letturine:
Chuck
Palahniuk
Gang bang
Rudolf
Höss
Comandante ad Auschwitz
Maurizio
Ferraris
Il
tunnel delle multe
Maria
Bellonci
Tu vipera gentile |
commenti:
posta[at]trivigante.it |
trivigante
2006 |
|
I Re Magi portano i doni.
Visto il tenore della festa e del
contesto attuale, suggerisco per
l'occasione natalizia
due magnifici e
succulenti doni da sciorinarsi in
occasione delle cene parentali, facendo
davvero un gran figurone:
1)
La mia vita è stata una corsa.
In dvd, lo splendido nuovo
film di Paolo Pizzolante sulla vita
di Bettino Craxi:
"una vita vissuta di corsa, fatta di
scatti d’orgoglio (“non prendiamo
lezioni dai comunisti”), di
responsabilità (“se perdo il referendum
sulla Scala Mobile mi dimetto un minuto
dopo”), d’onore (Sigonella), di
giustizia (aiuto al dissenso
internazionale)". Una strenna di
grande valore che aiuta a pensare la
figura di Craxi come grande statista e
non solo come un grosso statista. Densa
di significato è la prefazione di Silvio
Berlusconi: "Il cortometraggio (...)
andrebbe proiettato anche nelle scuole
(...) per riflettere sul modo in cui è
finita la prima repubblica".
Non fatevelo mancare, tra il capitone e
lo spumantino gazzosino.
2)
Il Dizionario
poetico. Uno splendido volume
che raccoglie 2535 poesie, scritte da
Licio Gelli
tra il 1950 e il 2008, corredato da una
pergamena con poesia autografa del
Venerabile Poeta, firma dello stesso, un
cd con sette liriche lette da lui
medesimo (per i viaggi in auto), al
modico prezzo di 75 euri per la bellezza
di 1548 pagine, ovvero 2,1 chilogrammi.
Qui.
Ed è subito libreria.
Alcuni degli argomenti trattati dal
poeta: Amicizia, Bellezza, Carcere,
Farfalle, Fragilità umana, Giustizia,
Libertà, Politica, Speranza, Valori.
Una specie di compendio della vita.
Non fatevi mancare,
dunque, le due strenne natalizie del
2008, consigliate da trivigante.it
Un natale per bere e per
pensare, per ricordare e per mettere in
atto il piano di rinascita democratica.
In versi, però. Buon
natale a tutti in ottima compagnia. |
Anche
a Genova faceva
caldo.
Il 6 novembre scorso
Aufi Farid,
detto Fabio, algerino di quarantasei
anni, è stato arrestato dopo un
borseggio ed è stato condotto nella
caserma dei
carabinieri della Maddalena di Genova.
Non è chiaro se fosse o meno il
colpevole del borseggio. Aufi è entrato
alla stazione alle 14.30 e ne è uscito
alle 19.30.
Dalla finestra.
Dopo quattro ore di agonia è morto
all'ospedale Galliera di Genova. La
ricostruzione ufficiale del comandante
della stazione: l'uomo era ammanettato
con le mani dietro, le manette gli sono
state spostate in avanti per fargli
compilare un foglio, mentre uno dei
carabinieri prendeva il modulo l'uomo si
è divincolato ed è precipitato dalla
finestra. Punto. Il comandante non si
è premurato nemmeno di raccontare il gran
caldo che faceva. La ricostruzione della
moglie Sandra è tristemente laconica: "L'unica
cosa che ho capito è che avrebbe avuto
tutte e due le mani legate ma, mentre
cadeva, una manetta si sarebbe sfilata
da una mano". Molto plausibile.
Ancora violenza, vera, la persona
sparisce e restano le cose, stupide. In
questo caso, mi vien male a dirlo, non
resteranno nemmeno le cose. Non si trova
nemmeno una fotografia di
Aufi, era
una persona e non diventerà nemmeno un
caso. Non è diventato nemmeno una
notizia.
Quei pochi che sono riusciti a leggere
la sua fine sui giornali hanno avuto lo
stesso pensiero, identico. Con tutto ciò
che ne consegue. Ovvero che non se ne
verrà a capo: Aufi
resterà uno che è caduto da una finestra
per propria colpa, il fatto che la
finestra fosse una finestra dello
Stato non fa differenza, di lapidi
non ne avrà né due né una, nessuno a
Roma avrà un pensiero, piccolo o fugace.
Che cosa si può e si deve fare in
questi casi? mi sono chiesto. Non lo
so. L'unico che avrebbe, tra le sue
prerogative, potere di intervento è
proprio lo Stato. Ma se è lo Stato
stesso che, in qualche modo, uccide,
allora questa è una situazione da cui
non si esce, un disgustoso paradosso:
perché quella stazione di carabinieri
avrebbe dovuto smettere di essere
Stato mentre Aufi cadeva. E lo
Stato, non gli individui, dovrebbe
punire i responsabili con molta più
forza, in virtù di ciò che
rappresentavano, non difenderli come
parte di sé. Invece, ciò che ci resta, alla fine, è l'atto
del ricordo, il racconto, la memoria, lo
sdegno. Come al solito, non ci resta mai
nulla di più. Dunque, è per questi
motivi che racconto questa storia.
Il che non toglie che io mi senta, ora, molto stupido a
scriverla qui e in questo modo.
|
Ma che
caldo faceva.
Oggi
non fa caldo come quella sera,
trentanove quindici dicembre fa. Quindi,
nessuna finestra aperta e nessun morto
in questura. "Poche storie" disse
il commissario "il tuo amico Valpreda
ha parlato e il suo socio sappiamo sei
tu". "Impossibile" gridò
l'indiziato "un compagno non può
averlo fatto, tra i padroni bisogna
cercare chi le bombe ha fatto scoppiar".
Ma faceva caldo e qualcuno aprì una
finestra.
Di quella finestra e di quel pacifico
ferroviere una volta partigiano poi
anarchico qualcuno scrisse (Cederna, Fo,
Fortini e molti), qualcuno ne fece un
film (Petri e Risi), qualcuno ancora ne
cantò (Fallisi,
Mannerini e molti): tra tante, una
ballata (qui).
Joe Fallisi, l'esecutore e riadattatore,
nel 1970 specificò che la sua ballata "può
essere eseguita, riprodotta o adattata
da tutti coloro che non sono
recuperatori, 'progressisti' e falsi
nemici del Sistema". Richiesto esame
di coscienza prima dell'ascolto.
Ma Pinelli, nonostante le tante parole
dette, era una faccia, gesti, azioni e
idee, un marito e un padre, a noi
purtroppo tocca sempre parlare delle due lapidi e
della
finestra del quarto piano, di sindaci stronzi e di malore
attivo. Questa è vera violenza, la
persona sparisce e restano le cose,
stupide. E
allora viva Pinelli!, lo
ricordo così, al sole, giovane e bello,
come tutti gli eroi.
|
Addio,
amico mio.
Niente a che vedere con Krusciov,
l'eroe incompiuto di
oggi è Muntazer
al-Zaidi, giornalista iracheno,
pare sunnita, che alla conferenza stampa
a sorpresa di
George W. Bush a Baghdad,
l'ultima grazieadio, per salutare
il presidente uscente gli ha tirato le
scarpe. Cioè,
al-Zaidi ha tirato le sue scarpe
proprie a Bush,
dicendogli una cosa come: "questo è
un addio dal popolo iracheno, cane".
Eroe
incompiuto perché l'ha mancato. Ma
vivaddio, come si fa a mancarlo da
così vicino? L'avesse preso, oggi
trivigante sarebbe genuflesso di fronte
al proprio nuovo eroe di sempre. Anche
così, comunque, va bene. Grazie,
al-Zaidi,
per il gesto atletico e per l'atto
comico insito nel lancio delle scarpe.
Certo, una torta sarebbe stato il
massimo, la prossima volta vorrei
assistere al lancio della giacca, degli
occhiali, delle calze dopo le scarpe, al
lancio del fazzoletto smacagnato.
E ora le cose meno eroiche: eccellenti
come sempre i commentatori italiani,
Repubblica e
Corriere in testa, che si affrettano
a spiegare che "lanciare le scarpe
contro qualcuno è uno dei peggiori
insulti nella cultura araba" (mentre
nella cultura europea è un gesto molto
affettuoso e ricco di gentilezza) e che
"nella cultura islamica l'insulto
«cane» con cui Bush è stato apostrofato
dal giornalista è considerato uno tra i
più pesanti perché quello che in
occidente è considerato il miglior amico
dell'uomo dai musulmani è visto come un
animale impuro" (infatti, in Italia
dare del cane a qualcuno
significa palesargli la propria fedele
amicizia; si segnala anche
l'accrescitivo figlio di cane,
ancor più affettuoso). Per chi
desiderasse la documentazione
che-si-muove del gesto atletico
dell'eroe, ho raccattato il
video (meglio tasto destro, "tira
giù il coso"). |
Trentanove giorni di pioggia.
Il
dodici dicembre a Milano piove sempre. O
meglio, da trentanove anni piove sempre,
il dodici dicembre, a Milano. Non perché
sia dicembre e quindi la pioggia sia
normale, piove perché molti di noi
soffrono ancora.
Se a Brescia il processo prosegue tra
mille difficoltà, a Milano il processo
per la strage è chiuso, sepolto,
defunto, nonostante alcune sentenze
abbiano sancito la colpevolezza di
coloro che erano stati assolti in prima
battuta. E, come tali, non più
condannabili. Molti, invece, nelle
inchieste non sono neppure entrati,
oppure furono interrogati
distrattamente, nonostante fosse
indubbio che avessero assunto un qualche
ruolo nell'organizzazione della strage.
Uno di questi, mai incluso tra i
sospettati di strage, è
Mario Merlino.
Nome e cognome fanno assonanza con
figure di molto migliori ma nulla hanno
a che fare: Merlino è un fascista, di
quelli peggiori. Infatti fu in Grecia,
partecipò al famoso convegno all'Hotel
Parco dei Principi nel 1965, ebbe
rapporti con Delle Chiaie, finché non si
infiltrò prima nel circolo anarchico
milanese in cui militava Valpreda, il "Bakunin",
e poi nel circolo "22 marzo" di Roma.
Particolare non da poco, perché il 12
dicembre le bombe scoppiarono anche a
Roma, anche se nessuno mai lo ricorda.
Poche ore dopo gli scoppi, Merlino era
già in questura a fare nomi di
anarchici, uno via l'altro. Grazie a
lui, ci sono compagni che, prima di
essere scagionati per la strage, si
fecero anche tre anni di cella,
ingiustamente. Merlino non fu più
interrogato né convocato in alcuna
occasione. Continuò tranquillo a fare le
sue cose: lavorare con la casa editrice
"Settimo sigillo", interessante,
scrivere di Mishima, allestire un paio
di spettacoli come La rosa fra i
denti, omaggio alla Xª flottiglia
MAS, e Rapsodia in nero, letture
e musica dall'Armistizio di Cassibile
alla morte di Benito Mussolini. E a
insegnare, come fa ancora oggi, storia e
filosofia al liceo scientifico
"Francesco d'Assisi" a Roma. Storia e
filosofia, il danno, la beffa e
l'insulto.
Ma la storia della strage di Milano non
interessa più a nessuno, chi ha il
tempo, la voglia, la dedizione, lo
stomaco per leggersi migliaia e migliaia
di pagine di ricostruzioni storiche e di
indagini, centinaia di migliaia di
pagine di atti processuali e di
testimonianze? A chi interessa sapere,
tra l'altro, che il pentito
Martino Siciliano,
per scagionare l'esecutore Delfo Zorzi,
fu pagato da un conto svizzero Finivest
e, fisicamente, da Gaetano Pecorella,
avvocato di Berlusconi, parlamentare e
candidato alla presidenza della Corte
Costituzionale? A pochi, davvero pochi.
Sono quei pochi, però, che non mollano,
perché non bisogna dargliela vinta,
perché uccisi e sconfitti sì, ma
umiliati no.
Tra
quei pochi, cui va la mia ammirazione e
il rispetto più sincero, la casa
editrice Odradek, che un paio di anni fa
ha ripubblicato "La
strage di Stato - Controinchiesta"
di Eduardo M. Di Giovanni, Marco Ligini,
Edgardo Pellegrini. Il titolo oggi pare
normale ma questo libro fu pubblicato
cinque mesi dopo la strage. E, allora,
nessuno parlava di Stato, bensì solo di
anarchici, Pinelli era morto da poco. Fu
una vera e propria controinchiesta,
svolta dall'interno del movimento, e
giunse a risultati non dissimili da
quelli della magistratura. Trentacinque
anni prima, però. Il libro è in vendita
e in buona parte consultabile
qui.
Alle ore 15 circa del 12 dicembre 1969,
un noto professionista romano, iscritto
ad un partito di sinistra, ricevette una
telefonata: "Ti consiglio di sparire
dalla circolazione. Tra poco in Italia,
per voi, l'aria sarà irrespirabile".
Era vero.
|
Umorismo
norvegiano.
I
norvegiani, già famosi nel mondo
per il loro spirito gioviale e il
leggendario sense of humour, ci
hanno regalato alcune perle che si sono
prontamente diffuse nel mondo: la
comicità dell'"Urlo"
di Munch,
gli allegri divertimenti musicali di
Grieg, gli
spassosi drammi di
Ibsen, la buffa redenzione di
Peer Gynt, il soave
black metal
e il lieve punk
hardcore norvegiano, il
contagioso pop degli
A-ha, la
simpatia del
petrolio del mare del Nord, la
giocosità del
fiordo gelato e il riso argentino
dell'inverno
polare.
In questo solco di tradizione secolare
si innesta la copertina dell'orario
dei tram di Oslo, edizione 2008,
a cura della locale azienda dei
trasporti pubblici, che non posso non
condividere qui. |
|
|
Here come old flattop he come
grooving up slowly / He got joo-joo eyeball he one
holy roller... Forse Paul è morto davvero. |
La scatola rossa e
le mappe potenziali.
L'anno scorso è stato pubblicato
anche in Italia un libro di Marc Levinson,
The Box. La scatola che ha
cambiato il mondo (Egea, 2007), libro che
si occupa della storia del container, ovvero
dell'idea di standardizzare i contenitori per il
trasporto delle merci e, quindi, di tutto ciò che ne
consegue in termini di commercio, trasporti,
economia e globalizzazione.
L'idea del container risale al 1956 e in
breve ha conquistato il mondo del commercio per la
semplificazione nelle operazioni di trasporto,
carico e scarico, e per l'incredibile riduzione dei
costi. Dieci anni dopo si provvide alla
standardizzazione internazionale delle misure del
container: a parità di larghezza (244 cm) e di
altezza (259 cm), esiste il 20
piedi (610cm di lunghezza) e il
40 piedi (1220cm di
lunghezza). A seguire, sono stati adattati di
conseguenza i camion, i treni, le navi, le stazioni
e i porti, soprattutto. Tant'è che oggi la portata
di carico delle navi porta-containers è
valutata in multipli dell'unità di misura base, il
20 piedi (TEU,
Twenty-feet Equivalent Unit). Tutta la faccenda
è interessante in relazione alle conseguenze, è
chiaro, più che per il fatto in sé: per esempio, la
riduzione dei costi globali porta con sé una legge
fondamentale del commercio attuale, "o si diventa
internazionali o si muore". Che sarebbe anche
una bella legge in generale per noi italiani, se non
dovessimo combattere ogni giorno con Maroni e le sue
cricche e se non fosse applicata pervicacemente alle
spalle delle nazioni più deboli.
Come che sia, due mesi fa la
BBC (che sarebbe l'omologa della RAI se non
venisse da ridere a dirlo) ha intrapreso un
esperimento: ha comprato un container, l'ha
dipinto di rosso con il logo BBC, ha applicato un
rilevatore
satellitare e l'ha affidato alla compagnia di
trasporti Nyk, in modo
che venga utilizzato come qualunque altro
container. Detto, fatto, il container è
stato imbarcato a Glasgow il 12 settembre e ora, via
Suez, Singapore, Shanghai, è giunto a Los Angeles.
Naturalmente è possibile seguire il percorso del
container sul sito della BBC,
giorno per giorno (qui,
la mappa completa è
qui).
Lo scopo dell'esperimento è evidente: mostrare la
complessità della rete di trasporti del pianeta,
tracciandone una parte. Il che ha di certo un
significato per gli addetti ai lavori, al contrario
per un profano si traduce in una buffa mappa che
mostra una trottola impazzita che pare girare per i
porti del mondo apparentemente senza raziocinio.
Cioè ciò che in qualche maniera già supponevamo.
Però è uno spunto. Infatti, se il significato di una
mappa è la rappresentazione
delle relazioni tra componenti, quali che
siano, continenti, containers, voli aerei,
popolazioni, gatti e cani etc., nulla impedisce di
indagare più a fondo le relazioni più strane. Per
esempio, sono interessanti le
mappe che variano le dimensioni dei paesi in ragione
al dato rappresentato. Come sarebbe il mondo
in base al numero di voli
aerei decollati in ogni nazione (21 milioni
all'anno, 40 al minuto)? Così:
Difficile muoversi dall'Africa, si
sapeva, l'Europa segue l'esempio americano. Per
l'Italia, meglio rivedere la mappa tra qualche
mese, con la CAI
all'opera (questo è sarcasmo).
Molto più buffa e fonte di orgoglio per noi italici
atei è la mappa della
diffusione dell'ateismo, nella quale -
modestamente - facciamo anche noi la nostra bella
parte (e che dire di Cuba?):
Però, surprais!, è scomparsa
la Russia e, si sa, tutto il mondo è Cina. Questi
due esempi e molti, molti altri si trovano su
worldmapper, sito interessante su molti fronti
anche se, mi pare, difficile comprenderne
l'affidabilità in dettaglio. Spunti, in ogni caso.
Come spunti possono venire da altri tipi di mappe,
più tradizionali, che analizzano in dettaglio alcuni
elementi: il traffico telefonico globale, per
esempio:
Germania chiama Turchia, Italia
chiama Stati Uniti, Finlandia chiama Australia. E
fin qui si tratta di emigrazione. Stati Uniti
chiamano Cina, e qui si tratta di affari e di
debiti. Qualche relazione si chiarisce.
Questa e altre mappe si trovano su
TeleGeography.
Un altro tipo di mappe sono le mappe
non-geografiche, ovvero le mappe che rappresentano i
flussi sulla base delle distanze o della mole del
dato esaminato. Per esempio, una mappa interattiva del
Princeton's International Network (INA) che
mostra le distanze tra i paesi non nei termini
consueti ma in base al tempo necessario per
spostarsi da uno all'altro.
E' ovvio che Londra è
molto più vicina a New York rispetto a Vancouver:
Ecco
dove trovarla. Il bello delle mappe, in
definitiva, è che pur essendo bidimensionali (non
sempre, peraltro) non hanno limiti di nessun genere.
Figuriamoci, noi europei andiamo in confusione alla
sola vista di una mappa non eurocentrica, basta poco.
Come basta poco, fantasia, a inventarsi delle mappe
nuove, per rappresentazione, elementi o,
addirittura, supporto. Come
questa mappa della carne argentina, nota nel
mondo. Ben fatto (e grazie a
global voices per un paio di dritte).
|
La storia di
Bartolomeo Garro.
Nato nel 1921 a San Benigno di
Cuneo, Bartolomeo Garro
a dieci anni andò da vaché, cioè da servo di
campagna sotto un padrone, come capitava a tutti i
suoi coetanei figli di contadini. A quattordici anni
fu affittato a Centallo, poi di nuovo a San Benigno,
a Cavallermaggiore, finché a vent'anni, nel 1941,
partì soldato nel 7° artiglieria Gaf. Prima Porto
Nettuno, poi Trieste, poi - il
12 settembre 1943 - di nuovo a casa.
Salì in montagna, in valle Maira,
con i partigiani della 20a
brigata GL, comandata da Faustino Dalmazzo,
con funzioni di collegamento con le formazioni di
pianura.
Nella notte tra il primo e il due febbraio 1945 una
brigata partigiana compì un'incursione contro il
municipio di
Tarantasca,
un paesello vicino a Cuneo; morì un fascista per lo
scoppio di una bomba a mano. Sebbene la bomba fosse
stata lanciata dall'interno del municipio, i
fascisti decisero di procedere ugualmente alla
rappresaglia.
Il due febbraio 1945, venerdì, era il giorno della
Candelora e molta gente, tra cui anche alcuni
partigiani, si riunì nella chiesa di
San Benigno per
assistere alla funzione delle dieci, con il rito
delle candele. Garro
arrivò sulla piazza della chiesa a funzione
cominciata. La chiesa e la piazza erano gremite di
persone, più di duecento tra uomini, donne e
bambini.
Pochi minuti dopo giunse una motocicletta sidecar
sul piazzale della chiesa, armata di mitragliatore
Breda: il fascista all'arma cominciò a sparare e
ferì un partigiano, Dutto,
e uccise un soldato sbandato,
Piacquadio. Poi seguì un camion con una
ventina di fascisti armati, tutti della Questura di
Cuneo, guidati dal tenente
Frezza. I fascisti fecero uscire alcuni
giovani dalla chiesa e li radunarono contro un muro,
con i giovani rastrellati in piazza: il tenente
Frezza li prese a schiaffi, chiedendo a ciascuno i
documenti.
Rimasero in tredici contro il muro, tutti figli di
contadini. Frezza disse: "Voi siete tutti
delinquenti, tutti malfattori. Di notte andate a
rubare, a uccidere, e adesso vorreste salvarvi?"
e diede l'ordine di sparare. Caddero in dodici,
Garro restò in piedi
incolume. Allora Frezza diede ordine di sparare di
nuovo e Garro fu colpito da un colpo di sten
al torace. Cadde.
Il suo racconto: "Sento i gemiti, sento dei colpi
singoli di mitra, sono i colpi di grazia. Infine un
gran silenzio. Un fascista grida: 'Signor tenente,
questo vive ancora'. Cadendo in avanti ho battuto il
mento, ho del sangue in bocca. Tento di alzarmi per
riprendere un po' il fiato, ma come butto avanti le
mani per sollevarmi vedo che il tenente Frezza mi è
vicino con il mitra. Sento un colpo, paf, e ricado
giù. Perdo i sensi". Ma Garro è fortunato. "Il
tenente voleva colpirmi alla tempia, proprio nel
momento in cui mi stavo muovendo, così la pallottola
è entrata sotto l'orecchio destro ed è uscita sotto
l'orecchio sinistro".
I fascisti se ne andarono, la madre di Garro uscì
dalla chiesa e vide il figlio con le mandibole
spaccate, la lingua bruciata e un colpo nel petto.
Nessuno ebbe il coraggio di soccorrerlo per più di
due ore, nessuno ebbe il coraggio di muoversi,
troppa era la paura dei fascisti e troppa
l'impressione per la strage.
Garro fu soccorso da due padri di famiglia
coraggiosi, Gallo e
Fantino, che chiamarono
anche il medico di Tarantasca,
Vezzosi. Il medico, prima di muoversi, chiamò
Frezza: "Uno dei fucilati di San Benigno è ancora
vivo. Mi chiedono di assisterlo. Posso medicarlo?"-
Frezza rispose: "Lo medichi pure, lo guarisca.
Visto che non è morto con le pallottole verrò poi a
impiccarlo".
Garro ci mise molti
mesi a riprendersi, rimase nascosto nei fienili, fu
operato alla mandibola su un tavolo da cucina, per
fortuna aprile non era lontano. Dopo la Liberazione,
il processo ai fascisti di San Benigno durò quattro
mesi, Frezza fu condannato all'ergastolo ma uscì
dopo poco e fu amnistiato.
Ma ancora non bastava: "Li conosco i fascisti che
mi hanno fucilato, alcuni li incontro per le strade
di Cuneo. Quando li vedo li schivo. Una volta ho
incontrato quello che guidava il moto-sidecar e l'ho
insultato. Mi voleva denunciare, mi ha detto: 'Sono
già stato condannato una volta, non mi condanni più
tu. Stai attento perché ti mando in galera'".
Così andò il mondo, in Italia.
Questa è la storia di
Bartolomeo Garro, l'uomo che rivide i
fascisti che lo fucilarono, contadino, partigiano,
commerciante, scomparso qualche anno fa.
Riferimenti: Nuto Revelli,
Il mondo dei vinti, Torino, Einaudi,
1977, pp. 62-67;
AA. VV., San Benigno: frazione
martire di Cuneo, in Lotte Nuove,
settimanale del Partito Socialista
Italiano, Cuneo, 1° febbraio 1960,
p. 3; Bartolomeo Garro, Partenza per l'aldilà e
ritorno, inedito. |
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