uno strano caso
letterario: un certo
Stieg Larsson
è in classifica con tre libri diversi, una trilogia,
intitolati
Millénium t.1,
Millénium t.2
e Millénium
t.3. La commessa mi spiega che è un
giornalista svedese morto da poco, conosciuto per
essere destroide e razzista. Complimenti ai lettori
franzosi, dunque.
Michael
Connelly è al quinto posto mentre "Je
reviens te chercher" di
Guillaume Musso
è al settimo. All'ottavo un caso interessante: una
rivista. Si tratta di "XXI",
trimestrale senza pubblicità venduto in libreria,
che con il primo numero, "Les
noveaux visages de l'économie", ha
venduto più di cinquantamila copie. Sorprendente,
visto anche l'argomento. Al nono e decimo posto,
rispettivamente "Le
Montespan" di
Jean Teulé
e "L'elégance
du hérisson" di
Muriel Barbery.
Attenzione,
Lévi-Strauss è entrato direttamente al
sedicesimo, non male. Anche in campo librario i
Franzosi fanno un po' storia a sé. Niente
Hornby,
niente Hosseini
et similia. E, fortuna loro, niente
Tremonti.
Detto questo, faccio il corrispondente vero e do'
un'occhiata allo scaffale della
letteratura
italiana della
Librairie Kléber, la più grande di
Strasburgo.
Buona fornitura di
classici,
Boccaccio, Dante, Tomasi di Lampedusa, Leopardi,
Sciascia, Svevo (complimenti!), Elsa Morante, con
alcune interessanti escursioni su Rigoni Stern e
Buzzati, di cui hanno moltissimo, più che da noi.
Poi, le ragioni sono ovvie, oulipo,
impazziscono per Calvino ed Eco e, politicamente,
per Pasolini, di cui si trova quasi tutto. Lo stesso
si puo' dire per Primo Levi, in vetrina ovunque e
pubblicato da più case editrici: non solo il Levi
concentrazionario ma, per fortuna, anche il Levi
scrittore tout court, che era eccezionale.
Casi significativi di nostri autori contemporanei
viventi molto apprezzati qui sono: Alessandro
Baricco (vabbè, sopravvolo), Erri De Luca
(sarà per quella faccenda di Lotta Continua?) e
Antonio Tabucchi, che in questi giorni è qui per una
serie di interviste. Meno sull'onda ma comunque
presenti: Benni, Camilleri, Rosetta Loy, Magris, Wu
Ming e, tenetevi!, Tamaro. 'Azzo.
Infine, autori che io non ho mai sentito e che sono
in scaffale con almeno un titolo (cosi' come li ho
letti): Carmine Abate, Antonio Scurati, Goliarda
Sapienza, Francesca d'Aloja, Giulia Cercasi, Ottavio
Cappellani, Luigi Natoli, Alessandro Piperno,
Salvatore Satta, Giacomo Sartori, Aldo Zargani. Per
me, mistero nebbioso che intendo far restare tale.
Infine, per un discorso aperto con Siu, sono lieto
di comunicarle che
Boris Pahor,
Legion d'onore l'anno scorso, è presente con
moltissimi titoli fin dal 1990, tutti ristampati di
fresco e in prima fila in vetrina. Ben fatto,
franzosoni.
|
|
La cultura e i
diritti dell'uomo.
Stamattina mi sono alzato di buon
ora per mettere in atto un piano cui ho pensato
tutta la notte.
Essendo ancora a
Strasburgo,
devo approfittare di questa mia condizione
privilegiata e onorare una battaglia in nome dei
diritti di tutti noi, devo lottare per il mio
popolo, per i miei fratelli e amici.
Cosi' mi sono recato alla
Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo, che è proprio qui in
città, sono entrato nella hall principale,
mi sono arreso e mi sono dichiarato
esule
culturale, poiché l'Unione
europea non prevede l'estradizione di coloro
che siano a rischio di morte cerebrale nel proprio
paese. Il funzionario incaricato della mia pratica
si è mostrato comprensivo, ha sorriso e ha detto: "Bondi',
c'est vrai?". Oui, oui,
salvatemi, sono qui in nome del mio popolo! Apre un
fascicolo apposito, ne hanno uno da ieri, da quando
hanno ricevuto la notizia della nomina in Italia, e
inserisce la mia pratica. E vi appone anche il
timbro "urgente!".
Sono qui in nome di tanti italiani, dico,
Bondi ci ucciderà.
Il funzionario questo lo sa, stava giusto leggendo
un trafiletto di
Libération,
titolato "Eloge
de «la Mamma»", nel quale spiegano
uno degli antefatti del neo-Ministro poeta: "La
fauteuil de ministre de la Culture est la récompense
que Silvio Berlusconi a trouvée pour Sandro Bondi,
son zélateur et responsable du parti. Bondi est en
effet connu pour ses poésies à la gloire du
Cavaliere et de ses proches. Il a ainsi écrit à l’adresse
de Mamma Rosa Berlusconi : «Mains de l’Esprit, Ame
transfusée, Embrassade d’amour, Mère de Dieu»…".
Lo sanno, sono salvo.
Ridete pure, ma ci potete aiutare? Il funzionario mi
dà una pacca sulla spalla, affettuoso e comprensivo,
e poi mi dice che, purtroppo,
la Corte
non puo' fare nulla. Infatti, esiste
una risoluzione
europea del 2005, seguente la nomina di
Buttiglione
a Ministro dei beni culturali, che stabilisce de
factu lo stato "catastrofico e
consapevolmente cronico" delle cose in Italia
in fatto di
gestione della cultura (cosa poi riconfermata
anche dall'elezione di
Rutelli).
Non intervengono più. Coraggio, mi fa il
funzionario, non sarà peggio di tanti altri...
E grazie al cazzo, voi avete avuto
Malraux
e Lang!
Comunque ha ragione, peggio di Buttiglione non
sarà... Perdonatemi, amici, non ce l'ho fatta, ho
fallito, mi ritiro sconfitto.
|
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Le maire, la mère
et la mer.
I Franzosi, che come detto si
devono distinguere in ogni campo dello scibile,
hanno le
tastiere tutte sbagliate. E non parlo solo
degli accenti e della punteggiatura. So che potrebbe
apparire una questione di secondo
piano,
e lo è, ma digitare per giorni e giorni post
quotidiani con - ne dico una - la
Q al
posto della A,
vi assicuro, è una cosa che fa lievitare
incredibilmente i miei costi presso gli internet
point. Peraltro, digitando io con due dita si' e no,
pensavo di non aver memorizzato più di tanto la
disposizione dei tasti.
Non è cosi'.
Ed ecco un audace esempio: la frase idiomatica
"il Sindaco,
con sua madre, ha passato una giornata al mare; si
sono di certo alquanto divertiti!" su
una tastiera franzosa diventa
3il
Sindqcom con suq ;qdrem hq pqssqto unq giornqtq ql ;qre,
si sono di certo qlauqnto divertiti/3.
Un altro esempio della grandeur francese.
Non co;prqte tqstiere in Frqnciq< |
Premio boule à neige.
Premio
boule à
neige, categoria "stazioni",
va indiscutibilmente alla stazione SNCF di
Strasburgo:
una vera e propria stazione chiusa in una palla di
vetro di forma adatta.
Se riuscite a girarla, scende pure la neve.
Pare stia venendo uno di
Colmar
molto forzuto per provarvicisi.
|
Sui dolci canali a
scriver poesie.
Oggi in Francia, Germania e
Austria è festa
nazionale, si festeggia la fine dell'ultima
guerra, si chiude tutto e si ricorda. Niente
manifestazioni, non usa, una giornata, piuttosto, di
libertà. Ben venga, dunque, anche se la mia smania
da shopping compulsivo ne risente.
In quanto a me, è qualche giorno che mi interrogo
sulla direzione da prendere. Infatti, mi trovo alle
prese con il problema, sostanziale,
dell'irresistibile
forza di
attrazione delle città grandi. Mi spiego:
muovendosi in treno o pullman, man mano che si entra
nell'orbita gravitazionale di una grande città,
specie una capitale, diventa sempre più un fatto che
tutte le strade portino là. Raggiungere il paesello
vicino diventa più difficile, se non facendo i due
lati del triangolo al cui vertice sta la grande
città. Nel mio caso,
Parigi,
che si è fatta davvero vicina. Ma io non voglio
andare a Parigi, non rientra negli scopi di questo
viaggio. Aspetto un segno.
E il segno arriva, in forma di
turista polacco.
Esso si manifesta in allegra brigata piuttosto
agée, tutti belli embriaghi di
distillato di calze da tennis usate, curiosi e con
occhi spalancati. Uno di essi comincia a conversare
con me, ieri sera, non so bene in che lingua a
pezzetti e bocconi, e finisce per propormi un
passaggio a bordo del loro pullman, loro vanno a
est.
Beh, è un segno e non bisogna trascurare i segni.
Inoltre, la destinazione mi va più che bene e i
polacchi non mi paiono molesti. Non sono adepti
woytiliani dediti alla diffusione del culto, il
che mi basta. Cosi' mi imbarco con loro, partenza
antidiluviana, rinunciando a qualunqua forma di
conversazione, data l'ora e i residui alcoolici del
distillato della morte.
Cinque ore di viaggio e siamo alla meta: i tetti si
fanno più spioventi, compaiono le cicogne, intravedo
una statua di Gutenberg e, pure, qualche
parlamentare europeo.
Infatti,
sono a
Strasburgo. Primo scopo raggiunto, sono quasi
emozionato: ora so con esattezza dove sia l'Alsazia,
dopo averla citata a vanvera, con la
Lorena,
in qualunque esame di storia o conversazione in
tema. Cosa successe dopo la battaglia di XY in
un'epoca qualunque? Vennero conquistate
l'Alsazia e la
Lorena, risposta invariabile e sempre esatta.
A titolo esemplificativo: Sequani, Rauraci, Romani,
Vandali, Alani, Alamanni, Franchi, monaci di S.
Colombano, regno di Austrasia, Carolingi, duchi di
Svevia, langravii d'Asburgo, Decapoli alsaziana,
signorie vescovili, Francesi e Tedeschi. Giusto per
citare alcune delle popolazioni che la conquistarono
o delle forme che assunse.
E' un momento topico per me, sono come uno di quei
bambini delle elementari che parla della mucca senza
mai averne vista una dal vivo e ne ha un'idea
piuttosto vaga.
Ora ho visto la mucca e so che non vola.
In virtù della sua natura bi-nazionale e
bi-culturale, Strasburgo è una cittadina molto
vivace, piena di canali e di case medievali,
franco-tedesca a tutti gli effetti, non a caso si
segnalano la sede del
Parlamento
europeo, la sede di
Arte, e un'intensa frequentazione
multilaterale.
Gutenberg venne qui per un po' a lavorare
tranquillo, come
Calvino,
Mozart e
Pasteur,
Doré e
Arp vi
nacquero e cosi' via.
Goethe
vi venne un paio d'anni a cazzeggiare. Non esagero,
ho fonti attendibili. Se ne iva a poetare per le
rive dei canali all'ombra delle fanciulle in fiore,
meglio se figlie del pastore. "Sai, sono poeta",
diceva, "son tormentato, vuoi che ti legga la
mia ultima poesia?". Conosco il genere, Ob
ich dich liebe, weiss ich nicht. Fu conseguenza
normale delle cose che gli respingessero, qui, la
dissertazione necessaria per il titolo di dottore in
legge. Troppe rive e troppe liriche. Il ragazzo è
intelligente ma non si applica.
Io già che son qui, vado diretto a cercare di capire
come sia possibile che, ogni terzo venerdi' del
mese, impacchettino tutta la roba delle commissioni
parlamentari a
Bruxelles e la portino qui per una settimana,
perché il
Parlamento europeo ha qui la sede ufficiale.
Per poi tornare indietro, il venerdi' dopo. Ricordo
un articolo che parlava di non so quante decine di
tir ogni volta, colmi di cartoni di documenti, che
fanno la spola. Pero' è bello, piuttosto grande e,
ammetto, lo osservo con un certo orgoglio, fiero di
questo sforzo all'unificazione della nostra epoca,
davvero un'idea meravigliosa. Si entra liberamente,
tutti sorridono e nessuno rompe per questioni di
sicurezza, cravatte e buvette.
Ci guardiamo complici tra francesi, italiani,
tedeschi, danesi, lituani e disprezziamo i
giapponesi e gli americani. Eh eh, andate al
vostro.
|
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L'indice Gazzetta.
Passando da Rochefort, mi dice
qualcosa, mi dirigo a
La Rochelle,
il porto imprendibile, il porto dalle grandi maree.
E' detta la città ribelle, fu la prima a liberarsi
dei gioghi feudali e a dotarsi di un sindaco, nel
1199; fu città protestante, unica nella Francia di
Richelieu,
il quale, infatti, l'assedio' e la sottomise. Ne
andava del suo orgoglio. Non vi risparmio, a questo
proposito, un agghiacciante passaggio del
Manzoni,
Promessi Sposi,
capitolo XXVIII: "Il
cardinal di Richelieu,
presa,
come s’è detto,
la Roccella, abborracciata alla meglio una
pace col re d’Inghilterra, aveva proposto e persuaso
con la sua potente parola, nel Consiglio di quello
di Francia, che si soccorresse efficacemente il duca
di Nevers; e aveva insieme determinato il re
medesimo a condurre in persona la spedizione".
La Roccella?
Sembra Roccella ionica, detta cosi'...
Tornando a cose serie, soprattutto, era la città
nella quale si finiva se si aveva il fegato di
ribellarsi, che so, al colpo di stato di
Napoleone III
o se ci si chiamava
Dreyfus
o Papillon.
E non per restarci ma per essere imbarcati per la
Guyana francese.
L'Isola del
diavolo, per capirci, la proverbiale
Cayenna.
Fu anche l'ultima città francese a essere liberata
dai nazisti, che qui parcheggiavano i sottomarini.
Naturalmente, io fantastico di uomini tatuati, di
galee meravigliose, di dobloni e di cannoni, di
uomini con il pappagallo sulla spalla, di pomodori e
di amerindi portati dalla Nuova Francia, non posso
non andarci.
Cosi' sono su un treno locale partito molto presto,
in compagnia di parecchi macchinisti della
SNCF
che, credo, si muovono per lavoro. Poco prima di
arrivare, il treno fa una sosta tra i campi popolati
di cavalli e mucche, tutti belli robusti e
grassocci, e si ferma davanti a un campo da golf.
Brutto segno. Sul campo ci sono due tizi, tutti
perfetti, che giocano. I macchinisti commentano a
tutto spiano ed è uno spasso:
adovo giocave a
golf avec m'argeant dans le sac, aaah, c'est un
sport tres dur, je suis molto fatiguée, bien sur,
moi? je travaille pour plaisir... Peccato che
non posso lasciarli liberi di scorrazzare sul campo
a divorarsi i giocatori.
Non appena scendo alla stazione vengo accolto da un
tizio, trentenne abbondante, vestito da
québécoise,
accompagnato da un altro tizio che sembra Tatù di
Fantasilandia, che mi invita a fare un meraviglioso
viaggio nel
Quebec della mia fantasia, al museo storico
di La Rochelle. Non posso amico, io voglio vedere
La Martinière,
la nave che faceva la spola con la Guyana francese,
non posso.
Esco
dalla stazione e ho una pessima sensazione,
suffragata immediatamente dall'infallibile
indice Gazzetta.
L'indice Gazzetta dice che se io, arrivato in un
posto nuovo, vedo la
Gazzetta dello
Sport nella prima edicola che incontro, si
tratta di una vaticinazione pessima sul luogo stesso
e che il fato vuole che io me la dia a gambe.
L'indice raramente sbaglia e ha la sua validità non
nel fatto che indica la presenza intrinseca di
italiani, quanto più che indica la presenza
anche di
italiani, il che implica che sia un luogo piuttosto
inflazionato.
Faccio finta di nulla e mi dirigo al porto vecchio,
per visitare il museo navale. Mi trovo a Miami.
Anzi, peggio: mi trovo nell'idea
che io ho di Miami, il che è anche peggio. E'
un ospizio a cielo aperto per ottuagenari dediti al
gioco delle barche grandi, molti di loro dovevano
già essere vecchi quando Richelieu aveva le
braghette corte. Trasalisco quando vedo una signora
che si fa fare i capelli sul ponte della barcona da
una ragazza di colore (scendere e andare dal
parrucchiere no, eh?), sulla riva passeggiano
trichechi con cappelli da comandante di traghetto
Tirrenia, le
boutiques sono da ladrocinio e al museo
navale mi fanno vedere un cacciatorpediniere del
1962. E no, cacchio, no!
Finalmente mi danno le indicazioni per arrivare a
La Martinière,
la nave degli esiliati, cammino un po' e mi ritrovo
di fronte alla gelateria
La Martinière,
specialità caramello al burro salato. Nave? Quale
nave?
D'accordo, d'accordo, il caramello al burro salato è
molto buono, cio' che resta del porto vecchio non è
male, qui attorno pare ci siano alcuni posti davvero
notevoli, oasi naturali, non discuto, ma alla terza
offerta di paracadutarmi da qualche parte, di fare
qualcosa-diving
e di sorvolare le isole in elicottero, decido che
non è luogo per me. L'indice Gazzetta non sbaglia
quasi mai. Scopro, infatti, che La Rochelle ha anche
un aeroporto, con tre voli giornalieri da Lione e
una quarantina settimanali da tutto il nord europa,
Inghilterra e Irlanda in particolare. Tutto, poi,
torna.
Mi faccio un ulteriore giro, perché già che son qui
voglio affondare il coltello o trovare motivi in
positivo, e poi vado alla stazione degli autobus.
Primo autobus,
amico conducente?
Puatié.
Puatié?
Va benissimo, sciogli le trecce ai cavalli, amico.
Re Carlo tornava dalla guerra / lo accoglie la sua
terra / cingendolo d'allor...
|
|
Farai un vers de
dreit nien.
Al sol della calda primavera
/ lampeggia l'armatura / del sire vincitor...
La calda primavera, in effetti, c'è.
Poitiers
pure. Anche se non credo sia quello di
Indovina chi
viene a cena? Credo.
Ma no, questo è luogo di battaglie, di scontri
epocali, almeno tre:
franchi-visigoti (507),
franchi-musulmani (732),
francesi-inglesi (1356).
La Francia, in pantaloncini bianchi, gioca in casa
e, anche per questo, vince. Perché
Poitiers
è un ottimo posto per condurre una battaglia: sta su
un promontorio circondato da due fiumi, la
Boivre e
il Clain,
promontorio cui tagliarono l'ultima propaggine che
lo legava alle colline. I Franzosi, privi di
fantasia, chiamano tuttora il luogo Tranchée.
Fu una buona idea, il taglio. Almeno finché non
inventarono l'artiglieria, poi fu necessario
inventarsi altri tipi di guerra.
Fu sempre a
Poitiers, nel 1456, che la Chiesa riapri' il
processo a
Giovanna d'Arco, morta da mo', con
esito che il tribunale fu riconosciuto come
illegittimo e Giovanna fu riabilitata e riconosciuta
innocente. Pardon, m'muasell. Non sapevo
(mi son perso il film) che avesse diciannove anni,
quando sali' sul rogo.
Accantono
un momento le amenità storiche per esplicare la
regola fondamentale per il proprio orientamento
nelle città francesi, vale a dire: "Come
trovare infallibilmente il centro storico di una
città francese qualsiasi utilizzando una sola frase".
E senza sapere il francese.
Modestamente, è un metodo che ho sviluppato io di
mia persona e che, confesso, sono un poco riluttante
a diffondere in rete, perché potrebbe con evidenza
farmi molto ricco. Come, che so, il metodo Shenker o
il metodo Stanislavsky.
D'accordo, mi siete stati talmente vicini in questi
giorni e cosi' affettuosi e lusinghieri, che non
posso non rivelare il metodo innovativo.
Il metodo per
trovare infallibilmente il centro storico di una
città francese qualsiasi utilizzando una sola frase
consiste nel fermare un francese e, con tono fermo e
senza incertezze, fargli la domanda fondamentale: "uè
leglis denotredàm?".
Io l'ho testata vieppiù e vieppiù volte,
perfezionando alfine la fonetica e la forma,
sintetica il giusto: funzionamento assicurato al
mille per mille, poiché i Franzosi, sempre loro di
poca fantasia, pare non abbiano capito che possono
titolare la chiesa principale a qualcuno di diverso
dalla Nostra Signora.
E' cosi' che io sono riuscito sempre a sopravvivere
in questa giungla che è la Francia.
E, anche stavolta, a trovare la cattedrale in centro
(peraltro strepitosa), come da foto sopra.
La gloria per
Poitiers, pero', venne dalla presenza della
corte dei Duchi
d'Aquitania e, in particolare, dalla presenza
di Guglielmo IX
e, poi, da sua nipote
Eleonora,
che si dividevano tra qui e Bordeaux. Fatto sta che
Guglielmo
è accreditato dalla critica letteraria come il primo
trobadour, poeta d'amor cortese, e alla
corte di
Eleonora si definirono alcuni canoni del
genere.
Si intenda,
l'amor cortese,
il fin amor
occitano, è si' un sentimento in grado di nobilitare
l'animo maschile, ma è un amore fatto insieme di
intesa, tensione spirituale e di sesso e carnazza,
per dirla parafrasando il Sapegno. Per cui, i toni
del trobadour Guglielmo non hanno nulla a
che vedere con i menestrelli sanremesi che piangono
lacrime perché sono stati piantati. E questo già si
sapeva, direi.
Infine, Il palazzo dei duchi esiste ancora ed è la
sede del Palazzo di Giustizia. Il che mi pare
un'ottima cosa anche per il catasto locale, che da
mille anni non deve mutare la destinazione d'uso.
|
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Il deserto
inaspettato.
Stamane mi sono alzato presto.
Ore 7.05, dovrei avere la
Garonna
quattro massimo cinque metri sotto di me e davanti
per una settantina di metri di larghezza, eppure non
vedo nulla. Ore 9.14, dovrei avere l'oceano
un centinaio di metri sotto di me e davanti per,
credo, novemila chilometri, eppure nulla. Un muro di
nebbia, come i muri di nebbia che solo l'oceano sa
fare.
Poi,
d'improvviso, si apre tutto, esce il sole ed eccolo
l'oceano, sotto di me. Eh si', sotto, perché io sto
su una duna, una duna di sabbia, enorme e
fantastica, improvvisa, pare quasi inventata dal
nulla.
Anzi, è veramente inventata dal nulla: alta 117
metri, larga ben più di mezzo chilometro e lunga
tre, appare dall'oceano e finisce in un bosco di
pini marittimi, sommergendone una parte, pian piano.
E' la dune du
Pilat, o
Pyla, colosso di sabbia gialla desertica
scaturita da una meravigliosa immaginazione (o da
una ruspa gigante,
foto aerea).
E io ci sto sopra, proprio in cima. Sono solo,
perché son venuto presto, me la volevo godere come
cosa mia. E cosi' scopro che questa duna esiste da
sempre ma cresce da poco: un
movimento eolico,
come lo chiamano qui, l'ha portata da cinquanta
metri di altezza un secolo fa agli attuali
centodiciassette,
e cresce ancora a ritmo sostenuto. La duna compare
per la prima volta nelle carte all'inizio del
Settecento e viene rappresentata come un piccolo
rilievo, dimostrazione della crescita recente.
Non è un processo di desertificazione, tutt'altro,
pare sia una rara combinazione di vento, oceano ed
entroterra che interagiscono, non potrebbe succedere
in un altro posto che non qui.
E hanno voglia a piantare pini per fermarla, come da
foto, ogni anno avanza di qualche metro ma,
soprattutto, cresce in altezza.
Un gigante che si muove. E' molto affascinante
osservarla e camminarci sopra, è ancora fradicia
della notte, compatta, ma
si
vede che si è mossa da poco e che si sta muovendo
ancora. Non appena il sole ne riscalda la
superficie, la sabbia comincia a spostarsi, ogni
metro fa un disegno diverso. Non so chi l'abbia
inventata ma guardare l'oceano quasi a strapiombo da
qui sopra è davvero affascinante, vien quasi da far
piano per non farla irritare, che non si sa mai.
Anche l'oceano va guardato con rispetto, oggi è
tranquillo ma ci mette poco a innervosirsi.
Poi arriva una scolaresca, i bambini impazziscono
anche se, assicuro, si divertono meno di me. Il
meglio viene quando, ora di merenda (loro), corro
giù dalla duna a rotta di collo con sessanta
ragazzini impazziti, giuro uno spasso grandioso (le
maestre sono pavide); urlano come matti e,
soprattutto, cascano facendo voli strepitosi.
Eccezionale.
Ovviamente, arrivati in fondo non possiamo che
risalire e farlo di nuovo.
|
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Senza fili.
Non registro alcun commento,
oggi, su
Napoleone. Forse, "stette
la spoglia immemore/orba di tanto spiro" la
studiamo solo noi, il che lo troverei anche sensato.
Oppure, Napo'
non riscuote più molto successo, oscurato dal primo
anniversario, domani, di
Sarkozy,
un anno di sfacelo riconosciuto concordemente.
A proposito, amenità: il presidente della Repubblica
francese ha diritto al titolo onorario di canonico
della Basilica di
San Giovanni in
Laterano, oltre a essere co-principe di
Andorra.
Su rieduchescional
ciannel.
Continuano le celebrazioni del
Mai 68
che, a onor del vero, sono più che altro un
profluvio di pubblicazioni in libreria, intere
vetrine sono dedicate all'anno memorabile, e di
ripubblicazioni e interviste su alcuni giornali,
Le Mond
su tutti. Troneggiano questi visi di sessantenni
ribelli, o ex, che spiegano perché la lezione del
maggio non sia da dimenticare, oppure come sia -
invece - del tutto da dimenticare, come sia stato un
momento epocale o un errore madornale. A seconda. La
popolazione al di sotto dell'età fatidica non pare
particolarmente coinvolta. Tra i libri in evidenza,
segnalo il furbino "Mai
68 expliqué à Nicolas Sarkozy" di André e
Raphael Glucksmann. I poster, pero', sono
strepitosi.
Oggi
sono giunto a
Bordeaux,
Burdigala
per i Galli,
Bordo' per me. Come era prevedibile, la
menano senza posa con il vino e per me, che
distinguo a fatica un bicchiere di tavernello da un
calicino di zero negativo, la cosa è un pochino
noiosa. La vocazione commerciale della città è più
che evidente ancora oggi, il fulcro é la
piazza della
Borsa (chiaro documento a sinistra), aperta
sulla Garonna
e bella ampia per gli scambiotti di merce.
Esiste persino un
museo delle
dogane. Ma ebbe anche
Montaigne
come sindaco, il che depone a favore della
città.
Proprio la propulsione commerciale ha fatto si' che
Bordo' si
sia, di volta in volta, allineata con chi garantisse
la maggior libertà di scambio: non per caso è stata
per tre secoli inglese (!), poi borbonica, piuttosto
che normanna, visigotica, franca e vandala. E la
cosa non è cambiata in tempi recentissimi, avendo
più che apertamente flirtato (è un eufemismo, sia
chiaro) con l'occupante nazista.
Illuminante il caso di
Maurice Papon,
segretario generale della prefettura della Gironda,
che sostitui' l'eroe della resistenza
Jean Moulin,
fondatore del CNR.
Papon si
occupo' nel 1943 e 1944, tra l'altro,
dell'allestimento di tutti i
convogli
ferroviari di cui necessitassero i nazisti.
Come ando', poi?
Ecco come, a elenco (trattenere lo stupore, certe
cose non succedono solo a noi): riceve il distintivo
di membro della Resistenza; accoglie De Gaulle nella
Bordeaux liberata; prefetto nei territori coloniali
nel 1958; questore di Parigi nel '61 (vedere alla
voce:
Massacro di Parigi del 1961); commendatore
della Legion d'Onore sempre nel '61 (vedere alla
voce:
Massacro di Charonne del 1962); deputato dal
'68 al '76; ministro delegato al bilancio nel
secondo e terzo governo di Barre. Nel 1980
Le Canard
Enchaîné, settimanale satirico (toh, guarda
le coincidenze, cfr. la rassegna stampa di ieri),
pubblica i documenti che provano la sua
collaborazione con i nazisti. Nessuno si scompone e
fino al 1997 si tergiversa in pratiche legali. Nel
'98, a Bordeaux, viene condannato a dieci anni per
crimini contro
l'umanità. Come non bastasse, riesce a
scappare e, quando viene ripreso, viene scarcerato
nel 2002 per problemi di salute. E' morto tutto
tranquillo un anno fa, sepolto con la Legion d'onore
al collo, anche se formalmente revocata.
Balzando
a cose più lievi, documento con immagine
l'innovazione più innovativa nel campo dei trasporti
che io abbia visto da un po' di tempo:
il tram senza
fili. Dopo il
telefono senza
fili (bel gioco, ah ah) e internet senza
fili, il tram. Il trucco sta in un terzo binario che
corre in mezzo, anche se non so bene come funzioni.
Io ho provato a toccare tutti e tre i binari in
contemporanea (piede piede mano) ma non mi sono
fulminato. Mistero, comunque va.
Chiudendo, il tempo meteorologico si è fatto
decisamente più tempestoso e grigio, data la
vicinanza con l'oceano. Dev'essere normale, dato che
qui nessuno esce con l'ombrello anche se diluvia. Io
domani punto l'oceano, con rispetto parlando.
|
|
Richiesta di
chiarimento.
Scusate, sono lontano e non
capisco, qualcuno mi aiuti: un gruppo di ultras
neofascisti pesta a morte un ragazzo di Verona e
Fini, quello che cinque giorni fa faceva
l'istituzionale e invocava concordia, dichiara che
le bandiere di Israele bruciate a Torino "sono
un fatto molto più grave"?
|
Vitello e piede di
velluto.
L'occitania,
ora che sono a
Tolosa, è dappertutto,
per Tolosa totjorn
mai, i cartelli, le indicazioni, i nomi delle
strade sono tutti in doppia versione. La linguadoca
prova, ancora una volta, a resistere al potere
centralista di Parigi e della lingua
d'oil. Ma
l'autonomia di Tolosa viene da lontano, da quando fu
capitale del regno dei
Visigoti
a quando lo fu del regno di
Aquitania
e, poi, della
contea di
Tolosa, tautologico. Tra i conti di allora,
come non ricordare
Bernardo il
vitello e
Bernardo piede
di velluto, che si ribellarono a Carlo il
calvo? Già, come?
A Tolosa è passata anche una parte cospicua della
nostra storia: qui si raccolse una gran comunità di
esiliati
antifascisti, non andarono tutti a Ventotene,
i quali nel 1941 sottoscrissero
il documento di Tolosa, primo vagito del
Comitato di
Liberazione Nazionale.
E
poi, nella chiesa alle mie spalle nell'immagine, è
sepolto Tommaso
d'Aquino. Se trattenete le esclamazioni di
entusiasmo, riepilogo con gran sforzo di sintesi
quanto so di lui, dal liceo:
uhm... Scolastica.
Finito. All'università non ando' meglio: all'esame
di paleografia
e diplomatica dovevamo essere in grado di
leggere e tradurre compiutamente una sessantina di
documenti dal VI al XV secolo con grafie varie,
dall'onciale alla beneventana etc. Un documento era
particolarmente illeggibile, una pagina di
San Tommaso,
che saltai prontamente. Ovvio, mi chiese solo
quella.
A parte S.T., la chiesa dietro di me nella foto è la
chiesa dei
Giacobini, la prima chiesa e il primo
convento domenicano di tutti (1216). L'ordine
prescrive due missioni distinte,
il servizio
divino e
la predicazione. Ecco perché, mai vista una
cosi', è una chiesa a
doppia navata,
cioè con una fila di colonne al centro che la divide
a metà. Erano tutte cosi', quelle domenicane, ma
resta solo questa.
La
gloria, economica e commerciale, per Tolosa venne
con l'esportazione del
pastel, copio:
Isatis tinctoria,
la pianta che serviva per colorare le tele di blu
occitano, per l'appunto. E anche i jeans, almeno
all'inizio. E'
tinctoria...
Poi, metà Cinquecento, arrivo' dall'India - ovvio -
l'indaco,
tratto dall'Indigofera
tinctoria, più facile da produrre e ritenuto
più nobile, ad esempio è il colore dei
tuareg. E
Tolosa schianto'.
A dirla tutta, contribuirono anche le guerre di
religione, pero' preferivo romanzarla un po' con la
guerra tra gualdo e indaco.
E, tra tutte queste piante e colori, naturale
nascesse qui l'Académie
des Jeux Floraux, fondata da sette
trobadours
nel 1323 per preservare la lirica provenzale. Ed è,
oggi, la più antica
società letteraria del mondo.
E quella dal nome più bello, dico io. Infatti è
detta cosi' perché ai vincitori delle gare di poesia
venivano e vengono regalati dei fiori, a seconda
della categoria:
violetta
per i poemi e i discorsi in versi;
calendula
per le egloghe e gli idilli;
rosa canina
per i sonetti e cosi' via. Che meraviglia.
Oggi Tolosa è soprattutto un polo ipertecnologico di
industria
aerospaziale, quando prendero' un Airbus o
una navetta spaziale dell'ESA, sapro' che viene da
qui. E di industria chimica, è del 2001 il botto
gigantesco alla
AZote Fertilisant. Ma non vuol dire, hanno un
sacco di
progetti nuovi.
A dispetto della tecnologia, la città è molto
accogliente e piuttosto affascinante, anche se - al
di là del centro storico - non hanno avuto alcuna
remora, nel secolo scorso, ad abbattere quanto non
ritenuto di valore. Ad esempio, non esiste più
il quartiere
dei mulini sull'isola tra
Gironde
e Girondette,
piccolo braccio di fiume che esce e rientra nella
Gironde. E oggi gli tocca mettere dei gran cartelli
di rammarico. Non sono mica i soli, davvero. Non
fosse stato per una persona sola,
una, oggi
il castello visconteo di Milano non esisterebbe più,
storia vera. Un'altra volta.
Ma rimane molto a Tolosa. Nei giri vari, incappo nel
teatro municipale e noto che, dopo una lunga
permanenza di
Un tramway nommé désir, immarcescibile, sarà
in cartellone a novembre
Il tempo degli assassini di
Pippo Delbono.
Ne sono lieto, non pensavo che, a parte
Fo,
avessimo teatro contemporaneo da esportazione, ben
fatto. Probabilmente diverrà, se non lo è già,
l'ennesimo caso di
italico propheta in Gallia, come il primo
Paolo Conte
e Gian Maria
Testa, poco seguiti da noi e adorati qui.
Fuga di cervelli, ancora.
|
|
Premio ripensamento.
E
sono lieto, a questo punto del viaggio, di
consegnare l'ambito premio "Ripensamento
in corso d'opera", categoria
cattedrali,
ai costruttori della
Cathédrale
Paroisse
Saint Etienne di Tolosa, supervincitori
senza alcun rivale, finora. Non solo l'esterno, già
vincitore di per sé, è prova grandiosa di stortismo
incipiente ma anche l'interno è davvero da
competizione, da medaglia d'oro alle olimpiadi
sghimbesce.
Infatti, la signorina Petitpierre, ultranovantenne,
ancora prima di iniziare la novena è costretta a
deviazione improvvisa di novanta gradi a sinistra
per poter felicemente inquadrare l'altare e dirigere
cosi' senza patemi la comunicazione spirituale.
Ho trovato una foto dell'interno molto migliore
della mia
qui.
|
Esplorazione: la
presse.
Oggi è domenica e vorrei
offrirvi, vista la giornata tranquilla, una comoda
ed esauriente (ah ah)
rassegna stampa
di qui, come usa fare nelle migliori famiglie la
domenica prima di pranzo.
Ecco
i mezzi a mia disposizione, come corrispondente:
Libération
di oggi, Le
Mond di ieri e
Le Canard
Enchaîné di mercoledi', visto che è un
settimanale. L'ultimo è un settimanale satirico,
tipo Vernacoliere, e - ovviamente - va a nozze con
Sarko' e consorte; infatti apre: "Dopo
la Cina, la Tunisia. Sui diritti dell'uomo Sarko'
insiste
e
firma... dei contratti" e prosegue a pagina due
con il diario intimo di Carla B. alle prese con i
suoi problemi esistenziali: la prova costume.
Su
Carla B. e Sarko' in Tunisia entra duro
anche Libé,
che commenta testuale: "Putain (sauf votre
respect), elle est entièrement en Chanel" e
prosegue sarcastico, traduco, dicendo che sono
andati in Tunisia con l'aereo, come la gente
normale, e non facendo sci nautico dietro lo
yacht di Bolloré. Anche
Le Mond,
sebbene più istituzionale, è in guerra aperta con il
presidente (come tutti, qui) e a pagina 6 si chiede
se lui sia conscio del ruolo che ricopre,
riconoscendone implicitamente la superficialità: un
altro unfit, aggiungo io.
Le Mond
apre in prima pagina con un'intervista molto critica
a Olivier de Schutter, che è il responsabile ONU per
l'alimentazione, che denuncia vent'anni di errori
degli organismi internazionali nella gestione
dell'alimentazione nei paesi in via di sviluppo e la
fine del cibo a basso costo; inoltre dedica le prime
sei pagine alla questione della produzione del riso
nel mondo, con i dati FAO.
Libé,
invece, dedica tutta la prima pagina al caso di
Frédéric Minvielle, omosessuale francese che si è
sposato con il suo compagno ad Amsterdam e ha dovuto
rinunciare alla cittadinanza francese per questo. Il
che, riapre il dibattito sull'approvazione di una
legge francese al riguardo, nelle pagine seguenti.
Tre note interessanti: primo; il tizio in questione
si dichiara di destra, cattolico e sostenitore di
Sarkozy, complimenti; secondo, nel box che illustra
lo stato dell'arte sui matrimoni gay in Europa,
l'Italia è classificata, con Irlanda e Grecia, nei
paesi "senza speranza"; terzo, alcuni
numeri sui pacs in Francia: 400.000 pacs stipulati
dal 1999, anno di approvazione, di cui centomila nel
2007, con un aumento di 25.000 rispetto al 2006.
Sempre nel 2006, il 7% dei pacs è stato tra coppie
omosessuali, mentre nel 2002 era il 25%.
Sia Le Mond
che Libé
riportano ampi reportages sull'ecatombe
laburista in Inghilterra, mostrando fotografie di
Brown sconcertato e scarmigliato. Entrambi, inoltre,
riportano anche la vicenda dei dati fiscali italiani
messi in rete dal Ministero, sebbene in due
trafiletti. Interessante
Libé,
pagina 10, che titola, a proposito
dell'apparizione-sparizione dei dati, "Transparence
fiscale à l'italienne". Eccoci serviti.
Pero' Libé
dedica tutta pagina 31, cultura, alla mostra di
Palazzo Grassi sui barbari, in realtà prendendo a
pretesto la mostra e parlando solo delle invasioni
barbariche. Ancora a proposito di Italia,
Le Mond
dedica cinque righe a pagina 17 alla dichiarazione
di Alemanno di voler demolire la teca dell'Ara Pacis
di Meier. Interessante l'ossimoro: "l'ancien
néofasciste Gianni Alemanno".
Sempre Le Mond
dedica una lunga intervista a Bernard-Henri Levy a
pagina 13, che fa parte di una serie di interviste
ai protagonisti del maggio francese, in occasione
del quarantennale. Molto celebrato ovunque, devo
dire.
Chiudo qui la rassegnina domenicale citando un altro
articolo di Le
Mond, nel quale si racconta la storia di
Fodie Konté, primo esponente del movimento sans
papier a essere regolarizzato, il 22 febbraio
scorso. E, en
passant, il 6 maggio è un anno che Sarkozy è
presidente: il settimanale
Marianne
titola: "Putain...
4 ans", per dare l'idea.
Spero di avervi fatto servizio decente, buona
domenica a tuslemond. Ah, dimenticavo:
sapevo che il Manifesto si ispirava a Libération, ma
non pensavo ne fosse più o meno la fotocopia, Alias
compreso. Graficamente parlando, almeno.
|
|
Esplorazione: la
musique.
Tolosa,
sulla musica, ancora. Sono davanti a "Box
office", in rue de Taur, e mi segno -
diligente - tutti gli appuntamenti musicali rock-pop
tolosani per il 2008. Tutti quelli di
richiamo, almeno.
Non prendete appuntamenti il 6/5, c'è il reggae di
Gregory Isaacs,
il 17/5 The
Rabeats interpretano le canzoni dei Beatles,
mentre tre giorni dopo suona tal
Bernard
Lavillers. Se avete intenzione di stare a
casa tranquilli, non fatelo il 29/5, c'è in città
Garou e
il giorno dopo, oddio non sto nella pelle, sul palco
sale Etienne
Daho, nientedimeno.
Ma il meglio viene a giugno: il 7
Marty Stuart &
His Fabulous Superlatives sconvolgeranno le
nostre vite franzose e, troppa grazia, lo stesso
giorno anche
Bobby Sixkillers entrerà nei padiglioni
auricolari degli impazienti tolosani.
E
ancora: il 20, udite udite, c'è
Bob Dylan
allo Zenith. Strepitosa la locandina, qui a
sinistra, con la dicitura: "in
person"... No, non e' un tizio vestito
da Dylan, è proprio lui. Ancredibl.
Il 3/7, credo sia un gruppo, suona
Emile & Images,
che fortuna, e il 6
Chuck Berry,
lo re del r'n'r, di fresco pelo.
La situazione appare drammatica per l'estate, dato
che l'appuntamento successivo è per il 12 ottobre,
con André Rieu,
cui segue il 22 e 23 novembre, doppia data,
Philippe
Candeloro, di cui tutti abbiamo grande
ammirazione. L'anno in corso, ricco di eventi
sensazionali, si chiude il 27/11 con
Canteloup,
di cui causa amnesia non ricordo attualmente un
pezzo che è uno, e il 5/12
Raphael,
che pare non essere un mago, conclude il programmone.
Giuro, son tutti. Desideravo fare un poco il punto
sulla musica franzosa, per ribadire, con innocenza,
quanto già accennato in precedenza e cio' che tutti
già sappiamo. |
Il canal du Midi.
Arrivo presto a
Béziers
per completare una parte del mio piano complessivo:
l'assalto al
Canal du Midi. Il Canal è la realizzazione
concreta di un'idea apparentemente balzana, vale a
dire di collegare l'oceano al mar mediterraneo con
un canale navigabile. O, meglio ancora, essendo già
la Garonna navigabile, collegare
Tolosa a
Sète.
L'idea, piuttosto grandiosa e bizzarra, venne a tal
Pierre Paul de
Riquet e, sebbene appaia un'intuizione del
tutto contemporanea o, almeno, ottocentesca, lo
scavo e l'apertura del canale sono della seconda
metà del Seicento. In fin dei conti, non era molto
che Leonardo aveva risolto il problema tecnico
maggiore, importando qui la teoria e la pratica
delle chiuse. Sono proprio
le chiuse
l'attrattiva più interessante del canale e l'Unesco,
come sempre, ci ha messo il cappelletto protettivo.
Sono le otto e sono, dunque, pronto. Con una certa
fatica, apprendo dall'ufficio turistico locale che
non esiste un servizio di chiatte sulle quali
adagiare me stesso e che la perlustrazione del
canale è un po' lasciata all'iniziativa privata. Per
andare a Tolosa, mi dicono gli imbelli, c'è il
treno. E grazie, amici, che idiota a non averci
pensato. Spiego la questione dell'iniziativa
privata: o si affitta una barca, e son costose
nonché necessitano di
permis de conduire
e vanno riportate, se no l'agenzia si secca, oppure
ci si allinea alla crocierina con tizio vestito da
Capitano Nemo e signorine con maglia a righe blu e
bianche.
E poi, bisogna prenotare, mi fa il tizio all'ufficio
turistico. Ehi, tizio, tu non hai capito: io sono un
ragasso metal
in vagabondaggio, la parola "prenotazione"
non la conosco, io sono un ribelle e le prenotazioni
le lascio ai ciccioni e ai fascisti. Io dico no. Ma
se qualcuno volesse, il posto migliore per partire
con la barca è
Agde e non
Béziers.
A piedi, il contrario.
Detto questo, mi resta solo l'opzione piedi. Va
bene, tanto ho la maglietta
suda-pure-tanto-m'asciugo,
che indosso prontamente, e parto.
Il paesaggio è incantevole, enormi platani
costeggiano le rive e il canale, tutto bello
limaccioso, è placido, interrotto solo da barche e
barcone piene di gente che ha prenotato. Fichetti.
Ogni tanto, sotto i ponti, ci sono delle tracce di
gioventù locale, che viene sul canale, di notte, a
iniettarsi l'eroina sbarazzina. Che romanticoni. In
realtà sto amplificando, il canale qui è davvero
molto bello, lontano dalla strada e tutto bello
tranquillo, ci sono anche miriadi di anatre dalla
testa blu che nemmeno si spostano quando arrivo io.
Mi
fermo a lungo alle
chiuse di
Fonseranes, che sono nove chiuse una sopra
l'altra che gestiscono un dislivello davvero
notevole: riempi, svuota, svuota, svuota, svuota e
poi riempi, svuota eccetera, sto qui un bel po' a
guardare le chiuse che si aprono e si chiudono. E
poi vedo un
ponte canale, non ne avevo mai visti dal
vero. Un ponte canale, per i profani come me, è un
ponte che passa su un canale e che ha un canale
sopra. Un ponte per barche, che goduria.
Tra queste chiuse,
Maigret
risolse numerosi casi di omicidio, mi dicono, e
Simenon
ne fece l'ambientazione per vari racconti. Allora,
signor Maigret, questo caso glielo risolvo io: sono
stato io, confesso. Camminavo da quattro ore, ormai,
quando è passata la barca delle vittime, signore, le
quali stavano facendo una grigliata di carne al
barbecue,
sulla poppa della barca.
Io, avendo in mio possesso una sola bottiglia
d'acqua e nulla di companatico, ho abbordato la
barca, ho rubato le loro prenotazioni e mi sono
mangiato la loro grigliata. Eh, beh, ovvio, ho
dovuto ucciderli. Si', sono stato io. Non chiedo
l'infermità mentale, anzi ne vado fiero.
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Il canal du Midi -
parte due.
Dopo alcune ore che camminavo
sulle rive, mi sono fermato al ciglio del canale per
ripristinare il livello dell'ottimismo e per sedare
un processo di fusione in atto nelle mie scarpe.
Quand'ecco
il colpo di genio (ne ho anche io, talvolta) e
riesco a noleggiare
un
barchino-guscio-di-noce, che non richiede il
permis e
che ho il permesso di lasciare più avanti. Detto
fatto, ci butto dentro me stesso e il mio fardello,
e quasi non ci stiamo, e lancio il motore elettrico
a tutta birra.
Poco dopo, mi accorgo che ci sono dei ragazzini
sulla riva in bicicletta che vanno un bel po' più
veloci di me. Maledetti, motori a tutta forza
capitano, mi avete sentito laggiù, in sala motori?
Niente da fare, 'sto affare va al massimo a tre
all'ora. Tre, dico sul serio. Sono sconfitto. Pero'
il motore elettrico non fa nessun rumore e mi ci
vuole poco a diventare
Huckleberry Finn su una zattera sul
Mississippi. Sento anche l'armonica.
Giunto a un possibile attracco, mollo il barchino e
proseguo ancora un po', per recuperare il tempo
perso con il motore elettrico. E' il bello e il
difficile di questi cammini: sono a tappe e bisogna
per forza raggiungerne una, fermarsi in mezzo è
davvero complicato. Vedo un cartello che mi comunica
che sono a 5200
chilometri dal Polo e a
4801,750
dall'equatore (il calcolo è più facile).
Grazie, me lo segno. Odio questi cartelli mentre
cammino da ore con dodici chili sulle spalle.
Cercando di riavvicinarmi alla ferrovia, finisco in
una festa di
paese in stile occitano, con tanto di
cornamuse e di torneo cavalleresco, tutta la
popolazione è in costume e mescola, come sempre, il
sacro con il profano. In ambito profano sono
strepitose le bancarelle di dolci, di miele, di
formaggio di capra e di cioccolato amaro mescolato a
frutta secca, arance, fichi, ananas, che vien via a
pezzi da mezzo quintale. La tradizione alimentare è
orgogliosamente rivendicata come
catara,
Albi non
è lontana, e la "tragedia",
come la chiamano loro, è ancora viva nei racconti,
nei libri e nei cartelli. La "tragedia"
sarebbe la crociata contro gli
albigesi.
Anche la Spagna è vicina, in fin dei conti sto più o
meno seguendo
la via domiziana; tre indizi: enormi
arene
per le corride, anche nuove di zecca, compaiono gli
euro con
Cervantes di resto, la gente mastica
semi di zucca o
pistacchi e li sputa per terra. Se non è
Spagna, poco ci manca. Peraltro, come non bastasse,
vedo i Pirenei, carichi di neve.
Mollo il canale e punto
Tolosa.
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Histoire d'Eau.
Niente di erotico, parlo di
acqua. Acqua che sorge dalle sorgenti di
Uzès,
non si sa esattamente dove, a venti chilometri da
Nîmes. I
romani, tutt'altro che pazzi, la incanalarono in
acquedotto per cinquanta chilometri, più a lungo
della linea retta per seguire i rilievi delle
colline.
Il
punto più spettacolare del percorso dell'acqua che
approvvigionava
Nîmes è senz'altro il
Pont du Gard, come da solita
attestazione a sinistra. 49 metri di altezza per
oltre duecentocinquanta di lunghezza, tre piani,
cinquantamila tonnellate di blocchi di pietra
mordoré, si crede mille operai per tre anni al
lavoro, il tutto attorno al 50 d.c.
Tanto gigantismo per la perfezione tecnica: tutto
l'acquedotto ha una pendenza media di 34 cm per
chilometro, essendo la fonte solo diciassette metri
più in alto di
Nîmes, il che significa che l'acqua ci
metteva una giornata a compiere il suo percorso. Se
questo non è prodigioso, ci si avvicina.
E ne portava tanta, eccome. C'erano le terme, l'Augustaeum,
le fontane di Nîmes da alimentare.
L'acqua,
quando arrivava a Nîmes, si raccoglieva nel
castellum,
sempre qui a sinistra, una larga pozza da cui si
dipartivano le condotte in piombo che distribuivano
l'acqua nei diversi quartieri della città. Le bocche
di partenza sono ancora evidenti.
Qualche storico improvvido spiego' la fine dell'Impero
romano d'occidente con l'utilizzo delle
tubature in piombo. Esagerato, anche se in effetti
il piombo non è esattamente indicato in questo
genere di cose.
Sono del tutto rapito da tutta questa acqua
trasportata, condotta e indirizzata con cura, per
chilometri e per valli intere, conservata e mostrata
come bene prezioso e simbolo di potere e prosperità;
io trovo tutto cio', peraltro, di assoluta
attualità, ora che l'acqua manca, resa preziosa
dalla nostra consueta idiozia di segare il ramo sul
quale siamo seduti, come sempre.
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Ha quattro angoli
retti? E' carrée.
Tanto
Arles è
spocchiosa, leccatina e pedante, tanto
Nîmes è
spettacolare. Non mi soffermo su quanto si trova
nelle guide, arena, Maison carrée, tour
magne, giardini della Fontana, tempio di Diana
etc., anche se ne avrei una certa voglia, lo
ammetto.
Città ricca, colonia romana di prima grandezza (Nemasus),
da sempre in competizione con
Lione,
prima specializzata nella tessitura delle sete e
nella coltura della soia, da un paio di secoli si è
rispecializzata nel vino e si è data una bella
rinfrescatina. Hanno chiamato
Nouvel,
Starck,
Foster e
hanno affidato loro un potente restyling,
dalla galleria d'arte contemporanea ai quartieri
residenziali.
Lo
stesso simbolo della città, un coccodrillo
incatenato a una palma, è stato ridisegnato da
Starck (che, per questo, poteva pure starsene a
casa, a parer mio), per mantenere il legame con le
origini della città: infatti, i terreni su cui sorge
furono donati ai legionari romani trionfanti nella
campagna
d'Egitto contro Antonio e Cleopatra, da cui
il coccodrillo incatenato.
Il tempio al centro della città è chiamato
maison carrée
per il semplice fatto che i franzosi tutto cio',
rettangolo o quadrato che sia, che ha quattro angoli
retti lo chiamano carrée. Fu casa privata
nel Seicento, poi proprietà degli agostiniani che ne
fecero una stalla dell'annesso convento (alla
faccia, frati teppisti, altroché) e poi
deposito durante la rivoluzione, tant'è che ha pure
il numero civico, l'89. Saranno caduti l'uno e il
sette?
E si' che questa è terra protestante, i
camisards tennero in scacco a lungo le forze di
Luigi XVI fino all'editto di tolleranza, 1788, e le
chiese protestanti sono ancora numerosissime.
In città c'è trambusto, di questi giorni: dal 7 al
12 (e mi fermerei, quasi) ci sarà la
Feria,
perché questa è zona di tauromachia. Tori spagnoli,
da Salamanca e da Siviglia, a garanzia, e toreri
spagnoli mescolati a glorie locali, tre spettacoli
al giorno di cui la stella indiscussa sarà
Juan Bautista
detto "El
Cid". Spagnolo, evidentemente. Nîmes è
anche gemellata con
Salamanca,
ci mancherebbe che non mandassero i tori.
Da Verona,
anch'essa gemellata, forse mandano i pandori.
In una visita tra le tante non mi rendo conto in
cosa mi sia intruppato e mi ritrovo in una sala con
filmone in 3d, visto che siamo stati tutti dotati di
occhialetti all'uopo. Da non credere, quando il
gladiatore tira il colpo verso di noi, c'è gente che
si sposta. Caspitona, sembra proprio proprio vero...
Maddai, sembra piuttosto di giocare ad
Age of Empires
con lo schermo grande.
A proposito, novità tecnologiche in ambito
turistico: l'audioguida.
Ora, a parte la mia idiosincrasia per un affare che
devi girare cercando il numero seguente per poi
digitarlo e aspettare che la spiegazione sia finita
e il percorso libero te lo sei giocato. A parte
questo, dico, la cosa assurda - capita sempre - è
che coloro che sono succubi dell'audioguida, mentre
la spiegazione è attiva, guardano il numero
sulla parete, belli fissi. Giuro, è da un po'
che li guardo. Solo dopo, ad apparecchio zitto,
alzano il capino.
Ieri sera ero fermo sulla riva di un canale ai
giardini della Fontana e scrivevo, appena appena
all'ombra di un sole bellissimo. Passa un ragazzo
con una custodia di uno strumento musicale, mi
guarda e, facendo un cenno ampio con il braccio
verso il cielo, dice: "Grand
journée pour la création".
Grazie, amico, mi hai allargato il cuore.
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La torre di
controllo.
Oggi in tardo pomeriggio, sempre
a Nîmes, mi giunge un sms dal mio amico
mr. S.
Dice, pressapoco: "NEMAUSUS
Jean Nouvel. Avenue de General Leclerc 66".
E aggiunge qualcosa sulla sua gioventù, deve essere
stato importante per lui in qualche modo.
Eleggo mr. S.
prontamente "torre
di controllo del tardo pomeriggio" e mi
concentro: ho una missione. Una missione oltre alle
solite, ovvio, che sarebbero vendicare nostro padre,
sconfiggere le nere orde di Mordor e portare la
bellezza nel mondo con la danza. Parto per la
destinazione sconosciuta.
Raggiungo la posizione indicata dopo un po',
Nemausus,
superando traversie inimmaginabili da essere umano;
mi divertono moltissimo le indicazioni da lontano,
essere guidato da una torre di
controllo,
appunto. Inoltre, ho già incontrato Nouvel a Lione,
posso approfondire; e poi questa missione ben si
accorda con quanto ho scritto e visto di Nîmes
proprio oggi.
Arriva un'altra dritta: "Fai
un giro sul ballatoio, se si puo'. E' fatto con
materiali da catalogo di prodotti per l'edilizia
industriale". Mr. S. sa che sono
ignorante in materia, indicazioni graditissime.
Giro, vedo, apprendo. E' un po' scassato ma valeva
la pena.
Grazie mr. S.,
questo splendido autoscatto a sinistra è dedicato a
te, mia prima torre di controllo di questo viaggio.
Apprezzo anche il fatto che non mi hai
spiritosamente diretto in qualche vulcano o
maelstrom, grazie.
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Maggio francese.
Oggi è il primo maggio, di
conseguenza
trivigante va in manifestazione.
Il fatto che io mi trovi a
Nîmes
non comporta alcuna difficoltà, anzi. E, infatti, mi
aggrego al corteo, che si apre con il camion della
Cgt
che suona. Pero' suona Whatever
you
want degli Status Quo e Jump dei Van
Halen. Sono confuso. Poi, meno male, passa a canzoni
più consone che io non conosco, di cui una -
bellissima - ha un ritornello che fa, se ben
comprendo, "bataillons bataillons bataillons
pour la
justice"
o qualcosa del genere. Che soddisfazione.
Più indietro, la parte di corteo della
CNT,
che è la confederazione del lavoro anarchica, che
invece propone grandi classiconi della musica e
degli slogan, tra cui la più comprensibile
Internazionale. Per me, ovvio. Altre
confederazioni? Non pervenute.
Passiamo anche sotto l'arena, il che - oltre al sole
meraviglioso - aggiunge senso a senso a questa mia
presenza qui, anche se non
siamo
tanti, questo devo dirlo. Un migliaio, forse, in fin
dei conti Nîmes
non ha tantissimi abitanti, centocinquantamila a
spanne. E, infatti, veniamo controllati a vista da
due poliziotti in bicicletta, senza nemmeno la
pistola.
Giusto cosi', per carità, non chiedo la prima
celere, pero' nemmeno dei polotti balneari, ecco. La
manifestazione prosegue tranquilla tra canzoni,
danze e rivendicazioni, sotto un sole caldissimo, un
mistral fresco e carezzevole e una città bellissima.
E' pur sempre un maggio francese.
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La storia
paraguagia.
Come promesso il 28, riporto il
racconto che il mio nuovo amico paraguagio mi ha
fatto a Orange.
Il Paraguay,
che è un paese davvero poverello ed esce da
sessantun anni devastanti di governo del
Partido
colorado, in realtà potrebbe essere il paese
più ricco dell'America latina, se solo riuscisse a
ristabilire la propria sovranità sulle risorse.
Ma, attenzione, stranamente per una volta qui non si
parla di Stati Uniti, ohibo'.
Il
Paraguay possiede due enormi dighe sul Paranà e su
una di esse si trova la più grande centrale
idroelettrica del mondo,
Itaipu.
Sulla seconda diga si trova, invece, un'altra
centrale, enorme anch'essa, che si chiama
Yaciretá.
La prima produce novantamila gw/h l'anno, che è
circa quattordici volte il fabbisogno energetico del
Paraguay, la seconda ne produce diciannovemila gw/h.
Senza essere ingegneri, si capisce che basta e
avanza per il paese. Pero'.
Un gigantesco pero', come spesso succede in
Sudamerica: nel 1973 il generale
Stroessner,
vigliacco dittatore con pochi pari, in cambio di un
considerevole pacco di milioni, si fece corrompere e
sottoscrisse un doppio trattato cinquantennale con
il Brasile, firmatario il generale
Garrastazu
Medici, e con l'Argentina, firmataria
Maria Estela
Martinez Peron. Tra i tre, non so chi sia il
peggiore. Comunque, il trattato di Itaipu prevede
che la metà dell'energia prodotta dalla centrale
venga venduta al Brasile (25% del fabbisogno
complessivo), il trattato di
Yaciretá
prevede che tutta l'energia prodotta dalla seconda
centrale, più piccola, venga venduta all'Argentina.
Inoltre, tutta l'energia non utilizzata dal Paraguay
deve necessariamente essere venduta ai due paesi
compagni di merende. Simpatici strozzini.
Il Brasile paga ogni megawatt/h prodotto la bellezza
di 2,72
dollari, come da trattato. Peccato che lo stesso
megawatt venga venduto in Brasile a
80,84
dollari. L'Argentina? Uguale. Ora: se il Paraguay
potesse vendere a prezzo di mercato la quota di
energia prodotta in eccedenza dalle due centrali,
guadagnerebbe
11 miliardi di dollari l'anno, al netto delle
spese. Vale a dire, pari all'intero PIL paraguagio.
Invece incassa 102 milioni di dollari l'anno.
E c'è di più: siccome il Brasile ha finanziato la
costruzione delle dighe e delle centrali (costate 20
miliardi di dollari invece che 2, come da progetto),
ne consegue che il Paraguay ha un enorme debito, per
cui il Paraguay, oltre subire un furto, finanzia
pure lo sviluppo brasiliano. I tassi pare siano da
usura.
Il ministro dell'energia brasiliano,
Edison Lobao
(nomen omen...) sostiene che "il prezzo
e' giusto". Cento, cento, cento, gira la
ruota... Da parte del democratico Lula, nessun
commento.
Oppure, se il trattato non è rivedibile fino al
2023, si ritocchino i prezzi, in nome dell'equità.
Cosa potrà fare
Fernando Lugo è ancora da vedere, speriamo.
Lula? Sveglia!
Per la serie, ancora: comodo fare i sinceri
progressisti con l'energia altrui.
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