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2006 |
|
Il ventre
dell'architetto.
Solidale con i miei amici architetti che vivono in
un mondo davvero difficile.
E' iniziato ieri a Torino il
XXIII Congresso mondiale degli Architetti,
summa
imbarazzante di una certa parte di mondo che
interpreta l'architettura come un piacevole
intermezzo tra le parole in libertà a un
cocktail
all'aperto e una colossale terapia di gruppo per
ego
ipertrofici con scarpe scamosciate.
Il titolo del congresso è "Transmitting
Architecture-Trasmettere l'Architettura",
manco fosse sifilide, il cui
manifesto di intenzioni è già di per sé
significativo del delirio sintattico e di concetto:
"L'architettura che
si pone all'interno di un processo complessivo che
si vuole misurare con problematiche che travalicano
gli stretti ambiti e linguaggi della professione,
per affrontare le vere, grandi questioni
dell'umanità", niente di meno, non fosse che
manca la reggente e che, per i non adepti, la frase
più che vaga pare pronunciata da Superman al
tecnigrafo; proseguendo, presto giunge la perfetta
proposizione d'ingegno, "L'architettura
come sintesi del lavoro e del contributo di diverse
discipline" nella quale, oltre all'ovvietà
del significato, trionfa l'assenza di una qualunque
forma verbale, ritenuta poco evocativa e
demodé;
terzo capo concettuale, "L'architettura
che vuole sfuggire agli eccessi dell'individualismo
per affrontare e risolvere i problemi concreti che
interessano tutti", scritto con evidenza da
un architetto di tredici anni al ritorno dalle
vacanze estive. Memorabile la chiusa, che richiama
all'attenzione "la
salvaguardia ambientale come dovere etico
dell'architetto, per un mondo abitabile nel futuro":
basta che sia
abitabile, altrimenti son cazzi per tutti,
cari colleghi arch.
Prima deduzione:
se siete interessati a scrivere di architettura,
seguite la regola invariabile che prescrive di
cominciare ogni frase, qualunque frase, con le
seguenti strutture: "articolo-sostantivo-che",
"articolo-sostantivo-come".
E il più è fatto, poi è come il
Paroliere.
Brutti verbi, brutti.
La sezione "Eventi"
del programma, come sempre, è la più gravida di
meraviglie. Come non soffermarmi sull'eccezionale "Architecture
Inside", in cui purtroppo non si parla di
ventri e interiora ma si entra fisicamente in alcuni
studi di architettura torinesi "per
entrare nel vivo e partecipare
al dibattito
dell'abitare oggi con
addetti ai
lavori e simpatizzanti dell'argomento".
Salve, sono un
simpatizzante dell'abitare oggi, posso avere
una tartina anche io? Magnifico. E nemmeno si parla
di interiora alla mostra "Donna
Colon", mia colpevole ignoranza, per un attimo
ho pensato a un viaggio anatomico nell'universo
femminile, pardòn.
A proposito di donne, eccezionali due eventi al
riguardo, la tavola rotonda "Architettura
al femminile", sottotitolo "L'apporto
femminile al design, La donna e la città, La donna e
la creatività, La donna e la professione
dell'architetto", e la pubblicazione "Women,
Steel and Architecture", che mi suona come "Donne,
Acciaio e Architettura", in cui si raccolgono
"poesia
e concretezza, determinazione ed innovazione, come
solo il genio femminile sa esprimere". Sarà
una mia impressione ma mi pare si trasudi
maschilismo paraculo un pochetto porno-fascistello,
tra donne, acciaio e visioni femminili che nemmeno
l'heavy metal
spinto. Teorizzare "La
donna e la professione dell'architetto" è da
denuncia o calcio nei maroni, minimo. Per architetti
adolescenti.
Vagolando ancora, non mi perderei per nulla al mondo
il "Primo
congresso di Feng Shui scientifico" e l'ipertecnico
"Progettare
e costruire edifici alti", dal titolo davvero
per chi è addentro.
Infine, a trionfo dei cinque giorni e della parata
di idee luminose, come mancare la "1°
Coppa del mondo di Golf Architetti", qui il
modulo di iscrizione, a degna conclusione di una
kermesse in
cui il pensiero dialoga con l'essenza immaginifica
della concezione ideale dell'abitare e la sapienza
dei materiali che uniscono tradizione e innovazione
in un tutt'uno reale?
Vestirsi spurtivi,
spurtivi ma
fighetti.
(aggiunta:
quasi dimenticavo un particolare importante, ciò che
spetta a ogni partecipante al torneo di golf. Cito:
"una
welcome bag
a tutti gli iscritti, contenente
t-shirt del
campionato e
set di palline
logate coppa del mondo Architetti" in
cui il mostruoso neologismo "logate"
sta per - ardisco - "con
impresso il logo di". Vacillo).
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Congratulazioni.
L'italico genio in estrema
estrema sintesi e in ordine cronologico.
Piano
Air France su Alitalia: aumento di capitale
di un miliardo di euro, riduzione della flotta
aerea, riorganizzazione con
1.600 esuberi.
Per Alitalia Servizi, circa 2.800 persone da
inserire in Alitalia Fly, l'attività del personale
in capo ad Az Servizi garantita per un periodo di
quattro anni rinnovabile per altri quattro.
Bocciato.
Piano Intesa Sanpaolo su Alitalia: nascita di
una nuova compagnia in cui far confluire Alitalia
fortemente ridimensionata assieme ad Air One, in
contemporanea una ricapitalizzazione che apra il
capitale a soci industriali e finanziari. Poi, in un
secondo tempo,
ricerca di un partner internazionale.
Esuberi:
"Quattromila
tagli? Visto
come stanno le cose, rischia di essere una stima
troppo prudenziale", dicono i tecnici di
Intesa. Teorico.
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Sarà l'aria di
Treviso.
Nella cattolicissima
Treviso,
una ragazzina minorenne concede il proprio corpo per
poter acquistare abiti alla moda. Peccato sia una
storia di quarant'anni fa:
la ragazzina che si faceva le foto nuda con il
telefonino e le vendeva ai compagni per qualche euro
è la variante tecnologica della protagonista del
terzo episodio di "Signore
e Signori" di
Pietro Germi
(1966), giovane ingenua che pur di fare acquisti si
lascia sedurre da commercianti e professionisti a
ripetizione. Sempre a Treviso. E allora?
Sentir tuonare la
psicologa di turno - iddio ci liberi - contro i
"ragazzi privi di
una guida che girano in un immenso mercato senza
aver imparato ad accettare il fatto di non poter
avere tutto ciò che vogliono" e contro il
mondo devastato da "Internet,
i telefonini, le immagini e la televisione"
mi fa, come minimo, accapponare la pelle. Le
immagini?
Delle
tre, l'una: o Germi era preveggente (anticipava i
tempi, questo sì, ma prevedere il futuro magari no);
o la signorina in questione ha visto il film; o
parliamo delle stesse cose da quarant'anni,
rinnovando lo scandalo e il commento al bar. E le
spiegazioni sono, come sempre, del tutto
improvvisate e prive di discernimento. Perché
guardare lontano?
Germi prendeva in giro un contesto ultramoralista e
bacchettone, mostrando come certe cose accadano
anche nella retta provincia italiana, oggi la colpa
è del contesto assatanato e del poco tempo che i
genitori passano con i figli.
Sarà, a me vien da pensare che se la figliola è del
tutto idiota, da qualcuno in casa avrà pur preso.
Che la televisione aggiunga il carico da dieci al
disfacimento morale mi fa solo, ancora, ridere.
Possibile che nessuno tra genitori, psicologi,
figlie degenerate, lettori di repubblica (eccomi!),
telespettatori, commentatori e così via abbia mai la
compiacenza, per una volta, di riconoscere in sé e/o
nella propria prole un idiota?
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Il patto del
cavallo.
Alle spalle di Trastevere capita
che vi sia un colle che, sebbene non faccia parte
dei proverbiali sette, ha una sua importanza da
sempre: il
Gianicolo. L'intestazione è interessante,
poiché il toponimo è riferito al dio
Giano,
dio romano eclettico e bifronte, titolare di
concetti materiali ed immateriali assolutamente
affascinanti, vale a dire
gli inizi e i
passaggi, siano essi le soglie delle porte di
casa o la nascita, la vita, l'inizio di una
stagione, la spunta del raccolto e così via. Quando
Roma scendeva in guerra, le porte del tempio di
Giano restavano aperte fino alla fine della
campagna.
Tuttora sul Gianicolo accadono
cose bizzarre:
a mezzogiorno un cannone spara segnando l'ora, una
delle terrazze panoramiche del colle è sormontata da
un faro vero e proprio - immagino sia per le navi
volanti - e, sulla stessa terrazza, una volta
sostavano i parenti dei detenuti a
Regina Coeli
i quali, essendo il carcere appena sotto, riuscivano
a comunicare agevolmente senza dover aspettare il
colloquio settimanale. Un siparietto davvero niente
male, il direttore era permissivo.
Nel 1849,
papa Pio IX
chiese l'aiuto dei
francesi
contro quella
Repubblica Romana che tanto lo infastidiva ed
essi, i franzosi, assediarono la città. La
resistenza venne organizzata sul
Gianicolo,
punto debole del fronte della Repubblica, da
Garibaldi,
Mazzini e
Pisacane,
e la difesa fu leggendaria.
Crollata la Repubblica, dopo l'Unità d'Italia la
cima del Gianicolo divenne un immenso parco dedicato
al Risorgimento,
con ossario, moltitudini di statue e busti, retorica
varia sparsa a profusione. Il ventunenne
Mameli
giace qui, valga come esempio.
Nel
1895, per onorare l'eroe e la resistenza contro il
papa Re, sul cucuzzolo del colle fu apposto un
enorme basamento sul quale troneggia ancora oggi
la statua di
Garibaldi. Vuoi per caso vuoi per perfida
scelta politica, la statua
venne orientata
così che guardasse dritto dritto il Vaticano,
fiera e ritta di fronte al nemico. Giova ricordare a
proposito che all'epoca, fine Ottocento, le
relazioni tra papato e regno d'Italia erano bell'e
che interrotte.
Quando ripresero e portarono ai
Patti
Lateranensi del 1929, uno degli accordi
minori dei trattati prevedeva che la statua dallo
sguardo fastidioso fosse girata su sé stessa, a
guardare fissa verso Roma e non verso la finestra
papale, che il papa mi si innervosiva. E così fu
fatto, Garibaldi
fu girato, fu girato su una gamba, Garibaldi
che comanda. Come è oggi.
Ahilui digiuno di geometria elementare, il papa fece
calcoli approssimativi e, nella rotazione di
centottanta gradi, ci perse parecchio: infatti,
Garibaldi e ancor più il suo cavallo - come dice il
poeta - da allora "mostrolli
il culo", sebbene di terga signorilissime si
tratti.
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Alta velocità.
Mi fa schifo ma non posso
esimermi. Seconda tornata di intercettazioni
nell'ambito dell'inchiesta su
Agostino Saccà
e gli allegri accordi
RAI-Mediaset,
con contorno di raccomandazioni e programmazioni
all'unisono. Niente di nuovo ma, poiché saranno le
ultime intercettazioni, tanto vale dare un ascolto
qua e là. Mi riguarda un'intercettazione in
particolare, telefonata
Berlusconi-Guido
De Angelis, il secondo è l'indimenticato
uno del duo musicale
Oliver Onions,
con all'attivo le sigle televisive di Sandokan,
Zorro, Orzowei e Il Gatto Doraemon.
Anvedi.
Adesso fa il produttore e infila zoccole qua e là, a
seconda della richiesta.
Anche Berlusconi
ha le sue richieste in fatto di zoccole, si
sa, e così fissano un bell'incontro, decidendo di
andare insieme in aereo
da Roma a Milano.
Anzi, ad Arcore.
Dopo averlo fatto attendere un po' al telefono,
d'altronde il potere è il potere,
Berlusconi
fa il piano di viaggio finale: decollo alle
12.30 da
Ciampino, arrivo ad
Arcore
alle 13.45, quindi - gli fa - "passa
da me a Palazzo Grazioli a Roma alle 12".
Tempo netto: 1
ora e 45 minuti.
Commento vocis
populi: stronzone.
Piazza
Venezia-Ciampino in mezz'ora a mezzogiorno
significa una cosa sola (al tempo non era nemmeno
presidente del consiglio): palette alzate, auto a
sirena ululante, sgommate, aria da colonnelli
sudamericani e in culo il puzzolente pedone che
attraversa la strada. Il resto, ovviamente, è noia.
Compreso il fatto che, talvolta, il pedone
puzzolente sono io.
Sempre vox populi,
per inciso, io ci metto un'ora e quarantacinque solo
per arrivare a Ciampino, a mezzogiorno.
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Gomorra.
Leggo oggi sul giornale che
Gomorra,
il film, ha superato i dieci milioni di euri di
incasso. Il che, a spanne, fa più o meno un milione
e avanza di spettatori. Al di là delle folgorazioni
di Cannes, il film non regge il libro, infinitamente
più complesso e interessante, sia per la definizione
e il numero delle storie (il sarto su tutti) sia per
la scrittura di Saviano, accidenti a lui,
eccellente.
Io già a metà del primo tempo non vedevo l'ora
finisse, il film, perché - confesso - ne avevo
abbastanza di vedere Scampia, i camion di rifiuti
guidati dai bambini, le regole idiote di un mondo
che nemmeno dovrebbe esistere, l'orrendo senso
dell'onore di certi figuri che nemmeno l'isola del
diavolo basterebbe, la banalità manichea
dell'appartenenza ai clan, i soldi, lo schifo
generalizzato che, alla fine, arriva anche nel mio
piatto. Manca del tutto la narrazione sulla camorra
che fa affari con e grazie all'amministrazione
politica, ma tant'è. Pigliare allo stomaco è (anche)
il senso del film, e va benissimo per carità.
Siccome
però non sono cose che scopriamo oggi, almeno molti
di noi, l'incazzatura sovrasta il senso di sconcerto
e di sorpresa. Incazzatura che, a ben vedere, non è
certo una prerogativa leghista, anzi,
sarebbe una
prerogativa della sinistra. O, almeno, lo era.
Bella sconfitta, questa, e l'immobilità si manifesta
ancora una volta con il cappotto, un altro, preso
alle amministrative in Sicilia ieri.
E qui sorge spontanea la domanda: e se Gomorra fosse
uscito prima delle elezioni, come sarebbe andata?
Lega al raddoppio e noi ancora a fare la figura dei
deficienti?
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Basiliche
accatastate, fumetti e uno strano dio.
Accanimento architettonico,
derivato dell'accanimento religioso, è l'unico
concetto che mi viene in mente per spiegare la
sovrapposizione di muri su muri e di culti su culti
che ho visto oggi: i tre strati della
Basilica di San
Clemente al Laterano, manco fosse una torta.
Partendo dall'alto, in calzoncini del XII secolo con
foggia bizantina, la
basilica di San
Clemente come la si può visitare oggi
scendendo al massimo tre gradini in profondità;
sdraiata sotto la basilica alta,
la seconda
basilica, in maglietta paleocristiana un po'
umida, quattro o cinque metri sotto il livello
stradale; terzo livello, alcune
stanze di epoca
repubblicana, forse un'abitazione, al di
sotto delle quali, in direzione centro della terra,
un locale adibito a
mitreo,
lambito da un fiume sotterraneo bello vivace. Che
confusione, meglio puntare al dunque.
Nella basilica
inferiore, buia, umida e scivolosa come
spesso accade alle basiliche sovrastate da altre
basiliche, sono sopravvissuti al tempo alcuni
affreschi che raccontano la vita di san Clemente,
miracoli e aneddoti. Uno di questi illustra la
vicenda del
patrizio Sisinno, che ordina a tre servi di
trascinare il corpo di san Clemente: nessuno dei
quali si è accorto, miracolo, che il corpo è in
realtà una colonna. Più che miracolo, sa di raggiro
furbetto, direi. Comunque, la cosa importante è che
l'affresco è
parlante, nel senso che accanto ai personaggi
sono dipinti veri e propri fumetti in lingua
semi-volgare, uno spasso per i fumettari
appassionati di storia della lingua italiana di cui
è pieno il mondo. Sisinno, per esempio, smadonna
contro i suoi servi dicendo: "Fili
de le pute, traite", un trionfo di gentilezza
in latino-romanesco.
Primo fumetto della storia, pare, e volgare che
anticipa di un paio di secoli i siciliani più noti.
Già questo basterebbe a giustificare un giretto qui
ma ho promesso anche lo
strano dio
e mi tocca mantenere: scendendo ancora, diciamo una
decina di metri sottoterra, in una delle stanze di
epoca repubblicana è visibile un
mitreo
che, avanti con la cultura, è una stanza sotterranea
senza finestre con due lunghe panche laterali e un
altare in fondo, sul quale una statua rappresenta
Mitra mentre
uccide un toro, un vero classico del genere.
In luoghi come questo (ne esiste uno persino sotto
il Circo Massimo), un po' segreti e un po'
riservati, si
svolgeva
il culto del
mitraismo. A un certo punto della storia
romana, il
mitraismo divenne una religione molto di
moda: esotica al punto giusto (persiana ed
ellenistica) faceva molto
chic, un
po' come il buddismo qualche anno fa, esoterica al
punto da essere segreta e riservata a iniziati
selezionati accuratamente, insomma una
sciccheria
di religione.
Desidero lasciare ai più volonterosi le ricerche
ulteriori, io vorrei limitarmi a segnalare alcune
notizie interessanti che ho appreso oggi: per ben
cominciare, il
mitraismo è antecedente al
cristianesimo
di tre secoli, sovrapponendosi poi per altri tre o
quattro fino alla scomparsa; il destinatario nonché
titolare del culto in area mediterranea,
Mitra,
nasce il 25
dicembre,
oh ! oh!, e
muore a
trentatre anni,
'azz! Non
solo, nasce in
una grotta, viene adorato
da pastori che
recano oro, incenso e mirra.
Uhm.
Inoltre, nasce
da una vergine e, dopo morto,
resuscita
e si reincarna per
ascendere
al cielo.
Ma... D'accordo coincidenze, come coincidenze
sono l'esistenza nel culto mitraico del
paradiso
e dell'inferno,
di una specie di
eucarestia
praticata con
pane e
vino (o
sangue del toro), la
santificazione
del
settimo giorno e così via.
Io non so, ovviamente, chi copi chi e, cercando un
poco in giro, mi pare che la cosa non sia molto
chiara ad alcuno, dato che il dibattito è più che
aperto. La cosa non è fondamentale, anzi, non ho
raccolto questi quattro indizi per screditare
cultori passati e presenti, bensì perché queste
somiglianze la dicono lunga, molto lunga, sulla
natura stessa del culto, come pratica e uso, le
somiglianze scappano da tutte le parti tra religioni
che ci piace pensare diverse.
I tre strati di San Clemente, quindi, sono ben più
di tre, tra fumetti, culti paralleli e coincidenze.
Se non mi venisse troppo da ridere, potrei scrivere
un romanzo idiota sul mitraismo, spacciarlo per
storico, fare incazzare il Vaticano, girare un film
con Tom Hanks e diventare davvero molto ricco. Ma
no, brutte cose, mi accontento di non essere
scivolato sui gradini umidi del mitreo, vanificando
tutti i miei sforzi fino a qui. Essere vivo è già
una bella impresa.
|
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Toccare con un
dito il dito.
Per prima cosa meglio spazzare il
campo dagli equivoci: il proverbiale
San Tommaso
incredulo alla vista di Cristo risorto che infila il
dito nella piaga per verificare e che non ci crede
finché non tocca è il
San Tommaso
apostolo, da qualcuno ritenuto il fratello
gemello di Gesù e festeggiato il 3 luglio. Niente a
che vedere con i santi d'Aquino, Becket, More,
dunque. Ovvio, basterebbe fare due più due con le
date ma l'umano ingegno tutto può.
Caravaggio,
qui a fianco, dipinse
San Tommaso
che saggia con dito tra costoletta e costina la
consistenza effettiva del corpo di Gesù dopo la
morte e la resurrezione, perché non è che ci
credesse tanto, meglio verificare
de ditu. E
giù di proverbi, da allora in poi. Comunque, di
San Tommaso
si persero le tracce dopo la morte di G., qualcuno
dice che se ne andò in India e diede inizio a una
maledizione, chi vuol verificare verifichi.
La storia non finisce qui, perché
San Tommaso
comparì nuovamente nel 1258 sotto forma di reliquia,
portata dall'Egeo a Ortona da un navigante fedele a
Venezia. Lesti nel cogliere l'occasione, gli
ortonesi tiraron su una bella cattedrale, la
intitolarono all'apostolo ed esposero le reliquie,
ancora oggi visibili. Gli ortonesi, entro in zona
divagazione, son gente strana, un miscuglio di
pirati illirici e dalmati, gente normanna,
longobarda, italica, al punto che ortonesi in
qualche maniera sono G. D'Annunzio, M. Costanzo e R.
Siffredi, tutti gettabili senza remore dalla rupe
del disonore.
Basta divagare, devo giungere al nesso con me in
data odierna: dalle reliquie ortonesi, per un
qualche motivo non noto ai più, si separa
il famoso dito,
il dito del divin costato, che per via dritta e
sicura giunge a Roma, nella
Basilica di
Santa Croce in Gerusalemme. Ovvero, il
medesimo luogo nel quale sono stato io oggi, guarda
il caso. E sì, senza
suspans, ho
visto il dito, il dito di
San
Tommaso
ficcanaso, proprio lui,
IL dito da
mettere nelle piaghe per verificare. Accludo foto
allegra della sobria nonché vera reliquia con
copridito.
Ho
pensato tanto:
Tommaso se non vede non crede; anche
io se non vedo non credo, in parallelo; ne
consegue che non solo non credo a Gesù se non lo
vedo ma non credo nemmeno a Tommaso, se non lo vedo;
quindi, ora che ho visto Tommaso, almeno in parte,
potrei anche credergli, visto che
il dito
è proprio proprio certamente fuordidubbio il suo;
dando per buono
il dito, esso però non implica direttamente
il costato gesuino, implica eventualmente
l'esistenza di
Tommaso, per il resto garantisce lui. Cosa ti
aspettavi,
Tommaso,
proprio tu?, che ti credessi sulla fiducia
senza verificare di persona? Ovviamente no,
increduli su increduli al quadrato.
Da questo momento in poi sono fiero di me perché,
finalmente, credo in qualcosa: nel dito.
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Del papa non si
butta via niente.
Ovvero snobbare felicemente le
masse e distinguersi per moto contrario.
Prima mossa: mi accodo alla fiumana di gente che da
via del Corso taglia verso la fontana di Trevi,
mantenendo atteggiamento distaccato e animo
superiore, poiché non sto seguendo alcuna guida e la
fontana di Trevi non è il mio obbiettivo. I
giapponesi e gli americani ancora non lo sanno, lo
sapranno presto. Mi accodo ma non mi mescolo.
Seconda mossa: una volta di fronte alla fontana, le
volgo le spalle, dando così inizio al moto
contrario. Può darsi che un romano impiccione mi
rivolga un “la
fontana sta ddellà”, può essere, mantengo
sempre distacco e animo superiore.
Terza mossa, impudente: ruotare di quarantacinque
gradi verso sinistra, fissare lo sguardo sulla
chiesa di fronte, scattare una fotografia,
mantenendo sempre alle spalle la fontana. A questo
punto la resistenza al moto umano tocca il culmine:
un milione di persone che guarda e fotografa da una
parte, io guardo e fotografo dall'altra. Potrei
passare per idiota, anzi sicuramente lo passai, è il
destino comune a tutti gli avanguardisti. A
proposito, sto quasi mettendo in atto una
performance artistica di rottura con le correnti
dominanti, altro che la vernice rossa e le palline
colorate dei cosiddetti neo-futuristi in cerca di
ingaggio.
Comunque,
oggetto della mia attenzione è la chiesa
pluricolonnata della fotografia qui accanto, detta
buffamente "chiesa
del canneto", proprio per le abbondanti
colonne barocche, diciotto, altresì conosciuta,
secondo la nomenclatura parrocchiale, come
chiesa dei
santi Vincenzo e Anastasio.
A parte il canneto, a parer mio la chiesa non vale
granché, se non fosse per una memorabile storia di
trippe, budella, viscere, interiora e rigaglie.
Infatti: se un corpo papale ha da essere
imbalsamato, come tocca a quasi tutti i corpi
papali, che fare del contenuto, salvando il
contenitore? E' evidente che sarebbe poco opportuno
gettare le interiora ai cani, sarebbe poco salubre
mangiarsele, data l'età e la possibilità di morte
per avvelenamento del papa sopradetto, sarebbe
inappropriato buttarle nel cassonetto dell'umido
secondo la dottrina cattolica e secondo i dettami
della raccolta differenziata.
La soluzione, dunque? Conservare le trippe
pontificie in luogo appartato, questa chiesa, perché
del papa, come del maiale, non si butta via niente.
Ed è per questo che, saggezza romana, oltre che
chiesa del
Canneto è detta anche
chiesa delle
Frattaje.
E di trippe e frattaglie ce ne sono parecchie, anche
se nascoste in un andito non accessibile, almeno
ventun papi riposano qui sotto forma di fegati,
intestini, budellacce varie, dal 1590 al 1903. Dice
il Belli (sonetto 1529): "Drent'una
chiesa er corpo in barzamella" - imbalsamato,
parla di San Pietro - "e
drent'un'antra li pormoni, er core / er fedigo, la
mirza e le budella!", la chiesa delle
Frattaglie, appunto. All'uscita, la consapevolezza
tutta particolare di guardare i tiratori di monetine
nella fontana con la certezza che mai sapranno ciò
che nasconde la chiesa invisibile alle loro spalle:
budelle papali. Non tutti ridiventano polvere,
qualcuno semina rognoni e trippe a destra e a
mancina con gusto del macabro, bisogna dirlo, del
tutto cattolico.
|
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Poesia romana.
Da che scese Cristo in terra,
Roma divenne zona, al massimo, di stornelli e
versacci satirici, ché la poesia vera, da allora, si
fece perlopiù a nord, in Toscana, in Provenza, in
Germania piuttosto; dopo San Pietro, non fu alcuna
corte romana in cui cantare l'amore e il rapimento,
sentimenti del popolo bue senza fede, e di certo
divenne consigliabile, bevendo il vino bianco de li
castelli, pensare più al dileggio e allo scherzo che
all'amor cortese; sarà forse che qui, più che chiare
e fresche e dolci acque, c'eran le paludi e certi
sassi che venivan fuori dal terreno, sarà che i
lirici sentimentali e il papa poco andavan
d'accordo, a differenza di pittori, architetti e
scultori. Quali che siano le ragioni (è pur vero che
il potere secolare o spirituale sta ancora qui) se
il desiderio di verseggiare castamente alla donna
diveniva irresistibile era consigliabile cercare
aria più favorevole.
E così qui, ancor oggi, regna la poesia der popolo e
della carne. Ne nascono poeti come il fiumarolo
Eugenio
Cornacchia, amante del Tevere, che diceva nel
1978:
"Ricordete che
er fiume vede e sente / e l'urtima parola è sempre
sua / se dici li mortacci sotto ar ponte / subito
l'eco t'arisponne: 'li tua... aaa...' / Pure se l'aribatti
dentro ar sonno / Lui t'aripete sempre 'E de tu'
nonno... ooo!'.
Per non dire del
Belli,
insospettabile impiegato che ne aveva una per
chiunque e che raggiunse siffatti vertici di poesia
amorosa: "Insomma,
cazzo, se pò avé sto bbascio / Se pò ttastà un
tantino er pettabbotto / Ma nnun avé ppavura, che
ffo adascio: / Cuanto che ssento che cce tienghi
sotto" e così via nel sonetto 182, "La
scrupolosa", là dove è facile intuire cosa
sia il pettabbotto.
E di poeti se ne trovano tuttora ovunque, spesso
riversi da qualche ponte per troppa ispirazione,
oppure sdraiati per far raffreddare il sentimento,
sconosciuti e senza nome.
Ben prima di Luther Blissett, patetico esperimento
di identità collettiva, qui a Roma regna da secoli
Pasquino,
ovvero il sonetto o la quartina di scherno e di
denuncia, appiccicata in forma anonima sotto le
statue parlanti, Pasquino, Babuino, Marforio,
l'abate Luigi e madama Lucrezia, sia che si inveisca
contro il Papa, contro il traffico, contro il tempo
o Mastella. La migliore in tempi recenti? 1936,
Mussolini per non sfigurare in occasione della
visita di Hitler, fece costruire la stazione
Ostiense, tutta bella fascistona. Poiché non fu
finita in tempo, il mascellone fece mascherare le
magagne con scenografie di cartone, dipinte come se.
Pasquino, il giorno dopo sentenziò: "Povera
Roma mia de travertino! / T'hanno vestita tutta de
cartone / pe' fatte rimirà da 'n imbianchino".
E per finire, venendo ai tempi nostri, non posso non
citare l'altrettanto sconosciuto, nonché sontuoso,
Pino Cruccio,
anche lui incapace di resistere alla tentazione
della poesia. Ne cito due. La prima, titolo: "Supplì".
Poesia: "Io / che
ti pensavo / tiepido / ora / muoio / in un / inferno
/ interiore / di lampi / e / fuoco". La
seconda, dolorosa: "Vita
/ amara / di disgrazie / perché / i destini / si
somigliano tutti / caffè / salato / perché / i
barattoli / pure".
La vita è difficile, fortuna che a Roma c'è poesia.
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Addizione di genio.
La
sommatoria è a dir poco imbarazzante: il fine gusto
per l'esibizione di sé stessi in
limousine
iperdimensionata con tanto di mezzobusto fuori dal
tettucccio unita alla lieve scelta del modello
Hummer, sobrio e adeguato ai canoni estetici
attuali.
Ne consegue che lunghezza per mole fa non cafone ma
molto molto di più, qualcosa che fino a oggi non
avevo nemmeno osato immaginare.
Ah, l'Italia, la moda, il gusto, lo stile,
uotta a uonderful
cauntri. |
Emily è fuggita
con Steerforth.
Non ci posso credere. La piccola
Emily è
fuggita con
Steerforth, con il cadavere del signor
Barkis
ancora caldo sul letto di morte, sono esterrefatto.
Fedifraghi. E che dire di
David,
che si è sposato con
Dora,
graziosa quanto insulsa fanciulla dedita alla cura
del suo cane e null'altro? Non può finire così, non
può, David ama da sempre Emily, così dovrebbe
andare, secondo me tra poco
Dora
muore.
Non appena le nubi si diradano all'orizzonte ed è
possibile tirare un sospiro di sollievo, ecco
immediatamente un rovescio, succede sempre, che
ristabilisce l'andamento delle cose, un giorno su e
un giorno giù. L'importante, come dice la
signorina
Trotwood, è mantenere dignità e compostezza
anche nella disgrazia. Per fortuna, vale anche per
le risalite.
E'
la ferrea legge dei romanzi dickensiani - e non
solo: gli stati di felicità e di disgrazia non
durano mai a lungo, bisogna essere pronti, saldi nei
sentimenti e tenaci nell'affrontare le situazioni.
Tra i fulmini a ciel sereno, il rovescio principe è
il rovescio finanziario: "Cara,
abbiamo perso tutto, siamo rovinati".
Investimenti sbagliati, uno o più truffatori, una
banca incapace, niente di nuovo, chi ha investito in
Parmalat
o nella
Popolare di Lodi lo sa. Oppure un usuraio
traditore, il subdolo
Uriah Heep
(questa è una chicca per gli amanti dell'hard
rock), che si insinua in un'onesta famiglia e
pian piano, sfruttando il nome e la fiducia
malriposta, la depreda dei suoi averi, o sfrutta la
rendita di posizione. Facile:
Gardini,
Tronchetti
Provera,
Casini, tanti altri.
La legge del denaro non ammette deroghe e non fa
sconti: "Entrata
annua venti sterline, spesa annua diciannove
sterline e sei: risultato, felicità. Entrata annua
venti sterline, spesa annua venti sterline e sei:
risultato, MISERIA".
Ma è Dickens,
il grandioso
Dickens, e di conseguenza chi dovrà pagare
pagherà, chi è destinato alla giusta felicità la
raggiungerà, chi dovrà morire morirà, così dovrebbe
essere sempre.
E su tutto regna un tranquillizzante senso di
provvidenza del tutto laico che, posso starne
sicuro, rimetterà le cose a posto alla fine, il
giusto agli onesti, pene ai colpevoli, poco ai
miseri d'animo. Non so se convenga sperarci, in
pochi si salvano davvero.
Fosse così la vita reale, vivremmo in un paese
decimato, sicuro. Proseguo speranzoso la lettura.
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